Business angels, 46 milioni di investimenti in startup nel 2014: ma ci vuole un albo che garantisca trasparenza

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 20 Lug 2015 in Approfondimenti

StagistiSolo nel 2014 hanno investito 46 milioni di euro nelle startup italiane. Ma rispetto al passato lo hanno fatto riducendo il numero di aziende finanziate ed aumentando la somma messa a loro disposizione. Questi i punti salienti dell'attività dei business angels italiani descritta nel rapporto Iban 2014, presentato a fine giugno a Milano.

I numeri elaborati dall'associazione Italian business angel networks, presentati nel corso della sua XVI convention annuale e relativi ad un campione di 279 operatori, sono interessanti. I 46 milioni di finanziamenti erogati lo scorso anno fanno segnare un incremento del 45% rispetto all'anno precedente. Inoltre un terzo degli investimenti ha superato i 300mila euro, mentre uno su quattro è andato oltre i 100mila euro. In tutto sono 135 le operazioni di finanziamento perfezionate nel 2014, che hanno interessato soprattutto startup attive nel settore ICT, nel terziario avanzato e nel commercio. E soprattutto hanno portato alla creazione di 180 nuovi posti di lavoro, concentrati soprattutto nelle regioni del centro Nord.

Al di là poi dei numeri assoluti, a colpire è una tendenza riscontrata dalla survey 2014. Ovvero quella per cui si è ridotto il numero complessivo di finanziamenti erogati, scesi dai 324 del 2013 ai 135 dell'anno passato, mentre cresce l'investimento medio, più che triplicato dai 98mila euro di due anni fa ai 351mila del 2014. Un andamento, spiega il professor Vincenzo Capizzi di SDA Bocconi nonché autore della ricerca, «che da un lato segnala la capacità degli angels di sviluppare logiche di networking e compartecipazione tipiche degli investitori istituzionali». Dall'altro «testimonia la crescente rilevanza di questo segmento del mercato dei capitali, che sempre più deve rappresentare una delle principali leve da valorizzare e incentivare da parte dei policy maker».

StagistiGià ma come? «Stiamo portando avanti un ragionamento con Bankitalia», spiega Capizzi alla Repubblica degli Stagisti: «l'idea è quella di introdurre un albo dei Business angels, così che queste figure possano sempre più essere utilizzati come leva di una politica industriale». Un albo, quindi delle regole per entrare a farne parte: non c'è il rischio, come sostennero molti critici dopo l'introduzione del regolamento Consob sul crowdfunding, di ingessare un settore che per sua stessa natura è fortemente “liquido”? «Una start-up quando raccoglie dei capitali ha il diritto di conoscere la tipologia di persona fisica che si trova di fronte. È importante sapere che vengono forniti capitali con lungimiranza e con un portato di competenze e network che siano certificati». Insomma, «sapere chi siano i business angels non vuol dire imporre dei vincoli». Anzi, la trasparenza aiuta: «Possiamo immaginare di favorire gli investimenti attraverso delle incentivazioni a livello di tassazione. In questo modo però c'è il rischio che una marea di soggetti eroghi dei fondi solo per ragioni fiscali o peggio che si creino delle startup solo per intercettare questi vantaggi». Un albo come quello ipotizzato da Capizzi dovrebbe mettere l'ecosistema al riparo da queste “minacce”.

E dare così maggiore importanza al ruolo svolto nella crescita delle start-up da parte dei business angels. Figure che, secondo l'analisi di Iban, sono imprenditori con un passato da manager, un'età compresa tra i 30 ed i 50 anni, una laurea ed un patrimonio inferiore ai 2 milioni di euro. Del quale la somma destinata agli investimenti seed rappresenta circa il 10%.

Tre gli elementi che vengono maggiormente presi in considerazione prima di “staccare l'assegno”
: la crescita potenziale del mercato in cui si muove la startup, le qualità del team che ne fa parte e le caratteristiche del prodotto o del servizio offerto. Oltre all'apporto finanziario, il 57% degli intervistati per l'elaborazione della survey ha affermato di essere molto coinvolto nell'azienda in cui investe, mettendo a disposizione le proprie competenze strategiche e la propria rete di contatti. Un percorso di affiancamento che dura in media tre anni e tre mesi, dopodiché si arriva all'uscita dal capitale sociale del business angel, che cede le proprie quote direttamente al team imprenditoriale oppure ad altri investitori che decidono di subentrare per accompagnare la startup lungo il suo percorso di crescita.

Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it

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