Giornalisti pubblicisti, sempre più iscritti: e persiste il fenomeno delle pratiche “taroccate”

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 08 Giu 2019 in Approfondimenti

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L'Italia è un paese con una folta presenza di giornalisti: un piccolo esercito composto da circa 112mila soggetti, stando alla rilevazione dell'Autorità garante per le comunicazioni del 2016, di cui la stragrande maggioranza pubblicisti, cioè persone per le quali il giornalismo non è la primaria occupazione e fonte di reddito: ben 75.459 contro i circa 30mila professionisti, e i restanti suddivisi in altre categorie tra cui praticanti e giornalisti stranieri.

A colpire è soprattutto l'ascesa esponenziale dei pubblicisti rispetto ai professionisti, complice la crisi della professione e le difficoltà sempre maggiori di accedere all'iscrizione all'elenco dei professionisti. Dal 1975 a oggi i pubblicisti si sono moltiplicati: inizialmente erano 13mila, contro il gruppo dei professionisti a cui afferivano poco meno di 7mila giornalisti. La crescita dal 2000 al 2016 è stata pari addirittura al 67% per la categoria di chi è iscritto all'Ordine pur non esercitando la professione in via esclusiva.

Ci sarebbe da chiedersi quanti siano quelli che oggi riescano a campare di solo giornalismo (i dati parlano di un numero sempre maggiore di freelance, con retribuzioni sempre più risicate) e fino a che punto abbia ancora senso la divisione tra pubblicisti e professionisti.

Tuttavia dietro numeri così rilevanti si nascondono motivi non complessi. In primis le iscrizioni 'taroccate' su cui la Repubblica degli Stagisti aveva fatto luce diversi anni fa: persone che pur di accedere all'agognato tesserino sono disposte a pagarsi da soli i contributi necessari a dimostrare la “regolare” (si fa per dire) collaborazione con il giornale di turno e maturare così il diritto. Fingendo così di essere retribuiti pur lavorando gratis. In più gli Ordini regionali, che prevedono percorsi di iscrizione che si somigliano un po' tutti (si scrive per un biennio, si supera un esame, si pagano le tasse e il gioco è fatto), hanno solo da guadagnare sull'arrivo di nuovi iscritti, che equivalgono a una quota annuale in più da percepire. Giocoforza dunque che sia loro interesse che proliferino.

Ma cosa sta facendo l'Ordine dei giornalisti su questo fronte? «Abbiamo approvato nei mesi scorsi linee guida per la riforma dell’Ordine dei giornalisti» risponde il presidente dell'Odg nazionale Carlo Verna. Le nuove linee guida «prevedono un periodo di 'valutazione' dell’attualità del pubblicismo durante il quale sarà molto più difficile eludere il corretto meccanismo previsto da una legge entrata in vigore cinquantasei anni fa, quando gli scenari erano completamente diversi».

Anche per Verna il fenomeno dell'illegalità delle iscrizioni è innegabile, e per giunta – ammette
«la nostra percezione è a distanza perché per legge esaminiamo solo i ricorsi di coloro che l’iscrizione non l’hanno ottenuta, e oltrettutto mai i procuratori generali impugnano riconoscimenti di status dati dai consigli regionali, che a loro volta operano su carte formalmente in regola presentate dagli istanti». C'è poco da fare in sostanza contro un «sistema basato sullo sfruttamento, che mi rifiuto di avallare ancora», se però «Governo e Parlamento non intervengono, adesso che si sta tentando la via dell’autoriforma da parte dell'Ordine (qui le linee guida sottoscritte dal Consiglio nazionale a ottobre 2018, ndr)».

Alle iscrizioni truffaldine alcuni Ordini regionali hanno dichiarato battaglia. «È in corso l'attività di revisione degli elenchi degli iscritti all'Ordine dei giornalisti della Toscana» si legge sul sito dell'ente in un post di feb
braio. La revisione degli elenchi è infatti uno dei compiti attribuiti agli ordini regionali. «In particolare sono stati centonove i professionisti sottoposti a revisione, dei quali oltre novanta hanno superato il controllo; per l'elenco pubblicisti, invece, sono stati oltre novecentottanta gli iscritti sottoposti a revisione e di questi oltre seicentotrenta sono coloro che l'hanno superata». Al netto naturalmente delle cancellazioni automatiche, che avvengono per inattività: «I giornalisti che risultano inattivi per oltre due anni consecutivi vengono cancellati dai rispettivi elenchi», mentre «il termine sale a tre anni per i giornalisti con più di dieci anni di attività». Se però si superano i quindici anni di iscrizione, non si è più sottoposti a revisione.

Il risultato della revisione toscana è meno irrilevante di quel che potrebbe sembrare: dire che 630 giornalisti pubblicisti su 980 si sono visti confermare il tesserino vuol dire, di converso, che vi erano fino a pochi mesi fa in Toscana ben 350 persone che si fregiavano del titolo di giornalisti pubblicisti senza averne (o quantomeno averne più) diritto. Facendo una proporzione, vuol dire che oltre un terzo – per la precisione il 37% – dei pubblicisti controllati sono risultati essere, in Toscana, privi dei requisiti minimi per continuare ad essere iscritti all'albo.

Critica sembra essere la situazione anche in Sicilia, come rivela alla RdS Concetto Mannisi, segretario regionale dell'Odg Sicilia, uno dei pochi a aver risposto alle domande della Repubblica degli Stagisti, rivolte alla totalità degli ordini dei giornalisti italiani (ce n'è uno per ogni regione).

«Il Consiglio dell'Ordine di Sicilia è in prima linea da anni nella battaglia contro le pratiche approntate a tavolino» racconta Mannisi. Domande che «rappresentano la stragrande maggioranza delle richieste di iscrizione indirizzate ai nostri uffici e che sulla carta sono tutte ineccepibili». Il trucco è però presto svelato: «Il regolamento del nostro ordine regionale prevede che l'aspirante pubblicista venga retribuito almeno con 500 euro l'anno a biennio e guardacaso il 95% delle pratiche rientra esattamente in questa fattispecie». L'assurdo è che «non ci si sforza più neanche di simulare un pagamento diverso, perché qualunque cifra superiore ai 500 euro (mille complessivi, quindi) determinerebbe il pagamento di ritenute proporzionalmente superiori che, spesso, vengono pagate non dalla società editrice, come dovrebbe essere, ma direttamente dell'aspirante pubblicista». Tentativi di opporsi in Consiglio ce ne sono stati, ma «tutto continua esattamente come prima» assicura Mannisi: «Il fenomeno della documentazione fasulla comincia a interessare anche le revisioni».


Il problema principale resta poi soprattutto, per queste figure, la prospettiva effettiva di riuscire a lavorare: un miraggio che potrebbe giustificare la corsa al tesserino. Il cui fascino resta inossidabile, complice forse anche il fatto che è tra titoli richiesti per partecipare a alcuni concorsi per uffici stampa nella pubblica amministrazione. 
«Tale continua crescita del numero degli iscritti all'Ordine non appare certamente motivata da un aumento della domanda di professionisti dell'informazione da parte del sistema editoriale» è scritto nell'ultimo Osservatorio sul giornalismo dell'Agcom. «Quest'ultimo» proseguono, «non è mai apparso in grado di assorbire completamente tale forza lavoro».

L'auspicio è che su questo panorama si agisca presto. La promessa di Verna è di «consentire nei prossimi anni l’emersione delle nuove figure giornalistiche anche attraverso il riconoscimento dell’attività pubblicistica». Dove per “emersione” si spera che Verna intenda non una ulteriore prolificazione dei pubblicisti, ma un meccanismo che permetta di individuare chi veramente svolge lavoro giornalistico. In un momento successivo, aggiunge Verna, «bisognerà scegliere se passare all’albo elenco unico» precisa ancora Verna. Anche perché resterà sempre di fondo una questione: «quella di chi fa l’esame e chi non» sottolinea il presidente. Ma agli Ordini regionali non converrebbe certo il crollo degli iscritti che farebbe seguito a una eventuale soppressione dell'elenco pubblicisti. Una perdita che potrebbe difficilmente essere soppiantata dai professionisti: per arrivare a questo di titolo il percorso è più complesso, date le scarse possibilità di essere assunti nelle redazioni come praticanti e le difficoltà di accesso alle scuole di giornalismo dai costi spesso proibitivi. 


Ilaria Mariotti 

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