Lavoro agile, lo usano soprattutto gli uomini nelle grandi imprese: il quadro dell'Osservatorio Smartworking

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 12 Nov 2018 in Approfondimenti

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Nel nostro Paese lo smartworking è in crescita e lo scenario attuale sembra far sperare ancora bene per il futuro.  Sono stati presentati un paio di settimane fa, nel corso del convegno «Smartworking: una rivoluzione da non fermare» i risultati della ricerca dell’Osservatorio Smartworking della School of Management del Politecnico di Milano relativi al cosiddetto lavoro agile.

Risultati che arrivano a poco più di un anno dalla legge 81/2017, che ha definito e disciplinato lo smartworking in maniera organica, individuandone le caratteristiche distintive nella «flessibilità organizzativa, volontarietà delle parti e adozione di strumentazione tecnologica» ed evidenziando come ulteriori elementi rilevanti la parità di trattamento economico e normativo, il diritto all’apprendimento permanente e la tutela degli aspetti legati alla salute e alla sicurezza.

Cosa dice la ricerca? Innanzitutto offre un panorama numerico: in Italia i lavoratori agili sono 480mila, pari al 12,6% del totale degli occupati che, in base alla tipologia di attività, potrebbero oggettivamente fare smartworking (una cassiera di un supermercato o un portalettere, evidentemente, non potrebbero). Il numero indica un aumento del venti per cento rispetto allo scorso anno, quando il numero di smartworkers si era attestato a 305mila. La sorpresa però è che si tratta prevalentemente di lavoratori di genere maschile, che rappresentano il 76%, di età compresa tra i 38 e i 58 anni e residenti nel nord-ovest del Paese.

Le principali motivazioni che inducono i lavoratori a scegliere lo smartworking sono legate alla sfera personale e al miglioramento del benessere. Per un 46% dei lavoratori c’è la possibilità di evitare lo stress durante gli spostamenti casa-ufficio, per un 43% il miglioramento del proprio equilibrio tra vita privata e professionale. Ma ci sono anche aspetti negativi: tra le criticità riscontrate le più frequenti sono la percezione di un senso di isolamento circa le dinamiche dell’ufficio (18%), seguita dal maggiore sforzo di programmazione delle attività e di gestione delle urgenze (16%).

A questo proposito è interessante osservare come la percentuale più alta di smartworker si registri tra lavoratori di sesso maschile e non più giovanissimi, a differenza di quanto si potrebbe pensare a una prima analisi più superficiale del tema, che porta ad associare il lavoro agile soprattutto nella sua possibilità di lavorare da casa alle donne magari con figli più piccoli, per facilitare la conciliazione tra lavoro e vita familiare.


Il dato 2018 dimostra invece che lo smartworking è un fenomeno più ampio e trasversale, legato in generale all’esigenza di migliorare il benessere lavorativo e in generale l’equilibrio tra vita privata e professionale.

«Pensare che la conciliazione sia un’esigenza solo femminile è uno stereotipo da superare» dice Silvia Zanella, responsabile global digital marketing di Adecco, commentando i risultati della ricerca: «Gli uomini da un lato partecipano molto di più rispetto a un tempo alla gestione del carico familiare. Dall’altro lato sta tramontando la mitologia del fare tardi la sera per fare carriera. Se c’è un merito dello smart working è aver smascherato certi luoghi comuni. Non necessariamente chi stacca dopo o è sempre in ufficio è più produttivo di chi adotta un approccio agile».

«Quando ho presentato la proposta di legge sullo smartworking, l’obiettivo principale era che potesse diventare presto uno strumento utilizzato dalle lavoratrici e dai lavoratori indistintamente» aggiunge Alessia Mosca, deputata al Parlamento europeo ed esperta di smartworking: «Sono convinta che sia necessario intraprendere una nuova strada per migliorare la situazione delle donne nel nostro Paese: le politiche, pubbliche e aziendali, rivolte alle donne - dalla possibilità per le neo-mamme di chiedere il part-time all’allungamento del congedo - perpetuano una visione del genere femminile come un “problema da risolvere”. Credo sia profondamente sbagliato: si diventa genitori in due, le responsabilità di cura della famiglia appartengono agli uomini così come alle donne. Per superare una volta per tutte la vecchia suddivisione “uomini nello spazio pubblico, cioè il lavoro, e donne nello spazio privato, la famiglia” è necessario agire a livello sistemico e fornire strumenti rivolti a entrambi, perché entrambi possano portare avanti il proprio percorso professionale e partecipare alla cura della propria famiglia. Il fatto che i dati ci dicano che la maggior parte degli smartworker oggi sono uomini è, dal mio punto di vista, estremamente positivo: la necessità di riprendere spazi e tempi per la propria vita non ha connotazione di genere».

Ma in quali contesti si ricorre maggiormente allo smartworking? A fare da padrone sono le
grandi imprese: considerando un campione di 183 imprese con più di 250 addetti, in un’azienda su due (56% dei casi) sono presenti progetti strutturati di smartworking. Per la maggior parte delle imprese il modello si concretizza nella possibilità di lavorare da remoto, scelta dal 53% delle grandi imprese, mentre l’altro 47% mette in pratica anche esigenze di ripensamento degli spazi.  


«Le grandi corporation hanno tempi di risposta più rapidi proprio perché inserite in un contesto globale dove le novità arrivano prima» riflette Zanella: «Vuoi perché lo Smart working è già presente in casa madre, vuoi perché organizzazioni globali sono necessariamente flessibili, lo smart working è la risposta per il lavoro che cambia».

In effetti le grandi imprese, soprattutto multinazionali, sono state le prime in assoluto a introdurre strumenti di flessibilità nell’organizzazione del lavoro, già prima che esistesse la legge. In questo senso «hanno aperto un cammino» dice Mosca «e dimostrato non solo che si poteva fare ma anche che i risultati erano impressionanti, sia per i lavoratori che per l’azienda. È stato molto importante avere dei casi di studio: hanno permesso la raccolta di dati, anche per dare una spinta alla proposta di legge, poi trasformata in un decreto del governo».

Invece le piccole e medie imprese di lavoro agile sembrano proprio non voler sentir parlare: solo l’8%, in linea con l'anno passato, dichiara di avere progetti strutturati di smartworking e addirittura il 38% di non avere interesse verso questa modalità di lavoro.

Dati, questi, che da una parte non sorprendono considerando che le grandi aziende sono tendenzialmente più organizzate e strutturate in termini di risorse e personale per poter gestire lo smartworking. Dall’altra, però, un vantaggio non indifferente del lavoro agile è proprio l’ottimizzazione di costi e spazi di lavoro, aspetti non di poco conto per le realtà più piccole.

Un segnale positivo rispetto al 2017 arriva invece dalla pubblica amministrazione, che sta dando i primi segnali su questo fronte. Se lo scorso anno solo il 5% degli enti pubblici aveva avviato progetti di smartworking, quest’anno la percentuale è aumentata di oltre la metà, attestandosi sull’8%.
Un incentivo è stato senza dubbio rappresentato dall’approvazione della legge sul lavoro agile: il 60% degli enti pubblici che ha attivato iniziative di questo genere ha dichiarato di aver trovato uno stimolo nella nuova legge. Sono 358 le PA con più di dieci addetti coinvolte nella ricerca dell’Osservatorio: «Da quello che so, ma non sono un’esperta» modera un po' gli entusiasmi Zanella «ci si aspettavano progressi maggiori. Di certo la cultura della performance misurabile non sempre si sposa con alcune logiche radicate nel settore pubblico».

In occasione del convegno sono stati anche assegnati gli «Smartworking Award» 2018, premi destinati alle aziende che si sono distinte per i propri progetti legati al lavoro agile. A2A, Gruppo Hera, Intesa Sanpaolo e Maire Tecnimont sono le aziende che si sono aggiudicate il riconoscimento quest’anno. Zurich si è invece guadagnata lo «Smartworking Impact Award», premio indirizzato alle organizzazioni già vincitrici dello Smartworking Award, nelle quali il progetto negli ultimi anni ha avuto un impatto significativo sull’organizzazione.

Chiara Del Priore

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