Precarietà a teatro, si va in scena ma senza tutele retributive: il rinnovo del contratto è in ritardo

Benedetta Mura

Benedetta Mura

Scritto il 03 Mar 2022 in Approfondimenti

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Giovane e di talento ma precario. Attore professionista dal 2017, Jacopo Bottani ha trent'anni e lavora nel mondo del teatro: ma senza un contratto stabile. «Con le compagnie con cui collaboro ho solo contratti a chiamata. Per mantenermi svolgo diversi lavori al di fuori del teatro» racconta. Adesso, tra uno spettacolo e l’altro, fa supplenze nelle scuole, ma ha lavorato anche come insegnante privato, educatore e operatore teatrale e infine nel settore dei multiservizi.

Questo si chiama multiple job holding: è un fenomeno noto e diffuso tra i giovani lavoratori dello spettacolo, e più in generale riguarda chi per mantenersi svolge più impieghi contemporaneamente. Un tema affrontato anche nella primavera del 2021 in un’indagine della commissione parlamentare Cultura, Scienza e Istruzione assieme a quella del Lavoro pubblico e privato.

«Ritengo che la maggior parte dei giovani attori oggi non possa vivere di solo teatro. C’è tanta formazione ma pochi posti di lavoro e pochi fondi per il settore», dice con rassegnazione l'attore: «Sempre più spesso succede che gli attori diventano gli imprenditori di sé stessi, costretti a trovare da soli le forze produttive per far vivere i propri progetti».

Quegli stessi progetti che fruttano una retribuzione annuale pari, in media, a 10.492 euro (e circa 91 giornate pagate). La cifra è diminuita rispetto all'anno precedente di quasi il 2%: nel 2019 lo stipendio medio era di 10.685 euro (e 100 giornate pagate). A renderlo noto è l’indagine del coordinamento statistico dell’Inps, pubblicata a maggio 2021. E non sorprendentemente gli occupati del settore dello spettacolo (cinema, teatro, televisione, musica) sono diminuiti di 70mila unità (meno 21%), passando dai 331.500 del 2019 a poco meno di 262mila nel 2020. Sicuramente l’anno più difficile: il Covid ha contribuito a peggiorare una situazione già di per sé instabile.

Secondo Sabina Di Marco, segretaria del sindacato dei lavoratori della comunicazione della Cgil, il problema alla base «è che il contratto collettivo nazionale non viene applicato in maniera così diffusa. Al momento, però, non sono disponibili dati che quantifichino il numero esatto di infrazioni e inadempienze del Ccnl».

Il contratto che tutela i lavoratori teatrali (rinnovato ad aprile del 2018) è scaduto il 31 marzo 2021 e ancora, a distanza di quasi un anno, non è stato rinnovato. «Ci stiamo lavorando: nel giro di un mese faremo la prima richiesta per un incontro formale con tutti gli altri enti» assicura Di Marco, e sottolinea che il contratto collettivo in questi tre anni ha portato anche dei risultati positivi. In primis una sezione interamente dedicata al lavoro autonomo. La novità è l’introduzione di un compenso superiore al 50% rispetto al minimo contrattuale giornaliero, che varia a seconda di ogni singola categoria.

Le professionalità del teatro sono molto diverse – dall’attore al ballerino, dal direttore di scena al fonico, dal macchinista al parrucchiere... – e i compensi minimi sono minuziosamente differenziati per categorie, ma lo scarto è di pochi euro: da 74,30 euro al giorno per alcune mansioni a 71,10 euro per altre. Cifre che, rispetto al 2018, sono aumentate progressivamente del 12% (+5% dal 2018, +3% nel 2019 e +4% nel 2020). Quantomeno sulla carta. I compensi vengono definiti sulla base di un inquadramento professionale ed economico delle diverse categorie di lavoratori. Si va dal primo livello che riguarda i professionisti con funzioni direttive e un’alta qualificazione professionale al settimo livello che, invece, interessa i lavoratori che eseguono mansioni faticose e che non comportano una specifica conoscenza e pratica.

Non sempre, però, questi professionisti vengono pagati. Capita sempre più spesso che le prove degli spettacoli o le fasi di scrittura di un progetto teatrale non vengano retribuite. «Dobbiamo regolamentare tutti questi aspetti
» ribadisce Di Marco: «Il contratto collettivo prevede minimo 21 giorni di prove retribuite. Effettivamente sono pochi, solitamente servono più giorni per provare uno spettacolo ed è vero che spesso non vengano pagate. È uno dei punti a cui stiamo lavorando per rafforzare la prossima piattaforma contrattuale».

In questi anni ha sollevato diversi dibattiti anche il lavoro intermittente a tempo determinato, il contratto più diffuso tra gli scritturati, specialmente quelli più giovani. È stato regolamentato al fine di “contrastare forme di lavoro irregolare o sommerso, in considerazione della discontinuità e ciclicità dell’attività che caratterizza il settore” (ccnl 2018). Il contratto deve prevedere la durata, l’oggetto della scrittura e la tipologia di prestazioni richieste allo scritturato, il luogo, le modalità di lavoro, l’eventuale disponibilità di risposta alla chiamata, i tempi di pagamento e il trattamento economico. Aspetti contrattuali imprescindibili ma non sempre rispettati.

«Spesso succede che le giornate di lavoro siano più di quelle pattuite e contrattualizzate. Questo avviene soprattutto per spettacoli e debutti e quindi capita di lavorare senza essere pagati», dichiara con consapevolezza Jacopo Bottani. Il lavoro intermittente, inoltre, può prevedere l’indennità di risposta alla chiamata, che consiste nell’obbligo da parte del lavoratore di farsi trovare sempre disponibile, percependo di conseguenza il 20% del proprio compenso nelle giornate in cui rimane a disposizione (anche nei giorni in cui non viene chiamato). E se corrisposta l’indennità non è coperta dai contribuiti, che dovranno essere riscattati successivamente e pagati al 50% dal datore di lavoro. Invece, in caso di malattia il lavoratore non matura il diritto all’indennità.

Tra le forme contrattuali c’è anche la scrittura individuale con compenso base mensile. Una novità introdotta con l’ultimo Ccnl e che potrebbe essere riconfermata anche con il prossimo rinnovo. Una formula inedita e sperimentale caratterizzata da un compenso base mensile a cui si aggiunge “un ulteriore compenso giornaliero da riconoscere per ogni giornata nella quale allo scritturato viene richiesta la prestazione” (ccnl 2018). In questo caso la scrittura non può avere durata inferiore ai 30 giorni. «Questa formula è stata inserita per garantire che i lavoratori autonomi venissero pagati con una certa periodicità» spiega Di Marco: «La continuità di reddito è il nostro obiettivo. Purtroppo, però, rimane un contratto quasi del tutto inapplicato». Anche se ancora oggi (complice la mancanza di dati) non si conosce quante persone abbiano sottoscritto questo tipo di scrittura.

Per rimediare e aumentare le tutele, lo scopo del prossimo contratto collettivo per i lavoratori dello spettacolo sarà quello di «istituire un comitato sindacale con il compito di verificare l’applicazione del Ccnl e risolvere le controversie», ribadisce la segretaria: «Inoltre vogliamo attivare un osservatorio nazionale che possa censire la condizione del mercato del lavoro e l’applicazione del contratto collettivo. Sono due misure che avevamo già previsto per il Ccnl del 2018 ma che non sono mai state realizzate». Secondo la Cgil «prendere posizione e decidere che parte dei finanziamenti pubblici vengano utilizzati per migliorare i contratti e garantire un lavoro di qualità non è una richiesta peregrina. I soggetti istituzionali
e l’ispettorato del lavoropossono intervenire su questo: ci auguriamo che lo facciano».

Un augurio condiviso anche da Jacopo e da tanti altri giovani lavoratori dello spettacolo che rimangono in attesa di tutele e di una stabilità economica che, però, tarda ad arrivare. «Ci sono centinaia di attori talentuosi che vengono sfornati ogni anno dalle accademie di teatro ma i contratti stabili ci sono solo per pochi di loro. C’è molta precarietà e non è affatto facile andare avanti», conclude l'attore.

Benedetta Mura

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