Ragazze, niente deve impedirvi di studiare materie scientifiche: scienziate e giornaliste in campo contro i pregiudizi

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 25 Nov 2016 in Notizie

Informatica ingegneria occupazione femminile STEM università e lavoro

Nell’anno accademico 2015/16 le facoltà scientifiche si sono attestate per la seconda volta in cima alle preferenze dei giovani italiani. Secondo i dati dell’Anagrafe nazionale studenti (Ans), il 36% dei nuovi iscritti hanno optato per l’area scientifica, preferendola all’area sociale (34%), a quella umanistica (19%) e a quella sanitaria (11%). Il sorpasso era avvenuto l’anno prima, quando le immatricolazioni nell’area scientifica (34,45%) avevano superato di misura quelle nell’area sociale (34,31%).

Un cambiamento epocale, se si pensa che dieci anni prima le facoltà dell'area sociale – tra cui rientrano Giurisprudenza, Scienze politiche, Economia e Psicologia – registravano un +13% su quelle scientifiche (42% contro 29%). In un decennio gli immatricolati di queste materie sono passati da 91mila a quasi 100mila. Questo, nonostante la riduzione del numero di immatricolazioni totali, dalle 318mila del 2005/06 alle 276mila del 2015/16.

Insomma, le materie Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) – nonostante la crisi di fiducia generale verso l'università
fanno sempre più presa sulle nuove generazioni, soprattutto alla luce dei maggiori sbocchi occupazionali, oltre che degli stipendi mediamente più alti. Si stima infatti che nel 2020 in Europa si creeranno 900mila posti di lavoro solo nel settore Computer science.

Ma la rivincita dei numeri riguarda anche le donne? Da questo punto di vista esiste ancora un gap di genere. Nell’anno accademico 2015/16 l’area scientifica è stata scelta solo dal 37% delle donne contro il 63% degli uomini. Esattamente le stesse percentuali di dieci anni prima. Dunque non è cambiato proprio nulla in un decennio?
La Repubblica degli Stagisti lo ha chiesto a Sveva Avveduto, già direttrice dell' Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e attiva nell’associazione Donne e Scienza: «In realtà qualcosa è cambiato. Ci sono molte più donne ingegnere e chimiche, per esempio. In generale oggi le donne laureate sono più degli uomini: il problema si registra soprattutto nell’accesso al mondo del lavoro».

Avveduto ha trattato questo tema in due volumi scritti a più mani, Portrait of a Lady e Scienza, genere e società. Prospettive di genere in una società che si evolve. Emblematici i dati riguardanti le donne e la ricerca. Qui, se al grado iniziale di carriera si registra quasi una parità di genere (48% di donne), subito dopo subentra la sperequazione: solo nel 39% dei casi le donne diventano primi ricercatori, nel 24% dirigenti di ricerca e appena nel 17% dei casi direttori di istituti di ricerca e di dipartimento.

Ma quale potrebbe essere la soluzione per infrangere il famoso “soffitto di cristallo”?  «Quella fisiologica
presume un enorme quantità di anni» afferma la dirigente di ricerca Irpps-Cnr «quindi forse sarebbe meglio imporre un obbligo di equilibrio di genere, come è stato fatto negli enti pubblici e nei consigli di amministrazione. Le quote di genere sono un modo per forzare la situazione, ma almeno far sì che si possa sbloccare in breve tempo».

Tante le iniziative a livello internazionale e nazionale per promuovere la parità nell’accesso alle carriere scientifiche. Una delle più significative è l’Ada Lovelace Day, una giornata mondiale in onore delle donne scienziate e dei risultati da esse ottenuti. Ada Lovelace, figlia del poeta Byron, collaborò con Charles Babbage alla nascita del primo algoritmo “per computer” al mondo, nell’Ottocento, ed è quindi considerata la prima programmatrice informatica della storia. In coincidenza con l’International Day of Women and Girls in Science 2016, il Miur, attraverso il portale Noi siamo pari, ha lanciato “Le studentesse vogliono contare - Il mese delle STEM”, un’iniziativa rivolta alle scuole per contrastare il divario di genere attraverso una serie di attività: percorsi di formazione e didattica specifica, giochi logico-matematici, convegni.

Ma nonostante l’impegno per promuovere la parità e i successi raggiunti nei secoli dalle donne in campo scientifico, nel 2016 ancora restano in piedi molti pregiudizi. A tal proposito ha fatto discutere un recente articolo del matematico Piergiorgio Odifreddi su Repubblica, in cui si legge: «Le donne scienziate sono comunque meno di quante ci si potrebbe aspettare. Ad esempio, quest’anno nessuna donna ha vinto un premio Nobel. E fino allo scorso anno l’hanno vinto 16 nella pace, 15 in letteratura, 12 in medicina, 4 in chimica, 2 in fisica e 1 in economia. Inoltre, 2 donne hanno vinto finora il premio Turing per l’informatica, 1 la medaglia Fields in matematica e nessuna è mai stata campionessa mondiale di scacchi. Una progressione discendente, che sembra indicare come l’attitudine femminile sia direttamente proporzionale alla concretezza e indirettamente proporzionale all’astrazione».

È davvero solo questione di attitudine? Sveva Avveduto stronca questa interpretazione: «Le ragioni sono tante, ma tra queste non c’è assolutamente l’attitudine all’uno o all’altro tipo di studio. La questione è soprattutto culturale e composta di norme sociali e stereotipi che subiamo sin da quando siamo bambine, con l’imposizione della scelta della Barbie e non dell’aeroplanino, del rosa e non dell’azzurro».

Anche l’immagine della società proposta dai media contribuisce ad alimentare gli stereotipi di genere. Secondo il Global Media Monitoring Project 2015, uno studio internazionale sulla copertura delle notizie da parte dei media, questi ultimi dedicano molta più visibilità agli uomini rispetto che alle donne. «In Italia le voci femminili nei mezzi di informazione rappresentano solo il 18%, percentuale che scende al 10% per quanto riguarda le fonti esperte in area Stem» conferma alla Repubblica degli Stagisti Giovanna Pezzuoli, giornalista dell’Associazione Gi.U.Li.A. (Giornaliste Unite Libere e Autonome) e co-ideatrice – insieme alla collega Luisella Seveso e a Monia Azzolini dell’Osservatorio di Pavia Media Research del progetto 100 donne contro gli stereotipi.

Dall'inizio di novembre è online 100esperte.it, una banca dati virtuale che raccoglie 100 nomi di esperte nell’area STEM fra accademiche e professioniste, selezionati con criteri di merito (pubblicazioni, brevetti, incarichi), territorialità e interesse giornalistico, dal Centro Genders di Milano, e passati al vaglio di un Comitato scientifico. Il progetto, che si avvale della collaborazione della Fondazione Bracco e della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, nel 2017 dovrebbe allargarsi ad altri settori a predominanza maschile: economia, finanza, storia e archeologia.

«La nostra speranza è quella di contribuire entro il 2020, anno in cui sarà pubblicato il prossimo Global Media Monitoring Project, a raddoppiare il numero di donne esperte interpellate dai media» dice Giovanna Pezzuoli, e la sfida di “100 donne contro gli stereotipi” va ben oltre il piano mediatico: «Il nostro progetto vuole essere uno strumento per incentivare le ragazze a scegliere una carriera nell’area Stem, proponendo modelli positivi di donne che ce l’hanno fatta, professioniste in gamba che lavorano ad altissimi livelli e che, nella maggior parte dei casi, hanno anche famiglia».

Ma perché oggi una ragazza dovrebbe avere interesse a prendere in considerazione le materie scientifiche? «Perché sono settori strategici per lo sviluppo del paese, dove c’è meno disoccupazione, dove si fa carriera in modo più chiaro, per titoli e meriti, e dove chi ottiene dei risultati quasi sempre viene premiato». Non proprio fattori di secondo piano.

Rossella Nocca

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