Sempre più giovani fuggono all'estero: e le famiglie, come la prendono?

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 15 Mag 2018 in Approfondimenti

esperienza all'estero Expat

Cosa provano le vecchie generazioni nel vedere così tanti giovani italiani partire per l’estero? Sono felici al pensiero che figli e nipoti possano essere cittadini del mondo, e viaggiare con una facilità per loro impensata, conoscere nuove città, nuove culture – e scegliere in completa libertà dove mettere radici, vivere, lavorare? Oppure sono perplessi al pensiero di quest’Italia che non riesce a garantire ai propri giovani condizioni dignitose e li costringe a scappare lontano, alla ricerca di un posto che sappia meglio valorizzare ciò che hanno imparato a scuola e all’università? Forse addirittura un po’ si vergognano pensando a tutto ciò che hanno avuto a disposizione loro, negli anni Sessanta e Settanta, quando erano giovani e tutto sembrava più facile – trovare lavoro, avere un congruo stipendio, comprare casa, farsi una famiglia?

stage lavoro expatNon c’è una risposta univoca, e la cosa bizzarra è che la maggior parte delle volte tutte e tre le risposte sono valide. Assunta Sarlo, 59 anni, calabrese trapiantata a Milano,
è stata una firma del quotidiano il manifesto e oggi è freelance per molte testate; in prima linea sul fronte delle battaglie femministe, ha scritto anche un libro qualche anno fa sulla partecipazione delle donne alla politica. Ma il tratto più importante della sua biografia, in questo frangente, è che entrambi i suoi figli sono andati a vivere a Londra.

Da questa esperienza personale, come spesso accade, è scaturito un interesse più grande – quello ad indagare attraverso un libro, intitolato “Ciao amore ciao” e appena pubblicato da Cairo, il fenomeno degli expat da un punto di vista inusuale: quello dei genitori che stanno accanto a questi figli, a distanza.

Vederli crescere, guardarsi intorno, e maturare un certo punto la scelta di lasciarsi l’Italia alle spalle – per un po', o forse per sempre. Sarlo ha dunque individuato nove famiglie oltre alla sua, sparse per l’Italia, dalla Lombardia alla Sicilia, e le ha intervistate a fondo. Ha chiesto loro non solo di raccontare le storie dei loro ragazzi lontani, ma anche soprattutto di confidarle ciò che provano quando pensano al futuro. All’impossibilità di vivere un rapporto stretto con i loro figli, perdendo l'elemento della quotidianità; alle paure legate alla sicurezza degli ambienti in cui questi figli si muovono; al fatto che per andare a trovarli bisogna prendere aerei e a volte attraversare continenti e fare i conti con fusi orari inclementi. Come si sentono al pensiero che quando e se questi figli, al momento tutti molto giovani, decideranno di mettere su famiglia, sarà complicato fare i nonni a distanza.

Sono tutti aspetti a cui probabilmente nessun giovane pensa quando decide di provare la carta dell’estero. Nella selva di dubbi e incertezze che attanaglia quasi tutti coloro che a un certo punto della loro vita si guardano intorno e decidono che qui, ora, non c’è quello che cercano, e si inventano una strada altrove, non c’è posto, il più delle volte, per una riflessione sul vuoto che lasciano.

Eppure di vuoto si tratta: non solo quello fisico delle loro camerette sgomberate – alla fin fine, non così differente del vuoto di quelli che restano in Italia e che magari si spostano a vivere da soli o in una città vicina. Ma soprattutto il vuoto emotivo: sapere tuo figlio lontano, in un posto dove si parla un’altra lingua, dove si vive secondo un’altra scala di valori, con abitudini e regole diverse. E lo spaesamento di essere consapevoli che quel figlio sta facendo un percorso che lo allontana irrimediabilmente da te, dalla famiglia, da quello che è stato condiviso fino al momento della partenza.

Il libro di Assunta Sarlo mischia le storie di vita vissuta di queste dieci famiglie (la decima è proprio quella dell’autrice, che per indagarla ha intervistato… il marito!) con dati statistici, cercando di fare chiarezza sui veri numeri dell’emigrazione degli ultimi anni: liquida, difficile da mappare, sfuggente. Col supporto di voci autorevoli – tra le quali quelle di Alessandro Rosina, direttore del dipartimento di Statistica dell’università Cattolica di Milano e responsabile del Rapporto Giovani della Fondazione Toniolo – analizza le cause e le conseguenze di questi nuovi fenomeni migratori che qualcuno chiama “glomigrations”, attribuendo ai “glomigrants” un capitale sociale peculiare fatto «di istruzione, professionalità e plurilinguismo».

«Siamo in cammino accanto a loro» scrive Sarlo verso la fine del libro. Cinquantenni, sessantenni, settantenni che imparano a fare le videochiamate con Skype, a usare le chat di Whatzupp per aggiornamenti in tempo reale della “family” dai quattro angoli del mondo, che diventano bravissimi a individuare le offerte di voli low-cost per fare un’improvvisata fuori programma quando la nostalgia morde più forte. Che ripensano – talvolta a malincuore – la gestione delle loro case ammettendo che probabilmente i loro figli non vivranno nella loro stessa città, e non avranno bisogno di quelle case in eredità. Che raccontano e si raccontano su Internet, come accade nelle pagine del blog Mamme di cervelli in fuga.

Genitori che imparano nuove lingue, e nelle nuove città dove i figli si sono trasferiti si fanno guidare da loro per strade nuove, in posti nuovi. Madri e padri fieri, che guardano ammirati i loro ex bambini farsi strada in ambienti sconosciuti, studiare con profitto in lingue diverse dall'italiano, industriarsi anche a fare lavoretti umili per contribuire al proprio mantenimento – e poi ottenere buone opportunità di carriera, laute retribuzioni. Genitori più che consapevoli che qui in Italia probabilmente quegli stessi figli, con quelle stesse carte, non sarebbero riusciti a ottenere altrettanto. Genitori che imparano a rapportarsi con fidanzate e fidanzati stranieri, ché l'antico detto “moglie e buoi dei paesi tuoi” non ha davvero più senso di esistere.

Genitori che poi tornano a casa. E ricacciano indietro l’amarezza di saperli così lontani, e sperano che la politica italiana prima o poi faccia qualcosa per invertire la rotta e permettere loro, se lo vorranno, di tornare.

Eleonora Voltolina

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