Girl Power, l'informatica è un mondo felice dal punto di vista della stabilità dei contratti

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 20 Gen 2019 in Storie

Informatica occupazione femminile STEM studiare all'estero studiare in America

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che ha la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che, in campo scientifico più che altrove, di fronte al merito non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Fabiana Lanotte, 31 anni, data scientist per Prometeia, azienda di consulenza, sviluppo software e ricerca economica che fa parte dell'RdS network.  

Sono di Barletta e ho studiato al liceo scientifico. Mi piaceva la matematica, così ho iniziato ad analizzare potenziali percorsi correlati. Ho scelto l'informatica anche sull'esempio familiare: mio padre voleva fare il programmatore e mia zia è una informatica... cosa che non capita tutti i giorni! Anche mio fratello ha scelto lo stesso percorso di studi e ora sta preparando la tesi. 

Mi sono laureata prima alla triennale e poi alla specialistica all’università di Bari. I primi mesi sono stati duri: non sapevo nulla di programmazione mentre quasi tutti venivano dall'industriale e l'avevano studiata. Io non avevo le basi, ma poi mi sono impegnata e ho superato il gap.

Sempre a Bari ho fatto un dottorato di tre anni in machine learning, metodo di analisi di dati con cui si creano degli algoritmi che permettono alle macchine di automatizzare lavori, come ad esempio indirizzare la posta elettronica indesiderata in spam. Ho trascorso otto mesi negli Stati Uniti presso l'università dell'Illinois a Urbana - Champaign. Le più grandi scoperte di computer science vengono dall'America, così ho scelto di confrontarmi con quel contesto. Il mio gruppo di ricerca KDDE ha sponsorizzato la mia borsa, altrimenti andare in America non sarebbe stato nelle mie possibilità. Mi sento fortunata perché l'ambiente intorno mi ha aiutato, ci sono invece donne in gamba che l'ambiente reprime. 

Alla triennale il numero di donne era bassissimo: eravamo quindici su duecento, e solo tre o quattro sono effettivamente arrivate alla laurea. Il tasso di abbandono lì è altissimo. Tuttavia al dipartimento di Informatica di Bari paradossalmente vigeva una sorta di “matriarcato” e anche tra i direttori ci sono state diverse donne. Alcune figure, come la professoressa Floriana Esposito, fanno da mentore: anche senza saperlo, con il loro modo di comportarsi e di reagire ai problemi sono state punto di riferimento e catalizzatrici per tutte le donne che sono passate dal dipartimento.

Quando sono tornata dagli Stati Uniti mi sono trasferita a Milano per lavorare in un'azienda di consulenza strategica che si occupa di ottimizzare le performance secondo le metriche che un'azienda considera prioritarie. Lavoravo come data scientist in un ruolo "jolly", sia come esperta in programmazione che in machine learning. 

Poi l'allora presidente del consiglio Matteo Renzi due anni fa decise di accelerare il processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione e chiese a Diego Piacentini, senior vice president international di Amazon, di venire in Italia come commissario straordinario per l'attuazione della cosiddetta “Agenda Digitale”. Piacentini accettò, a patto di creare una squadra da zero. La squadra era formata da designer, sviluppatori, data scientist: una ventina di persone, di cui il 15-20 per cento donne, soprattutto nei ruoli amministrativi (indicativamente una metà).

Io, anche se in molti si stupiscono, avevo banalmente inviato il mio cv, ho fatto i colloqui e mi hanno presa. Mi occupavo del progetto "Data analytics framework", per la creazione di una piattaforma nazionale di analisi dati.
L'obiettivo era portare l'interoperabilità e l'analisi dati nella Pa come c'era già nel privato, eravamo in quattro o cinque a lavorarci. Altro progetto importante era l' “Anagrafe nazionale popolazione residente”, che conta solo il 10 per cento della popolazione italiana. La maggior parte dei comuni, infatti, conserva i dati dei residenti su un unico server: se si rompe vanno persi. 

Nel team di Piacentini abbiamo lavorato anche a un prototipo utilizzabile per Anac, che ha degli open data per la descrizione di appalti e bandi di gara per la trasparenza. Ho analizzato i dati per scoprire quali erano i bisogni che le pubbliche amministazioni avevano o verificare zone d'ombra nelle gare a cui partecipano sempre gli stessi. Un sistema automatico che permette di aggregare i dati, che sono tantissimi, i tantissimi campi, permette di salvaguardare il bene comune e il benessere delle persone. 

Ho lavorato in Team Digitale dal 2016 fino a settembre 2018, poi sono entrata in Prometeia. Avevo conosciuto Maddalena Amoruso, che oggi è diventata la mia prima “capa” donna, e lei mi aveva detto che c'erano delle posizioni aperte in azienda. Quando mi ha presentato il suo gruppo me ne sono innamorata. Sin dall'università ho imparato che deve piacermi l'ambiente prima che il lavoro.

Anche in Prometeia sono data scientist e il mio ruolo è creare prototipi utilizzabili. Ho già un contratto a tempo indeterminato: l'informatica è un mondo felice da questo punto di vista. Siamo in venticinque: metà figure tecniche metà "business translator", mediatori tra chi parla "informatichese" e chi ha un linguaggio business. Su venticinque siamo cinque ragazze, di cui un paio informatiche. In ambienti in cui sono tutti informatici e sviluppatori la discriminazione di genere si respira, mentre in ambienti eterogenei no, perché lì la gente è abituata da tempo a collaborare con figure femminili. 

In passato mi sono accorta di un gender pay gap e ne ho parlato. Lo stereotipo c'è, è da stupidi ignorarlo. Credo sia sbagliato sia dire che non esiste sia pensare che il problema siamo noi donne. Bisogna avere la consapevolezza che, se c'è davanti un muro di gomma, è meglio circumnavigarlo che andarci a sbattere.

Come donna informatica non ho paura di fare un figlio perché il settore è uno dei pochi in cui la domanda supera l'offerta
, quindi è stupido per un'azienda rinunciare a una persona che non potrà rimpiazzare facilmente. 
Io sono contenta di quello che sto facendo e mi piacerebbe rimanere dove sono, e in particolare in questo ambito. L'azienda è fatta dalle persone e se le persone sono interessanti e intelligenti non c'è bisogno di andare via. 

Molti pensano che l'informatica sia solo programmare videogiochi o fare siti web, invece è cugina di primo grado della matematica e della fisica. Oggi gli sbocchi sono tantissimi: cybersecurity, analisi dati, intelligenza artificiale e così via. Un mondo nuovo e inesplorato. L'informatica peraltro è una delle poche discipline che ti consentono di fare davvero quello hai studiato. Nella consulenza poi si ha la possibilità di vedere cose molto diverse tra di loro: non ci si annoia mai!

Ai ragazzi e alle ragazze dico di non scoraggiarsi. Quando sei ai piedi della montagna, la vedi così alta, poi inizi a camminare e ti accorgi che arrivi alla cima e la superi. L'importante è avere il coraggio di buttarsi e prendere il buono da quel che viene!

Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

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