Mismatch tra domanda e offerta di lavoro, 235mila posti vacanti. Confcooperative: «Riaffermare gli istituti tecnici»

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 17 Ott 2021 in Notizie

confcooperative linkedin mismatch domanda / offerta di lavoro

Mancano all'appello 235mila lavoratori. Se trovati, «farebbero aumentare il Pil di oltre 21 miliardi, pari all'1,2 per cento del totale» afferma Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, commmentando i dati dell'indagine condotta insieme al Censis 'Mismatch, il grande gap da sanare'. Una stortura di vecchia data nel mercato del lavoro italiano, che persiste senza miglioramenti. La conseguenza è, continua Gardini, «una limitazione alla crescita e all'occupazione nel momento in cui registriamo due milioni e 300mila disoccupati e 3 milioni di Neet, di cui oltre il 53 per cento di donne». Una perdita «incomprensibile» che «richiede misure urgenti di politiche attive per riconnettere domanda e offerta lavoro»: serve un «patto sociale tra imprese e rappresentanze dei lavoratori», secondo Gardini, per convergere su obiettivi «che facciano ripartire il paese».

La storia si ripete, perché a mancare non sono tanto i posti di lavoro o la voglia di lavorare, come talvolta si dice. Bensì l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro, il famoso mismatch, ovvero imprese che offrono lavoro ma non trovano personale con i giusti requisiti, o candidati che non corrispondono a nessuno dei profili ricercati.

Si prendano i Neet, «zoccolo inscalfibile» come li definisce lo studio, che testimonia come vi rientri un giovane su quattro nella fascia 15-29 anni, per un totale di 2 milioni e 100mila soggetti, su 9 milioni totali appartenenti a questa fascia di età, e di cui più della metà è costituito da donne (52,7 per cento). Di questo folto gruppo sono in 258mila a essere laureati, il 12,3 per cento del totale, senza – nonostante il titolo di studio – riuscire a trovare una collocazione lavorativa. Un dato che si ripete anche tra i disoccupati generali, (2 milioni e 300mila), di cui 309mila risultano in possesso di una laurea, mettendo in evidenza come, si legge nello studio, «il titolo di studio non garantisca l'occupazione».

Fra i Neet chi possiede un basso titolo di studio rappresenta solo il 36 per cento. Dunque i giovani che non studiano e non lavorano restano fuori dal mercato del lavoro benché spesso preparati, solo perché le aziende non cercano soggetti con quel tipo di percorso formativo, oppure sono loro stessi a non sapere a chi proporsi. Si crea così un distacco che può essere «spia – al di là di situazioni individuali e sociali, scelte personali e motivazioni delle più diverse
di un mancato raccordo fra i processi di formazione e l’avvio di un percorso lavorativo» scrivono ancora gli analisti. Una condizione che rischia poi di «alimentare quella disaffezione al lavoro che si aggira minacciosamente e che può condizionare negativamente gli esiti di tanti impegni orientati alla ripresa».

Fondamentale per coprire le mancanza di personale adeguato è il rilancio di «competenze che supportino i processi di cambiamento» e, secondo il mantra che si ripete da anni, riaffermare «il protagonismo degli istituti tecnici». Dallo studio arriva anche una stoccata al reddito di cittadinanza, considerata una «soluzione sacrosanta per tamponare l’insorgenza della povertà anche di chi è occupato». Ma resta il nodo di «affrontare alla radice il tema dell’occupabilità». Non si può sfuggire quindi «al miglioramento degli strumenti di collocamento pubblici con l’aiuto dei privati».

Le difficoltà registrate nell'incrocio tra domanda e offerta di lavoro si evincono anche da LinkedIn. Non è facile per le aziende trovare i profili che cercano, e la riprova è che gli annunci restano attivi per molto tempo, oltre un mese, senza trovare il candidato adatto. «Basandoci su dati estratti dalla piattaforma LinkedIn» è scritto nell'indagine, «emerge come su un totale di 153mila annunci pubblicati dalle aziende che risultano ancora attivi, il 57 per cento, quindi oltre la metà, è stato pubblicato nell’ultimo mese, il 16,1 per cento nell’ultima settimana e l’1 per cento nell'ultimo giorno». Ne deriva che «uno su due è attivo in piattaforma da oltre un mese», senza però trovare riscontro. Giace quindi inascoltato, proprio nel social specializzato nell'incrocio tra domanda e offerta di lavoro, che in media raccoglie circa 25mila annunci a settimana e 1.600 giornalmente. Si tratta insomma della riprova, anche sul web, che i candidati risultano spesso «di difficile reperimento», dando «la misura delle frizioni che caratterizzano il rapporto fra domanda e offerta di lavoro».

L’outlook sull’occupazione di Manpower Group, fa sapere ancora lo studio, anticipa che nel quarto trimestre il 43 per cento delle imprese intervistate prevede di aumentare il proprio organico e i settori più richiesti secondo le previsioni risultano essere ristoranti e alberghi, fra i più colpiti dalle restrizioni dovute alla pandemia, e poi finanza e servizi alle imprese, e attività manifatturiere. 
Rispetto all'annus horribilis 2020, se venisse confermata la stima di crescita certificata dall'Ocsse, avremo un un prodotto interno lordo pari a 1.751 miliardi di euro, pari a 97,6 miliardi in più rispetto all'anno precedente. Ebbene, chiarisce il rapporto, con la forza lavoro necessaria, «il Pil del 2021 avrebbe raggiunto una cifra di poco superiore ai 1.770 miliardi, senza contare gli effetti positivi sui livelli di occupazione e reddito disponibile».

Ilaria Mariotti

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