Merito, valutazione e stipendi degli insegnanti: una questione non solo italiana, ma europea

Silvia Colangeli

Silvia Colangeli

Scritto il 04 Lug 2015 in Approfondimenti

Dopo aver ascoltato le ragioni di sostenitori e contestatori del ddl "La Buona Scuola", la Repubblica degli Stagisti dedica un altro approfondimento alla carriera degli insegnanti. Questa volta la prospettiva è internazionale: a partire dai dati contenuti in due rapporti curati da Eurydice, network della Commissione Europea che si occupa di monitorare i sistemi educativi del Vecchio Continente, la Repubblica degli Stagisti ha chiesto a tre esperti del settore - Marco Paolo Nigi, segretario generale del sindacato Snals (Sindacato Nazionale Autonomo Lavoratori Scuola) nonché docente di matematica; Tommaso Agasisti, professore associato specializzato in management dei sistemi educativi e co-direttore presso la scuola di Management del Politecnico di Milano; e Anna Grazia Stammati del comitato esecutivo dei Cobas Scuola - di commentare la situazione degli insegnanti italiani, soprattutto dal punto di vista contrattuale e retributivo.

stag lavoro cobasGender gap.
Il corpo docente europeo si caratterizza prima di tutto per lo squilibrio di genere: è evidente a tutti che a svolgere questa professione sono principalmente donne. Nell’edizione 2013 del rapporto Eurydice Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa si legge però che «più è alto il livello educativo, meno donne ci sono a insegnare».  «Certo, bisognerebbe avere i dati scomposti» precisa Anna Grazia Stammati
[nella foto a destra] «ma nelle scuole tecniche gli uomini aumentano perchè si tratta di professionisti, per esempio geometri e ingegneri, che lavorano anche a scuola. Inoltre l'appeal della professione diminuisce di anno in anno ed è noto che le donne svolgono, specialmente in italia, i lavori peggio retribuiti».

Age Gap
. L’altro problema è l’età.
Se in tutto il continente soltanto il 33 % dei docenti ha meno di 40 anni, l'Italia però detiene saldamente la maglia nera con gli insegnanti mediamente più anziani d’Europa. Inoltre - un po' a sorpresa -  in Italia, così come in Spagna, c’è un’alta percentuale di mobilità del corpo docente, che invece nel resto d’Europa lavora in media da dieci anni nella stessa scuola. «Col discorso degli albi territoriali, raggruppati a livello provinciale, che sostituiranno le graduatorie d'istituto» aggiunge la sindacalista Cobas «la mobilità diventerà regola, causando ulteriori disagi a un personale mediamente avanti con l'età». Ma perchè i nostri docenti sono così avanti negli anni?  «L'età pensionabile per la nostra categoria attualmente è fissata a 70 anni» risponde Marco Paolo Nigi: «Ci sarebbe bisogno di maggiore ricambio e di stabilizzare anche i più giovani, che spesso, anche se affollano le nostra scuole, non figurano in queste indagini perchè hanno contratti di pochi mesi o incarichi annuali. Ma le sembrano trascurabili migliaia di persone?»

Contratti.
 
Nella maggior parte dei paesi europei gli insegnanti hanno un contratto da dipendenti. Solo in pochi stati sono equiparati a lavoratori del pubblico impiego. La maggioranza, anche in Italia (80%) sono assunti a tempo indeterminato. L’orario di lavoro specificato sul contratto varia notevolmente: anche se la media Ue si attesta su 20 ore settimanali, si va da un minimo di 14 ore in Croazia, Polonia, Finlandia e  Turchia, fino ad un massimo di 28 ore in Germania. In media, le ore d’insegnamento costituiscono solo il 44% del tempo di lavoro totale di un insegnante. Ma per esempio in Grecia diventano il 77% e il 64% nel Regno Unito. Solo in Belgio ed Italia il contratto regola il tempo d’insegnamento - 18 settimanali - ma non le ore spese in altre attività legate alla professione. È però previsto che ogni insegnante italiano dedichi 180 ore l'anno, circa 4 alla settimana, a mansioni da svolgere all'interno dell'istituto (consigli di classe, supplenze in altre classi ecc..).

Retribuzioni. Gli stipendi degli insegnanti rappresentano un problema europeo, non solo italiano. Nell’edizione 2014 di Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe, curato annualmente da Eurydice, si legge: «Confrontando gli stipendi nel 2009 con quelli del 2014, i salari minimi legali degli insegnanti sono stati direttamente colpiti dalla crisi economica nella maggior parte dei paesi». Infatti circa la metà dei paesi europei ha applicato tagli salariali o blocchi di stipendio per i dipendenti pubblici che di conseguenza hanno registrato una diminuzione del potere d'acquisto, in Italia stimabile tra il 5 e il 10%. Per l’anno 2013/2014 invece gli stipendi sono stati congelati: ma bloccare le retribuzioni è negativo per le prospettive future della categoria: «Non vorrei parlare della perdita del prestigio sociale, ma preferisco metterla sul piano economico» spiega Tommaso Agasisti: «Mantenendo i salari bassi la professione diviene meno attraente per i più capaci, scoraggiati da prospettive materiali non proprio allettanti». Stando ai dati aggiornati al 2014, lo stipendio medio di un’insegnante italiana della primaria si attesta su poco meno di 23mila euro lordi annui a inizio carriera, mentre a fine mandato diventano quasi 34mila. In Belgio lo stesso insegnante parte con 30mila euro e termina a 52mila annui. In Portogallo s’inizia con 21.458 euro ma si finisce con oltre 41mila. Inoltre, stando ai calcoli fatti dalla Uil Scuola, la media Ue si attesta sui 26mila euro alla partenza, mentre alla fine del percorso di docenza diventano oltre 43mila euro. «L'Italia viene dopo la maggior parte dei europei: solo Grecia e Turchia fanno peggio di noi» commenta mestamente la Stammati: «Con chi vogliamo fare i confronti su questa materia?»

nigi scuolaAumenti. Scorrendo il rapporto Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa si scopre che «nella maggioranza dei paesi, gli stipendi di base minimi lordi degli insegnanti dell’istruzione primaria e secondaria inferiore sono più bassi del PIL pro capite del rispettivo paese». In Italia gli stipendi minimi sono di poco inferiori al Pil procapite, mentre i massimi lo superano a qualsiasi grado d’istruzione. Il nostro è uno dei paesi con maggiori differenze (più del 50%) tra il salario all’inizio e alla fine della carriera: il che non sorprende, dato che l'intero sistema retributivo italiano è rimasto saldamente ancorato, quantomeno finora, all'anzianità.«Non c'è molto da aggiungere a questi dati: i nostri stipendi sono bloccati da anni» denuncia Nigi [nella foto a sinistra]: «Il nostro sindacato, lo Snals-Confsal, si è mobilitato per l'indicizzazione dei salari e anche la Corte Costituzionale si è pronunciata sul tema. Inoltre bisogna tenere in  conto che queste stime riportano il salario lordo. A causa dell' alto livello di tassazione il nostro stipendio effettivo risulta ancora più basso. La "Buona scuola" ha completamente ignorato il tema delle nostre retribuzioni, quelle dei dirigenti scolastici invece sono aumentate».

Prospettive di carriera.
Secondo i dati Eurydice il training formativo per diventare insegnante in Italia è fra i più lunghi: dopo la scuola secondaria, ci vogliono circa sei anni di formazione specifica e un titolo equiparabile a un master. «E dopo la formazione specifica, occorre abilitarsi e vincere un concorso»
aggiunge ancora Nigi: «Non sono sufficienti tutti questi passaggi a dimostrare il valore di un'insegnante? La graduatoria su cui finora ci si è basati finora è la sommatoria di tutta la carriera del docente e dei suoi successi, ma oggi si crede di fare bene sostituendo i numeri con i nomi».

E poi ne vale la pena? Nel rapporto Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa i ricercatori di Eurydice smorzano gli entusiasmi, almeno a livello salariale: «In Europa, lo stipendio lordo massimo per gli insegnanti con più anzianità è generalmente il doppio rispetto allo stipendio minimo dei nuovi insegnanti. Considerando tuttavia che agli insegnanti possono occorrere fino a 30 anni per arrivare a guadagnare lo stipendio massimo (in Italia 35), i giovani potrebbero essere scoraggiati a intraprendere la professione»
. In Francia e in altri paesi,
dice la Stammati, è possibile raggiungere il massimo dello stipendio già a metà carriera: «Sarebbero utili più soldi quando si ha famiglia e si affrontano spese consistenti, non alle soglie della pensione, quando i bisogni personali diminuiscono». Dimostrando almeno su questo punto una inaspettata sintonia con il ministro del lavoro Poletti, che qualche tempo fa aveva dichiarato «Dobbiamo anche cambiare la dinamica salariale: oggi si guadagna di più a fine carriera, bisognerebbe invece avere il massimo del guadagno quando si inizia, e si ha bisogno di più soldi per andare a vivere per conto proprio, maritarsi, metter su famiglia» (leggi tutto l'articolo).

Merito.
Per guadagnare di più non resta che appellarsi agli incentivi, già esistenti in tutta Europa e in qualche forma anche in Italia. In Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe viene sottolineato che «le indennità che vanno ad aggiungersi allo stipendio di base possono aumentare considerevolmente lo stipendio di un insegnante. Le più comuni vengono attribuite per responsabilità aggiuntive o per ore di lavoro straordinario». Solo la metà dei Paesi assegna indennità agli insegnanti sulla base di un rendimento positivo nell’insegnamento o sulla base dei risultati degli studenti. E il ddl “La buona Scuola” vuole intraprendere quest’ultima strada: sono stati previsti 200 milioni per il merito del singolo docente che verranno distribuiti dal dirigente. Ma «cosa s'intende con merito?» si chiede la sindacalista del Cobas: «La scuola è un ambiente particolare e l'insegnamento è difficile da valutare: bisogna sapere ma anche saper trasmettere. E il dirigente scolastico quali parametri potrà utilizzare per dare un giudizio anche sui contenuti della didattica?». Agasisti invece si schiera a favore di questa novità: «Io credo che sia un passo necessario, anche se le proteste degli insegnanti dimostrano che non c’è ancora la volontà di farlo. E, prima di concentrarsi sul ddl proposto dal governo, dico che finché la contrattazione sarà condotta a livello nazionale sarà impossibile riformare davvero il sistema degli stipendi e legarli alla valutazione, cosa che per esempio avviene in Gran Bretagna, perché c’è autonomia nella contrattazione».

Valutazione
. Finora in Italia la valutazione individuale degli insegnanti si svolge soltanto al termine del periodo di prova. La contestatissima novità contenuta nel ddl proposto dal governo Renzi è l’istituzione del Comitato per la valutazione: ne faranno parte, oltre al preside, quattro docenti - tre scelti dal consiglio dei docenti e uno dal consiglio d'istituto - due genitori e uno studente. Ma come funziona la valutazione degli insegnanti nel resto d’Europa? La pubblicazione The Teaching Profession in Europe Practices, Perceptions, and Policies evidenzia che qualche forma di valutazione strutturata dei singoli insegnanti è presente in tutti Paesi europei, ad eccezione di Italia, Finlandia, Regno Unito (Scozia) e Norvegia. Nella maggior parte dei paesi, al capo d’istituto spetta la responsabilità della valutazione degli insegnanti e, in oltre la metà dei paesi europei esaminati, la svolge regolarmente. L’autovalutazione funziona solo in 7 paesi, mentre una minoranza si avvale di figure esterne, chiamate in causa in momenti cruciali della carriera. «Il dibattito sulla valutazione dei docenti è continuo in molti paesi del mondo»
aggiunge Agasisti: «Negli Usa per esempio nel 2013 furono aspri i contrasti fra insegnanti e governatori degli Stati perché si voleva aumentare l’importanza della valutazione degli studenti che già concorre nel giudizio sui professori. La differenza sostanziale è che in Italia si discute ancora sull’introduzione o meno dei criteri di valutazione e le resistenze sono moltissime. Ma ricordo agli insegnanti italiani che non valutare penalizza i migliori».

Sindacato. Sul tema della valutazione la Snals è pronta al dialogo, ma a certe condizioni
. «E' facile valutare la produttività dell'insegnante: si può partire dalle assenze, dai ritardi, da chi storce il naso di fronte alle novità o a un lavoro in più»poi Nigi prosegue: «Ma certo il giudizio su un insegnante, che pesa sul salario, non si può affidare a un dirigente scolastico: nei grandi plessi con migliaia di studenti il capo d'istituto incontra ogni docente due volte l'anno e non ricorda nemmeno che materia insegna. Ancora più assurdo è che nel comitato di valutazione vi siano studenti e genitori: la dialettica nella scuola esiste da sempre, ma lei crede che un alunno nel corso dell'anno sia in grado di esprimere un giudizio valido sul suo professore, che per esempio insegna una materia che gli risulta difficile?». Più tranchant il giudizio dei Cobas: «La riforma aumenterà la flessibiltà e la dequalificazione del corpo docente, il dirigente potrà giudicare anche nel merito dell'insegnamento e psi erriverà a unagerarchizzazione del corpo docente» chiude Anna Grazia Stammati: «Ora i sindacati sono tutti d'accordo, ma il progetto di autonomia della scuola, condiviso allora anche dai confederati, è stato concepito negli anni Novanta e il governo Renzi lo sta attuando. Il punto è che la decantata autonomia degli istituti porterà a negare l'autonomia dei docenti e il diritto allo studio».

Ma il governo è invece più che convinto della strada intrapresa: «La scuola che vogliamo
dà fiducia agli studenti, sempre più al centro della vita scolastica nella scelta del loro curriculum, nelle decisioni che riguardano i loro istituti e nell’orientamento al mondo del lavoro» scriveva solo qualche giorno fa il sottosegretario all'Istruzione Davide Faraone sulla sua pagina Facebook, spiegando che i dirigenti scolastici saranno chiamati «a essere responsabili dei propri istituti in sinergia con la comunità scolastica e con il territorio e valutati, dopo tante intenzioni rimaste su carta, da un nucleo di valutazione e da ispettori esterni. Una scuola in cui tutti sono responsabili ciascuno per la propria parte. Ma che soprattutto risponde al suo mandato principale: formare cittadini consapevoli e pronti al domani».

Silvia Colangeli

 

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