Start-up in accelerazione al Politecnico di Milano

Giulia Cimpanelli

Giulia Cimpanelli

Scritto il 21 Lug 2012 in Interviste

Da 20 a 100: è quintuplicato in un solo anno il numero di proposte per avvio di start-up che gli studenti del Politecnico di Milano mandano all’Acceleratore d’impresa d’ateneo. stage lavoro«Stiamo osservando una forte tendenza dai giovani nel tornare a considerare la creazione di nuove imprese una strada interessante per il futuro», commenta Matteo Bogana,  da un anno e mezzo coordinatore dell'acceleratore d'impresa gestito dalla Fondazione Politecnico di Milano. Bogana ha 38 anni, una laurea in ingegneria elettronica e un dottorato di ricerca in ingegneria dei materiali al Politecnico. Ha maturato oltre dieci anni di esperienza lavorativa nella gestione di progetti ad alto contenuto tecnologico sia presso importanti gruppi italiani che esteri: Andersen Consulting, Accenture, General Electric e Fondazione Politecnico di Milano.  L'Acceleratore ha tre sedi: Milano, Como e Lecco; a Milano, con Bogana, lavorano altre cinque persone che si occupano dello scouting, della valutazione e del supporto alla nascita ed allo sviluppo dei progetti imprenditoriali, oltre che di gestire progetti di ricerca sia a livello nazionale che internazionale. «Sono ingegneri con esperienze diverse in vari settori: la cosa che accomuna di più le persone che fanno questo mestiere è lo spirito imprenditoriale, tanto è vero che alcuni nostri ex colleghi hanno deciso in primis di mettersi in gioco diventando co-fondatori di start-up: l'ultimo temporalmente è stato l'ingegner Giuseppe De Giorgi che, dopo aver lavorato con noi, ha co-fondato Fubles ed ora ne è chief operating officer», racconta.

Per volontà di chi e con che fondi è nato l’Acceleratore?
L’Acceleratore d’impresa è nato nel 2001 per volontà del Politecnico di Milano e del Comune di Milano con fondi erogati dal Comune. Da quando è partito ha incubato 65 start-up, che hanno generato 600 nuovi posti di lavoro e 54 milioni di euro di fatturato nei primi tre anni di vita, di cui più del 50 per cento fatte da persone legate al Politecnico di Milano.
Come sono cambiati i numeri negli ultimi anni?
Negli ultimi tre anni l’Acceleratore ha analizzato circa 600 idee di servizi o prodotti e sono stati affiancati dai tutor oltre 80 progetti imprenditoriali. Questi hanno dato vita a 16 nuove start-up il cui fatturato, insieme a quello delle aziende già presenti all’interno dell’Acceleratore, è stato di circa 24 milioni di euro. Le start-up che hanno avuto più fortuna sono costituite da persone che avevano già lavorato per grandi aziende e poi hanno deciso di tornare in Politecnico per far partire un’impresa loro. Quello che voglio dire è che un minimo di esperienza in grandi realtà è importante se non fondamentale per avere successo.
Con quali modalità studenti o esterni possono proporvi start-up?
Proposte di idee imprenditoriali o start-up possono essere inviate tramite il nostro sito alla voce «Inviaci la tua idea d'Impresa!». Oltre a questo canale apriamo diverse competizioni ogni anno per la raccolta e la premiazione delle migliori idee imprenditoriali.
Come agite nell'avvio e affiancamento di nuovi progetti?
Una volta scelte le idee che hanno potenziale aiutiamo a formare un team ben nutrito intorno allo startupper. Le migliori vengono supportate anche dal punto di vista economico, le altre vengono aiutate a cercare partnership e finanziamenti tramite sponsor esterni o business angels. Inoltre aiutiamo nella stesura di business plan, analisi di mercato e business model. Quelle che partono rimangono generalmente all’interno dell’acceleratore per tre anni e poi iniziano a camminare con le loro gambe.
Quanto date come supporto economico? E con che frequenza?
Direttamente come Acceleratore supportiamo le start-up principalmente tramite tre premi: Start-cup Milano Lombardia, una volta all'anno, assieme a tutte le principali università lombarde, Premio nazionale dell'innovazione, una volta all'anno assieme all'associazione Pni Cube, e infine Switch2Product due volte all'anno. I premi cambiano a seconda di quanto messo a disposizione dagli sponsor; il valore può variare parecchio ma mediamente, per le migliori idee, si tratta di cifre comprese tra i 10 e i 15mila euro. Oltre a questi vi sono i premi dei concorsi legati alla Scuola di imprenditorialità del Mip, school of management del Politecnico. Oltre al nostro supporto economico diretto noi aiutiamo le migliori idee a raccogliere capitali per l'avvio d'impresa anche da soggetti istituzionali con cui collaboriamo continuamente.
E in concreto cosa offrite?

Forniamo una scrivania, internet ed una sala riunioni in un open-space per i progetti più giovani ed ancora in fase di definizione. Per le aziende vere e proprie un ufficio di 20 metri quadri più tutti i servizi necessari. Ad oggi nella sede di Milano abbiamo a disposizione un open space da circa dieci scrivanie e venti uffici dedicati, ma abbiamo in corso di definizione un progetto mirato ad un significativo ampliamento degli spazi disponibili. Ovviamente gli spazi sono importanti, ma il nostro valore aggiunto sta nel supporto alle persone ed alle start-up, in particolare nelle prime fasi di definizione dell'idea imprenditoriale e di avvio dell'azienda vera e propria, oltre che nel processo di internazionalizzazione del team.
stage lavoroQuali sono le difficoltà maggiori che ad oggi vedete per le start-up?
In Italia ci sono due tipi di problemi: legati alla burocrazia e alla legge e legati alla mentalità. Ci sono delle necessità a livello politico: è necessaria per esempio la defiscalizzazione degli investimenti a favore di start-up e sarebbe opportuno un sistema di liberalizzazione del lavoro che permettesse alle nuove imprese di assumere collaboratori con maggiore flessibilità. A livello di mentalità in Italia abbiamo due grossi limiti: il primo è la reticenza a lavorare in team e a rischiare insieme, fondamentale per l’avvio di una start-up. Il secondo è la paura ad investire su se stessi che però ora si sta iniziando a superare. E più persone la sorpassano più si innescherà un meccanismo che vedrà la ripresa dell’imprenditoria.
In che senso?
La chiave di successo di start-up country come la California o Israele sta nello sviluppo di questo ecosistema: bisogna iniziare a incentivare le persone a investire in impresa e non in mattoni. Per questo noi svolgiamo anche un’operazione motivazionale nei confronti dei nuovi imprenditori. Poi, una volta che inizia a salire il numero delle start-up parte il circolo virtuoso: vedendo casi di successo altre persone vorranno emularli e così via.
Quali sono invece le difficoltà di cui i vostro start-upper si lamentano più spesso?
La prima è certamente la difficoltà di reperimento di finanziatori e quindi di capitali per superare la fase iniziale. La seconda è la difficoltà di market check: per questo noi li aiutiamo a verificare che il prodotto sia vendibile e le esigenze del mercato.
Cosa si può o potrebbe fare per eliminarle?
Si tratta di un’opera che va oltre il nostro incubatore: bisognerebbe sviluppare in Italia una cultura del rischio condivisa e trasmetterla alle imprese e ai loro dipendenti.
In quali settori nascono più start-up o pervengono più proposte?
La prevalenza è nella information technology che tocca il 35%. Poi l’elettronica con il 15% e il biomedicale con il 13%.
Quindi incubate solamente idee legate alle specializzazioni del Politecnico? Mai start-up in campo umanistico?
Se puramente umanistico no. Ma oggi spesso start-up di contenuto socio umanistico hanno una forte componente tecnologica. Un esempio? Nel campo dell’editoria la tecnologia e l’informatica stanno entrando prepotentemente. In tal caso capita di supportarne.
In Italia stanno nascendo sempre nuovi incubatori: è un bene o un male?
Certamente un bene. Con molti di loro, tra cui, in area milanese Fondazione Filarete, Parco tecnologico padano, ComoNext, The Hub, collaboriamo fattivamente, condividendo progetti o scambiandoceli. A livello nazionale siamo soci fondatori dell'associazione Pni Cube degli incubatori universitari. Anche questo settore però è colpito dal problema italiano della non condivisione: bisognerebbe fare sistema e lavorare molto più insieme. Noi non li vediamo come competitor ma certo siamo, insieme all’incubatore del Politecnico di Torino, quelli con più esperienza.
Conta molto l’esperienza in questo campo?
Nessuno sa prima chi farà i soldi, ma almeno noi riusciamo a capire preventivamente chi non li farà.
E quali sono le caratteristiche attraverso cui riuscite a capire quali progetti sono destinati a fallire?
Capiamo che fallirebbero grazie a due caratteristiche fondamentali e strettamente correlate: il team e l’idea. Il team deve essere all’altezza del progetto imprenditoriale: persone brillanti e sveglie che conoscano a fondo il loro progetto. Capitano spesso team che lanciano piani fantasmagorici e quando chiediamo loro se qualcuno sa da dove partire in concreto o sia in grado di fare qualcosa nel settore non sanno da dove cominciare. Infine bocciamo le idee che violano principi scientifici e fisici o che sono già viste e collaudate: non sapete quanti chiedono di lanciare un gruppo d’acquisto online!
Come vedete l'azione dei business angels e delle società di venture capital?

Collaboriamo in particolare con i primi perché le società di venture capital investono una volta che l’impresa ha già ricavato un utile. Comunque le riteniamo molto importanti per la crescita. I business angels sono fondamentali invece per far partire una start-up e per superare le difficoltà iniziali. In Italia, purtroppo, sono ancora troppo pochi.

Giulia Cimpanelli

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