Troppi atenei, troppi docenti, troppi laureati: i falsi miti che affossano l'università italiana

Maurizio Bongioanni

Maurizio Bongioanni

Scritto il 25 Nov 2013 in Notizie

In Italia ci sono troppi atenei, ci sono più docenti che studenti e questi ultimi non pagano abbastanza l'iscrizione all'università. Sarà vero? Il mensile Altreconomia ha recentemente “smascherato” alcuni miti che ruotano intorno al mondo accademico, frutto di distorsioni dell'informazione non sempre casuali ma guidate a volte da precisi intenti politici.
stage lavoroPer sfatare queste leggende metropolitane, pericolose per la percezione e la qualità dell'università italiana, è nato Roars sta per “Return On Academic ReSearch”, un network composto da ricercatori e docenti con l'obiettivo di intervenire in modo credibile nella discussione intorno al settore universitario e della ricerca in Italia. L'intento della rete è quello di rivolgersi agli interlocutori che devono gestire il processo di trasformazione dell’università italiana, specialmente le forze politiche che si candidano a governare il Paese. Tra i membri di Roars c'è Giuseppe Di Nicolao, docente ordinario di Identificazione dei modelli di analisi dei dati presso il dipartimento di ingegneria industriale e dell'informazione dell'università di Pavia. “Scontiamo un grave ritardo su istruzione e formazione che deriva da un retroterra storico molto svantaggiato” ha detto Di Nicolao ad Altreconomia. “Non è solo una sensazione quella per cui ci sia una distorsione dell'informazione”.
Primo mito: si sente dire che in Italia avremmo troppi atenei. Eppure secondo l'Ocse - che ogni anno pubblica dati sui sistemi universitari dei Paesi aderenti - nel 2009 l'Italia aveva 1,6 atenei per milione di abitanti. La Spagna 1,7, la Gran Bretagna 2,3, l'Olanda 3,4, la Germania 3,9, la Francia 8,4, gli Stati Uniti 14,5. La Repubblica degli Stagisti ha contattato Di Nicolao per approfondire ulteriormente questo tema: «l'Italia è stato fino agli anni '70 un paese analfabeta. Poi c'è stato il boom dell'istruzione. O almeno, sembrava un boom ma in realtà si era, e si è ancora, addirittura indietro rispetti agli altri stati». Secondo Di Nicolao la prova sta nel numero di laureati tra i 25 e i 34 anni: «Siamo ultimi in Europa». Sì, ultimi come numero di laureati e lo confermano i dati: 21% contro una media Ocse del 39%, nella fascia delle persone tra 24 e 35 anni. Ma non ne avevamo troppi? Altra disinformazione. Anzi, secondo il consorzio interuniversitario Almalaurea le immatricolazioni si sono ridotte del 13% in sette anni.
Ulteriore leggenda da sfatare quella relativo al numero di docenti (intesi dall'Ocse come chiunque faccia attività didattica): si sente dire anche in questo caso che l'Italia sarebbe un paese densamente popolato da professori; ma in realtà il loro numero, in rapporto agli studenti, fa piazzare l'Italia al 21esimo posto su 26 Paesi. Un dato disponibile a tutti da diversi anni, come ammette lo stesso Di Nicolao, ma non utilizzato probabilmente perché non conforme con una certa ideologia politica. Anche sui dottorandi non c'è storia, l’Italia ricopre gli ultimi posti in questa classifica: è al di sotto della media Ocse e si colloca in 21esima posizione su 32 nazioni. «Non abbiamo un sovrappiù di docenti» conferma infatti ad Rds De Nicolao. Quindi quando politici e studiosi dicono che è necessario tagliare risorse per il fatto che ci sono troppi docenti, non è vero? «Si fa leva su luoghi comuni che derivano da una prospettiva sbagliata».
E a proposito di costi l'analisi di Altreconomia continua spiegando come molti sostengano che le tasse degli studenti (in media 7mila euro l'anno) siano insufficienti a coprire il reale costo del sistema. Ancora l'Ocse, invece, ci indica come terzi nella classifica delle rette: più care dell'Italia solo Gran Bretagna e Olanda. Dal momento che il costo medio per studente è tra i più bassi in Europa, e le tasse sono alte e lo Stato italiano investe poco, si può dire che, dati alla mano, l'Italia spende molto poco per la sua scuola. Anzi, più precisamente l'Italia spende meno di tutte le nazioni europee, tranne che dell'Ungheria. Ancora si possono ricordare le parole dell'ex ministro stage lavoroMariastella Gelmini la quale diceva che l'università italiana costava troppo. E furono approvati i tagli: da 7,3 siamo passati a 6,6 miliardi di euro, diventando il taglio più corposo in Europa.
«Quello che è un problema strutturale viene ricondotto a problema antropologico»
continua Di Nicolao. «Cioè si dice: ci sono troppi anziani nelle università e i giovani sono pigri. Ma questo è un modo di non vedere il reale problema che sta nel sostegno allo studio. Ad esempio ci sono borsisti hanno tutti i requisiti per avere diritto al sostegno allo studio. Per mancanza di risorse questo non viene dato».
Viene da chiedersi: la disinformazione fa parte degli intenti politici, e se sì, qual è l'obiettivo? Ancora Di Nicolao: «sicuramente c'è una lettura ideologica, quindi succede che opinionisti e studiosi predichino sempre la stessa ricetta distorcendo i dati a sostegno delle proprie tesi. È come il fanatismo religioso: nessuno usa un approccio scientifico parlando di università. Rimasi stupito sentendo dire un ex ministro dell'istruzione, che era stato anche rettore di università, che l'Italia è l'unico paese ad avere così tanti 'fuori corso'. Ma i dati dicono il contrario. Ecco, è dannoso parlare solo attraverso preconcetti perché poi la politica non risolverà i problemi veri. Non sa individuarli». In conclusione, la domanda che Di Nicolao si pone - e che si era posto anche su Altreconomia - è di cruciale importanza: «Che sistema produttivo è quello che non sa che farsene della percentuale più bassa di laureati in Europa? Un sistema arretrato». Un Paese talmente poco istruito che non percepisce nemmeno il ritardo in cui vive: il fatto che un laureato non trovi lavoro nel Paese con il più basso tasso di laureati in Europa è un segnale allarmante di un sistema produttivo bloccato e senza soluzioni.

Maurizio Bongioanni

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