Laurea abilitante non solo per i medici, ora vale anche per farmacisti, psicologi, veterinari: cosa vuol dire per i giovani

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 08 Gen 2021 in Approfondimenti

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Dopo il corso di laurea in Medicina, il primo a essere stato riconosciuto come abilitante abbreviando i tempi di accesso alla professione – anche per far fronte all’emergenza da Coronavirus – ora arrivano anche la laurea magistrale in Psicologia e le lauree a ciclo unico in Farmacia e farmacia industriale, Medicina veterinaria, Odontoiatria e protesi dentaria. È stato infatti approvato dal Consiglio dei ministri il disegno di legge del ministero dell’Università in materia di titoli universitari abilitanti. 

Una decisione che ha un impatto estremamente significativo sul mondo delle professioni, se si considerano i numeri di queste categorie. In Italia, secondo gli ultimi aggiornamenti di ordini professionali e Anagrafe nazionale studenti, si contano infatti: 100mila psicologi totali e 6.800 laureati annui in Psicologia; 127mila farmacisti e 4.300 laureati in Farmacia e farmacia industriale; 33.300 medici veterinari e 783 laureati in Medicina veterinaria; 45mila odontoiatri e 790 laureati in Odontoiatria e protesi dentaria

A questi corsi si aggiungono quelli professionalizzanti in Professioni tecniche per l'edilizia e il territorio, Professioni tecniche agrarie, alimentari e forestali e Professioni tecniche industriali e dell'informazione, rispettivamente abilitanti per le figure di geometra laureato, agrotecnico laureato, perito agrario laureato e perito industriale laureato. In questi casi, è previsto un ulteriore step. 
ll testo stabilisce infatti che i corsi che consentono l'accesso agli esami di abilitazione all'esercizio delle professioni di tecnologo alimentare, di dottore agronomo e dottore forestale, di pianificatore paesaggista e conservatore, assistente sociale, attuario, biologo, chimico e geologo possano essere resi abilitanti, su richiesta dei consigli degli ordini, dei collegi professionali o delle relative federazioni nazionali, con uno o più regolamenti da adottare su proposta del ministro dell'università, di concerto con il ministro vigilante sull'ordine o sul collegio professionale competente.

«La laurea abilitante è una notizia positiva che viene dopo mesi di mobilitazioni, in particolare da parte degli studenti dell’area sanitaria» commenta Enrico Gulluni, 25 anni, coordinatore dell’Unione degli universitari: «Un risultato atteso da molti anni come riconoscimento del valore legale del titolo di studio e che il Coronavirus ha accelerato». Ma si tratta solo di un primo passo. «Riguarda ancora poche lauree, tenendo fuori dei corsi che potrebbero a tutti gli effetti essere abilitanti come Ingegneria, Economia e Architettura» aggiunge Gulluni «e resta ancora da capire come verranno cambiati i percorsi di studio». 

Al momento di certo c’è che la laurea abilitante si traduce nella cancellazione dell’esame di abilitazione professionale. Per iscriversi all’albo di riferimento diventa infatti sufficiente portare a termine il percorso formativo, da concludersi con tirocinio pratico-valutativo ed esame finale. Questa semplificazione delle modalità di accesso alle professioni porta ad anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro, abbattendo i tempi di attesa delle sessioni d’esame, in genere fissate ogni sei mesi. 

«La laurea abilitante è sì la risposta a una esigenza contingente, ma potrebbe aprire lo scenario a un riordino del piano di studi, per renderlo più attuale e adattarlo a una professione che richiede sempre nuove competenze e ruoli» commenta Carolina Carosio, 33 anni, presidente della Federazione nazionale associazioni giovani farmacisti. L’emergenza sanitaria, in particolare, ha visto e sta vedendo i farmacisti in prima linea e alle prese con nuovi servizi: «Dal digitale all’integrazione con il territorio, la professione si è distinta per coraggio e abnegazione tangibile» aggiunge la presidente Fenagifar: «Ne sono usciti anche spunti interessanti, ad esempio l’implementazione dei servizi di vicinanza al cittadino come la consegna a domicilio dei farmaci e la dematerializzazione delle ricette».

«La laurea abilitante rappresenta l’opportunità di suonare la sveglia dentro i percorsi formativi» dice Laura Parolin, 48 anni, vice presidente del Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, presidente dell'ordine della Lombardia e docente di Psicologia dinamica alla Bicocca «per segnarle il bisogno di cambiamento al loro interno». A partire dalla ristrutturazione dei corsi di studio. «Se davvero si vuole equiparare quella in Psicologia alle lauree sanitarie è necessario, di concerto tra mondo accademico e ordini, un ripensamento del ciclo di studi, ad esempio valutando la proposta di una laurea magistrale “plus” o un ritorno al ciclo unico e di un ripensamento sulle numerosità degli iscritti, con riduzione delle classi di laurea» aggiunge la psicologa: «E ancora, l’implementazione della formazione professionale, che ad oggi ha dei limiti, ad esempio il fatto che molti dei docenti incardinati non possono esercitare attività professionale, creando una frattura tra chi forma e il mondo professionale».  

Ancor più centrale, con l’eliminazione dell’esame di abilitazione, diventerà l’esperienza del tirocinio. «Dobbiamo avere la lungimiranza di sfruttarlo al meglio, perché rappresenta il primo confronto con la professione, e di comprendere l’importanza della responsabilità del tutor» ammonisce Carosio. 

Va ricordato che, già da prima della laurea abilitante, il tirocinio era una pratica obbligatoria ai fini del conseguimento del titolo di studio per tutti gli iscritti a Farmacia e farmacia industriale, da svolgersi per la durata di sei mesi, almeno al quarto anno di corso, presso farmacie aperte al pubblico o farmacie ospedaliere. Con il riconoscimento del titolo di studio come abilitante, questa esperienza assume ora una valenza ancor maggiore. 

«Il tirocinio dovrebbe essere gestito dall’università congiuntamente agli ordini» propone Gaetano Penocchio, 66 anni, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici veterinari italiani «i quali dovrebbero allestire un elenco di strutture accreditate in cui svolgere i tirocini, per un minimo di 20 cfu. Infine università e ordine dovrebbero valutare l’attività svolta dal laureando.»

La Fnovi chiede inoltre, dopo la regolamentazione della laurea abilitante, di mettere sul tavolo altri aspetti della professione veterinaria. «Il confronto dovrà essere più ampio e riguardare l'omogeneizzazione del core curriculum del corso di laurea, la modifica dei criteri di accesso, la necessità di porre rimedio alla carenza di zooiatri ipotizzando modalità di accesso ad hoc» aggiunge il presidente: «E ancora, la fattibilità di programmare il corso di laurea in dodici semestri, o undici come in Spagna, sfruttando gli ultimi semestri per il tirocinio, e l’introduzione della retribuzione ai dottorandi e specializzandi con attività degli stessi nelle Asl e negli Istituti zooprofilattici».

Le lauree abilitanti, insomma, sono percepite dalle categorie interessante come un buon risultato, anche se frutto della contingenza: diventeranno tuttavia davvero efficaci, al di là del risparmio di tempo, solo se si saprà sfruttare l’occasione per rivedere i percorsi formativi. 

Rossella Nocca

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