Stage per extracomunitari, tutto quello che un'azienda deve sapere

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 03 Apr 2019 in Dal punto di vista delle aziende

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La Repubblica degli Stagisti ha tanti lettori, per la maggior parte giovani. Ma c'è anche chi arriva sul nostro sito perché interessato all'argomento in quanto i tirocini, anziché farli, li ospita. Per questo da oggi inauguriamo una nuova sezione di articoli che racconta il mondo dello stage e del lavoro “dal punto di vista delle aziende”, appunto. Cominciamo da un tema inusuale: come funziona l'attivazione di un tirocinio quando lo stagista è uno straniero extra UE. Buona lettura!

Prendere uno stagista di nazionalità non italiana può significare per le aziende un rompicapo. Uno di quei casi in cui ci si scoraggia in partenza al solo pensiero
di doversi scontrare con tutti i cavilli di una burocrazia ostica come quella italiana. La Repubblica degli Stagisti ha voluto di fare luce sulla questione, scoprendo che nella realtà l'inserimento di un tirocinante straniero è più semplice di quanto si creda, al netto degli inevitabili passaggi amministrativi.

Innanzi tutto occorre fare una precisazione sul termine “straniero”.
Tutte le procedure di attivazione di uno stage rimangono infatti “standard” quando si ha a che fare con un ragazzo che proviene da un paese dell'Unione Europea, equiparato a tutti gli effetti a un italiano. Lo spiega bene il kit per tirocini messo a punto dall'associazione delle imprese di Milano e Brianza Assolombarda, chiarendo per gli europei «non vi è alcuna procedura particolare per l’attivazione di tirocini poiché, in quanto comunitari, sono equiparati al cittadino italiano e si applica, di conseguenza, la normativa nazionale e quella regionale di riferimento».

Lo stesso si può dire di un straniero che soggiorni regolarmente nel nostro Paese, con tutti i permessi del caso: anche qui nulla osta al suo normale – cioè al pari di un italiano – inserimento in organico nel ruolo di stagista.
Lo conferma ancora una volta Assolombarda: «Se il cittadino straniero è già presente sul territorio italiano con un titolo di soggiorno in corso di validità (ad esempio per studio, lavoro subordinato o ricongiungimento familiare), la procedura non differisce da quella utilizzata per i cittadini italiani». Vale la pena ricordare che il permesso di soggiorno ha un costo variabile dai 50 ai 100 euro a seconda della durata, a cui vanno aggiunte le spese postali per la gestione della pratica che ammontano a circa 70 euro.

Qualora poi il ragazzo di provenienza extra Ue si trovasse nel nostro Paese per l'università, e mentre è in procinto di finire gli studi venisse selezionato per uno stage extracurriculare, anche qui nessun problema: basterà rinnovare il permesso di soggiorno in caso stesse per scadere. Questo perché, quando si entra in Italia – per l'università ad esempio – muniti di un visto, si avrà l'obbligo di chiedere un permesso di soggiorno per motivi di studio, essendo la durata della presenza in Italia superiore ai tre mesi. E per accedere al tirocinio la motivazione del permesso di soggiorno resta quella dello studio, dunque sarà sufficiente chiedere il rinnovo di tale documento. A conti fatti perciò, per i già residenti non si verifica nessun cambiamento sostanziale rispetto alle pratiche per gli italiani, sia che si tratti di tirocini curriculari che di extracurriculari.

Le difficoltà arrivano invece quando di mezzo ci sono persone di provenienza extra Ue e residenti all'estero, e che entrano nel nostro Paese proprio apposta per svolgere un tirocinio. A chi entra in Italia per tale ragione è richiesto in primis un visto di ingresso (con costi variabili a seconda dei Paesi) rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche nel proprio Paese di origine nei limiti del contingente triennale determinato dal nostro ministero del Lavoro, una soglia che serve al governo italiano per monitorare il numero di entrate. E qui c'è un punto focale a cui prestare attenzione: e cioè che il visto di ingresso viene rilasciato solo dopo l'approvazione del progetto formativo da parte della Regione o Provincia che ospiterà il ragazzo, e di cui scriveremo più avanti. Il progetto formativo diventa quindi il primo elemento da cui partire per svolgere tutta la pratica.

A questo farà seguito un permesso di soggiorno per motivi di studio, che va richiesto appena sbarcati in Italia, «entro massimo otto giorni», mentre il tirocinio è da attivare «entro 15 giorni dalla richiesta» chiarisce la regolamentazione di riferimento. Quella adottata nel 2014 a seguito delle Linee guida generali sui tirocini nel 2013 poi aggiornate nel 2017, ovvero le Linee guida in materia di tirocini per persone straniere residenti all'estero della Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato e le Regioni. Questo documento, che rimanda al Testo Unico sull'immigrazione del 1998, spiega sostanzialmente come applicare quell'atto e stila le regole generali a cui guardare nel caso di stage extracurricolare per stranieri (per i curriculari la normativa di riferimento è il vecchio, e ormai inadeguato, dm 142/1998). Anche se – specifica il testo – si tratta di norme complementari, e per le tematiche omesse si farà riferimento al testo generale sui tirocini.

Quanto alle tempistiche piuttosto strette tra rilascio del permesso e attivazione dello stage, le aziende possono però stare tranquille: «Basta il documento che attesti la richiesta, ovvero la ricevuta in cui viene fissato l'appuntamento» garantisce Anna Rogg, responsabile ufficio tirocini dell'Istituto europeo di design Ied che si trova spesso a fronteggiare situazioni simili: nel solo 2018 lo IED ha gestito, per esempio, oltre settanta procedure per l'attivazione di tirocini in favore di giovani non europei. Il rischio sarebbe altrimenti quello di aspettare mesi prima che il permesso, o il rinnovo, veda effettivamente la luce.

Tra le regole stabilite ad hoc per i tirocini attivati in favore di stranieri troviamo per esempio i limiti di durata. Come minimo tre mesi, sancisce la normativa, e massimo dodici al pari degli altri tirocini. Non solo, ma l'azienda – secondo la normativa – deve anche farsi carico di «idoneo vitto e alloggio del tirocinante», oltre alla indennità di partecipazione allo stage. I primi due non possono però essere inclusi nel rimborso spese, e sono da calcolare a parte. Inoltre, qualora il permesso scadesse e lo stagista si ritrovasse sprovvisto di documenti, a quel punto sarebbe l'azienda a doversi far carico «a proprie spese dell'eventuale rientro coattivo del tirocinante».

Quanto al progetto formativo di cui sopra, deve essere «funzionale al completamento di un percorso professionale». La legge in questo senso fa da scudo alle eventualità di stage truffa, dispondendo un esplicito diviento nei confronti di tutte le attività per cui «non sia necessario un percorso formativo», così come «per professionalità elementari, connotate da compiti generici e ripetitivi, ovvero attività riconducibili alla sfera privata». Il tirocinio deve insomma essere reale, con tutti i crismi.

Ed è qui che la palla passa ai territori, con Regioni e Provincie chiamate a occuparsi di ratificare con relativo visto i progetti formativi, basandosi per la procedura sulle proprie normative interne. Protocolli, uffici e moduli cambiano quindi da zona a zona, a seconda dei singoli ordinamenti. Gli enti locali hanno 60 giorni per dare l'approvazione e passare il documento alla rappresentanza consolare che dovrà concedere il visto di ingresso. Ma i tempi potrebbero allungarsi di molto perché oltre ai due mesi per dare l'ok al progetto formativo, ce ne sono altri tre che la legge concede a ambasciate e consolati per il visto. C'è dunque da organizzarsi per tempo perché in tutto potrebbero passare ben cinque mesi. Ed è importante sapere che a occuparsi delle comunicazioni tra azienda ospitante e tirocinante deve essere anche in queste circostanze l'ente promotore (ruolo che potranno assumere gli stessi enti che si adoperano per attivare gli stage per italiani o comunitari, come sancisce la normativa).


E se l'azienda dovesse decidere di assumere lo stagista? A quel punto le cose cambiano. «Lì non basta il permesso di studio, ma occorre un nulla osta al lavoro» spiega ancora Rogg dell'ufficio stage Ied. Ma «la conversione è possibile solo nei limiti della quota annualmente stabilita» chiarisce il sito di Assolombarda. E bisogna dunque fare riferimento al decreto flussi, la norma emanata annualmente dal governo per stabilire quanti non co
munitari possono entrare ogni anno in Italia per ragioni di lavoro.

Ilaria Mariotti 

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