Lavoratori autonomi, il sistema previdenziale va cambiato: altrimenti le pensioni saranno troppo basse

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 02 Mar 2016 in Approfondimenti

freelance pensioni

Inversione di rotta per il lavoro autonomo, che da qualche tempo è finalmente approdato al centro del dibattito. Complice il disegno di legge – il cosiddetto Jobs Act dei lavoratori autonomi – approvato di recente dal governo e accolto con favore dalle principali associazioni di categoria (tra le novità maggiori, le tutele nei casi di malattia e maternità). Ma il punto è: si tratta anche di un primo passo verso una più equa definizione del sistema previdenziale dei liberi professionisti? Perché il problema cruciale è quello delle pensioni che tra trenta o quarant'anni percepiranno gli attuali «freelance».

Un universo che, se visto attraverso il filtro delle casse previdenziali private a cui si appoggia, può contare su «circa un milione e mezzo di individui e 500mila dipendenti, con effetti sul Pil per il 10 per cento e più di 70 miliardi di patrimonio in gioco»: a parlare è Alberto Oliveti dell'Adepp [nella foto a destra], associazione che federa 19 casse di previdenza private, al convegno romano organizzato qualche giorno fa da Confprofessioni con alcuni tra i protagonisti del settore: Maurizio Del Conte, docente universitario e tra gli “ideatori” del Jobs act del lavoro autonomo;
la leader della Cgil Susanna Camusso; e due ex ministri del lavoro, Cesare Damiano, oggi presidente della commissione Lavoro della Camera, e il suo omologo al Senato Maurizio Sacconi.

I numeri ricordano l'importanza del comparto e impongono una riflessione sul settore previdenziale a cui fa riferimento, onde scongiurare il rischio «che diventi insostenibile» secondo l'allarme di Damiano. Diversi i nodi da sciogliere. C'è per esempio quello dell'aliquota contributiva al 27%, oggetto di annose battaglie tra esecutivo e parti sociali che ne chiedono l'abbassamento (pur consapevoli che significherebbe ridurre – giocoforza – la pensione finale). Nella scala di priorità di Damiano l'obiettivo è la stabilizzazione a questa soglia: «Non possiamo far pagare ai freelance le stesse cifre dei dipendenti, sarebbe una contraddizione». Anche perché, prosegue, «benché l'Europa ci chieda di continuo di ritoccare le pensioni che pesano sul Pil per il 16%, si dimentica che tale quota comprende una fetta di tassazione pari a 43 miliardi».

Soldi che corrispondono alle imposte pagate ogni anno sui trattamenti pensionistici che, al contrario di quanto si potrebbe credere, non sono esenti dalla mano del fisco. Vale a dire: una parte di ciò che lo Stato versa ai suoi ex lavoratori ormai in pensione, viene trattenuto. «Un'imposizione feroce che abbassa il netto percepito dai beneficiari» sintetizza il presidente della commissione Lavoro. Ma anche una quota che rientra nelle casse dell'erario. In quest'ottica infatti i conti cambiano e il peso della previdenza si contrae, scendendo al 12% del Pil, una percentuale «che rientra nella media della Ue».

Il timore di Cesare Damiano è che di questo passo «avremo fabbriche con persone di 70 anni – visto che non si comincia più a lavorare a venti – con a casa figli e nipoti disoccupati». Dunque è ora di riformare il sistema: l'ex ministro, in riferimento alla questione dell'età pensionabile, pensa sopratutto che si dovrebbe tutelare chi per esempio ha svolto per una vita mansioni pesanti o lavori non gratificanti. 
«Si deve distinguere tra infermieri e parlamentari, tra chi ha bisogno di staccare e chi non vorrebbe smettere mai» esemplifica.


Ma al di là dell'età in cui si andrà in pensione, il nodo vero è quanto si percepirà. E il problema degli autonomi è che i contributi sono spesso bassi e discontinui, con l'ulteriore aggravante di essere talvolta spezzettati in più casse. Una delle soluzioni per il futuro delle casse di previdenza potrebbe essere la
creazione di fondi di garanzia intercassa, ipotesi sostenuta anche da Sacconi: «O così o attraverso megafusioni tra istituti di previdenza: altrimenti non vedo alternativa» ragiona, perché «lo Stato non può essere un prestatore di ultima istanza». La sua idea è quella di «regolare meglio le prestazioni», includendone alcune «personalizzate, che rispondano a eventi negativi». Un welfare individuale dunque, con caratteristiche che possano adattarsi al singolo, a cui si affianchi un secondo pilastro «massificato, collettivo, e che si rifaccia al modello conosciuto finora», specifica Sacconi. In sostanza un paradigma previdenziale in cui si combinino prestazioni integrative a un «long term care obbligatorio». Per Oliveti andrebbe fornita assistenza sotto forma di «sostegno al lavoro e mantenimento della salute e della formazione». La strada sembrerebbe in definitiva quella dell'aumento dei contributi, ma declinati secondo un nuovo schema, dove la parte obbligatoria accompagnerebbe quella volontaria e integrativa

La moderna definizione del lavoro autonomo passa quindi per la riforma del suo sistema previdenziale. Anche perché la quota di indipendenti sembra destinata a crescere con gli anni, con un vero e proprio boom in vista – e pesanti ricadute previdenziali. Qualcosa sta davvero cambiando se la stessa Susanna Camusso, che con la Cgil è stata per decenni la voce del solo lavoro dipendente, ha preso la parola per presentare al pubblico la Carta dei diritti universali del lavoro, ovvero un nuovo statuto dei lavoratori rivolto finalmente anche ai freelance. Un documento destinato nelle intenzioni a diventare una proposta di legge di iniziativa popolare
«Negli ultimi ven'tanni si è tentato di svuotare i diritti dei lavoratori. Così è stato per il Jobs Act, nella logica di ridurre i diritti e abbassare i costi» ha commentato la leader Cgil. «Il lavoro è invece ciò che produce ricchezza» ha scandito, «che sia autonomo o subordinato. E dobbiamo tornare a valorizzarlo».

Ilaria Mariotti 

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