Motivati, innovativi e con un solido bagaglio culturale: l’identikit degli artigiani del futuro

Matteo Moschella

Matteo Moschella

Scritto il 14 Mag 2016 in Notizie

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Oggi in Italia i giovani vengono spesso dipinti con la valigia in mano. Nelle indagini che si occupano dei laureati si parla di mercato in crisi in vari settori del terziario e dell’industria e dell’importanza di guardare all’estero per migliorare il proprio curriculum. Ai ragazzi e alle ragazze si consiglia di viaggiare, studiare in prestigiose università per aumentare la propria competitività sia in chiave nazionale che internazionale. 

Tuttavia un libro recentemente pubblicato da Marina Puricelli sembra raccontare un’altra possibile via, una via che l’Italia conosce bene nella sua storia e di cui il bel paese può vantare una grande tradizione: quella dell’artigianato.

La Puricelli
è docente di  "Fondamenti di organizzazione" al dipartimento di Management e Tecnologia dell'università Bocconi di Milano. Dopo un dottorato in ricerca e direzione d'azienda si è sempre misurata con piccole e medie imprese, su cui ha pubblicato molti testi.


Il testo, realizzato grazie al contributo di Confartigianato, si chiama “Il futuro nelle mani. Viaggio nell’Italia dei giovani artigiani” (edizioni Egea), e la docente della Bocconi lo ha presentato - insieme a Elisa Tatano, una dei giovani di cui si parla nel libro -  in occasione del festival «Generare Futuro», rassegna organizzata dal Comune di Lodi in collaborazione con la testata online Linkiesta la settimana scorsa.

Il viaggio è una rassegna di storie di under 30 capaci di realizzare iniziative di successo partendo da piccole realtà artigianali preesistenti o iniziando da zero. Iniziative di tutti i tipi: come i ragazzi che si sono messi a fare cover per smartphone nelle Marche, oppure progettando a Rieti serre idroponiche per coltivare pomodori nei deserti, o distillando grappa in Maremma.

La storia di Elisa Tatano è esemplare: figlia dell’imprenditore e artigiano che ha fondato la Tatano, un’impresa che partendo dalla conoscenza agricola, costruisce stufe a combustibile agricolo a Cammarata (in provincia di Agrigento), Elisa ha deciso di trasferirsi a Piacenza per creare un nuovo polo più vicino ai propri clienti. 

Ma il trasferimento al Nord è solo l’ultimo passo di un processo ben più lungo: «Io finivo scuola e andavo alla ricerca di papà, sono cresciuta nella mia azienda. Ne conosco ogni centimetro, il mio inserimento è stato naturale». La Tatano è una piccola impresa familiare con un imprenditore-artigiano, il padre di Elisa, e i suoi due fratelli che si occupano di organizzazione e infrastrutture, dividendosi il lavoro e i ruoli. 

Allo stesso modo hanno deciso di fare anche le nuove generazioni: «Il nostro percorso di studi è finalizzato all’azienda. Se un cugino faceva ingegneria energetica, l'altro sceglieva un altro tipo di ingegneria». La motivazione familiare è stata la molla principale di Elisa: facendo parte dell’azienda «hai un sogno che ti è stato regalato, l’hai fatto tuo e vuoi tramandarlo».

La giovane siciliana è molto coinvolta quando parla della sua esperienza... quasi troppo: «La sua testimonianza all’inizio mi sembrava una storia di marketing» ammette la Puricelli «poi parlando con il padre ho capito: questi ragazzi hanno una motivazione con una forza che le teorie manageriali non possono spiegare, qui c’è molto di più, un coinvolgimento e una motivazione intrinseca».

Tuttavia entrare nel mondo artigianale in modo competitivo non è semplice. La maggior parte di questi ragazzi ha studiato e ottenuto una laurea, prima di cimentarsi nella propria impresa, e ha trovato maestri in grado di insegnare il mestiere. Insomma, chiarisce la Puricelli, non bastano i master per fare start up, ma servono maestri e dedizione.

Nel caso della Tatano anche la famiglia ha contato. Il passaggio generazionale, per esempio, è fondamentale tra Elisa e suo padre, ma va modulato: nelle storie di successo nessuno ha fatto tabula rasa dell’esperienza dei genitori, ma nemmeno ha semplicemente replicato quello che trovava. Bisogna ripetere le esperienze del passato e aggiungere un elemento di innovazione.

La storia di Elisa ricorda secondo l’autrice le principali caratteristiche di un modello di sviluppo economico originale e italiano. Un paradigma che si intravede nella maggior parte delle trenta storie narrate nel libro: sono imprese di piccola dimensione, con una famiglia proprietaria, capitanate da un imprenditore (appoggiato da parenti) e hanno una vocazione creativa, che si può declinare in tutti i settori: gioielli, scarpe, grappe o bomboniere. 

Queste caratteristiche spesso vengono ignorate dalle università italiane, che quando parlano di piccola impresa identificano problemi legati a rigidità, autoreferenzialità del fondatore e nepotismo più che alle competenze. Le stesse università sottolineano l’importanza del cambiamento continuo, invece della riaffermazione di una realtà definita, come raccontano queste storie. 

Il libro insomma testimonia un diverso e possibile scenario. Sì alla innovazione, ma nel rispetto della tradizione italiana del saper fare creativo: non bisogna sviluppare per forza una cultura diversa da quella presente nel paese, o come sintetizza la Puricelli «non bisogna distruggere Amalfi per fare New York».

Matteo Moschella

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