Innovazione e competenze in Italia, quanto sono «digitali» aziende e candidati?

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 05 Ago 2016 in Approfondimenti

Oltre a essere un termine molto usato e spesso abusato nel mondo della politica e dell’economia, l’innovazione è oggi un’esigenza sempre più concreta da parte delle aziende, in rapporto ai propri processi produttivi e quindi inevitabilmente alle professionalità che si trovano al suo interno e che ne sono parte integrante. Trovare però risorse in grado di essere al passo con i cambiamenti non è facilissimo, come dimostra la costante ricerca dei cosiddetti profili Stem, acronimo inglese che sta per scienze, tecnologia, ingegneria e matematica e indica dunque figure professionali di tipo scientifico.

«Di recente la Commissione Europea in occasione del lancio della New Skills Agenda ha richiamato l’attenzione sul numero drammatico dei cosiddetti analfabeti digitali: sul territorio comunitario, infatti, circa il 40% della popolazione adulta non possiede sufficienti digital skill, nonostante entro il prossimo decennio si stimi che la presenza di tali competenze sarà richiesta dal 90% delle occupazioni» dice alla Repubblica degli Stagisti Giulia Rosolen, ricercatrice dell'Adapt, l'associazione fondata da Marco Biagi per la promozione di studi e ricerche dedicati al lavoro: «Sicuramente non si tratta di un dato incoraggiante e lo è ancor meno se si considera che, già adesso, il 40% delle aziende fatica a trovare lavoratori in possesso delle giuste competenze, non solo digitali, per l’innovazione e lo sviluppo del business».

Sulla stessa lunghezza d’onda Diego Ciulli, public policy manager di Google: «la carenza di competenze digitali rappresenta uno dei principali freni, per l'Italia, per cogliere tutto il potenziale dell'economia di internet. Secondo i dati di Unioncamere in Italia la difficoltà di reperimento dei giusti candidati in possesso di competenze digitali si rivela mediamente più elevata rispetto a quella delle altre professioni, ossia il 16% contro il 10,1%».

Per rispondere a questa e ad altre necessità è nata IRoad, progetto presentato lo scorso maggio presso l’Università Cattolica di Milano, che si concretizza in una piattaforma di job innovation placement, voluta da Adapt in collaborazione con l’agenzia per il lavoro Quanta. «IRoad si prefigge l’obiettivo di sperimentare percorsi volti a facilitare, attraverso la leva della formazione, da una parte le transizioni occupazionali di giovani ad elevato potenziale, dall’altra i processi di innovazione delle aziende di tutti i settori professionali».

In sostanza, IRoad a differenza di altre piattaforme non offre solo opportunità di lavoro ma «percorsi ci crescita professionale fondati sull’alta formazione quale leva principale di placement». Per iscriversi basta compilare il form web di accesso alla piattaforma con i proprio dati. In seguito «il team di IRoad procede a un immediato contatto e alla fissazione di un primo colloquio conoscitivo nei 7 giorni successivi alla registrazione. Lo step successivo è l’inserimento nel nostro network ed il coinvolgimento nei nostri percorsi finalizzati allo sviluppo di progetti di ricerca innovativi, di start-up anche attraverso l’attivazione di percorsi di alta formazione in assetto lavorativo progettati in collaborazione le imprese, le università e le istituzioni dell’alta formazione: Its, centri di ricerca», spiega la Rosolen.

«Sono numerosi i settori in cui le tradizionali istituzioni formative non sono in grado di preparare, da sole, delle persone in grado di interpretare e guidare le sfide poste dalla grande trasformazione del lavoro» continua la ricercatrice: «La responsabilità, in ogni caso, non può e non deve ricadere esclusivamente sul tessuto formativo: occorre maggior dialogo tra tutti gli operatori - pubblici e privati - per la definizione delle competenze che saranno richieste in futuro, al fine di orientare al meglio le riforme, i piani di formazione e gli investimenti».

Dal canto suo Google, in collaborazione con ministero del Lavoro e Unioncamere, ha dato vita tempo fa al progetto Crescere in Digitale, finalizzato a diffondere competenze digitali tra i cosiddetti Neet, cioè i giovani che non studiano né lavorano. Attualmente sono in fase di svolgimento i primi tirocini presso le aziende che hanno aderito al progetto.

L'iniziativa è coerente con le esigenze che gli studi più recenti evidenziano: «Secondo quanto emerge dai dati del Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro, nel corso del 2015 le imprese hanno previsto oltre 47mila assunzioni programmate per figure con questo tipo di professionalità» riassume Ciulli: «Una richiesta che dà soprattutto alla generazione dei millennials, tra i 18 e i 34 anni, una chance in più di trovare lavoro. Ai giovani under 30, professionisti del digitale, si rivolgono più in particolare due assunzioni su cinque».


Parallelamente per sviluppare questo tipo di competenze anche tra gli imprenditori è stato avviato il corso Eccellenze in Digitale.
A sostenere l’importanza dei canali digitali e dell’innovazione tecnologica in ambito aziendale è anche Julia Sciuto, Education & Employer Branding Manager di Elica: «I canali digitali sono fondamentali per la valorizzazione del nostro  brand, dei prodotti e dei servizi in rete con contenuti di qualità, la generazione di contatto diretto con il consumatore e la gestione delle relazioni a 360°. Diventa quindi importante trovare figure che si occupano  di attività a supporto dello sviluppo dei nuovi business, analisi commerciali e costruzione del piano di comunicazione».

Anche l’azienda in cui lavora sta percorrendo nuove strade per reclutare e formare professionisti «tecnologici»: «Siamo diventati più social, da circa due anni l’azienda ha deciso di investire in LinkedIn. Questo significa che quasi tutte le selezioni vengono gestite dalla piattaforma recruiter e tutte le maggiori informazioni Hr vengono veicolate tramite la nostra company page. Infine sin dall’inizio abbiamo deciso di aderire ad Employerland, il primo gioco a quiz dedicato al mondo del lavoro che aiuta i giovani ad entrare in contatto con le aziende. Attraverso l’applicazione, infatti, ogni utente può costruire il suo curriculum di gioco e partecipare a quiz specifici promossi dalle aziende, finalizzati a farle entrare in relazione con potenziali nuovi talenti da inserire nella propria organizzazione».

Solo puntando sulla formazione e stringendo sempre più il contatto tra candidati e aziende si può provare a diminuire il gap tra forte richiesta di competenze digitali e risorse non sufficientemente all’altezza dei compiti richiesti. Nella consapevolezza che più che il futuro, le cosiddette professioni digitali sono ormai una realtà. 

Chiara Del Priore

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