Stagista per tre anni, Ilaria denuncia: «Tv, radio, giornali, uffici stampa: ho fatto sei tirocini e nessuno mi ha portato un lavoro»

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 28 Mag 2011 in Storie

Mi chiamo Ilaria, ho 24 anni e negli ultimi tre sono stata quasi ininterrottamente stagista: ho infatti all'attivo ben sei stage. Tutti gratuiti o quasi. Tutti per inseguire un sogno: lavorare nel mondo del giornalismo e della comunicazione. Tutti svolti mentre studiavo, senza rallentare il mio percorso universitario, tanto è vero che ho finito la triennale nel 2008 e la specialistica nel 2010, con una tesi sui conflitti del golfo e il ruolo del reporter di guerra per la quale ho perfino seguito un corso di arabo, laureandomi perfettamente nei tempi. Sei stage, e nemmeno uno di questi mi ha portata ad un lavoro.
Il primo, nel 2007, è durato nove mesi. La mia università lo prevedeva nel corso della triennale; solitamente decidevano loro dove e come collocare gli studenti, ma nel mio caso non mi aiutarono. Così mi sono dovuta arrangiare, e attraverso conoscenze ho trovato questo stage presso un’emittente televisiva locale. Facevo – gratis –  la co-conduttrice di una trasmissione sportiva, per la quale avevo ideato e curavo anche una rubrica di approfondimento.  Lavoravo a casa per creare i filmati da mandare in onda; poi andavo in studio una volta alla settimana per accordarmi con il tecnico e per la diretta. Ero l’unica stagista: gli altri conduttori erano tre giornalisti pubblicisti sportivi, abbastanza affermati sul territorio. Devo dire che come prima esperienza è stata il massimo: ho imparato molte cose e ho potuto decidere, cosa il più delle volte impensabile per una stagista, come impostare il mio lavoro.
Terminata quell'esperienza, nell’agosto del 2007  ho iniziato una collaborazione gratuita con un quotidiano per conseguire il tesserino da giornalista pubblicista, che è arrivato puntuale a settembre 2009, dopo due anni e una cinquantina di articoli: ne scrivevo da uno a tre al mese, ciascuno pagato circa 20 euro.
Nel frattempo tra il 2008 e il 2009 ho svolto altri tirocini, anche questi trovati in maniera "autonoma" e non pagati. Tre mesi nella redazione di una radio privata, una delle più note a livello nazionale. L'esperienza più insignificante e demoralizzante: zero rispetto, zero incarichi. A causa del mio accento regionale, tra l'altro, non ho mai potuto andare in voce: le notizie scritte da me per il GR – il giornale radio – venivano lette e firmate dal caporedattore di turno. Lavoravo anche 12 ore al giorno, correvo da una parte all’altra di Roma  per raccogliere interviste per i vari GR orari. Ogni spostamento era a mio carico, compresi quelli per Fiumicino quando seguivo la vicenda Alitalia. I dipendenti avevano tutti contratti a tempo indeterminato, in più c’era il figlio di un noto giornalista televisivo che era assunto con il contratto di praticantato regolare. E a me, stagista non pagata, spesso capitava di scrivere i pezzi del GR di cui lui non aveva voglia di occuparsi. Non sono comunque stata l’unica: nel mio stesso periodo in redazione c’era un’altra stagista, e poi ho saputo che questo trattamento è stato riservato a molte altre stagiste, prima e dopo di me. In ogni caso a questo tirocinio non potevo rinunciare, era "curriculare" quindi richiesto dall’università.
stagePoi ho fatto altri tre mesi presso la redazione di un mensile di economia e finanza, come corrispondente sul territorio romano. Lo stage in realtà era nato come periodo di prova: il direttore aveva promesso che dopo mi avrebbero assunto con regolare contratto. Seguivo conferenze, facevo interviste; ma finito lo stage non hanno mai risposto alle mie mail e telefonate. Letteralmente scomparsi.
E così arriviamo al 2009. Mi prendono all'ufficio stampa regionale di un importante partito politico: inizio lo stage a febbraio, l'accordo è che debba durare tre mesi. A maggio mi propongono di prolungare lo stage per altri tre mesi, promettendo che al termine verrò inserita nello staff di uno dei tanti candidati alle elezioni europee. Passa l'estate e non si muove niente. Ad agosto mi dicono che se voglio possono prorogare il mio stage ancora di sei mesi, per poi farmi accedere a un ulteriore step che mi porterebbe a diventare addetta stampa ufficiale. Io dico di no: un anno gratis nello stesso posto mi sembra eccessivo.
Nel 2010 faccio il mio quinto stage, nato da una candidatura spontanea a una rivista bimestrale di geopolica che amavo molto. Invio il curriculum, loro mi chiamano, fin dall’inizio mi dicono che ci sono poche speranze di essere assunta, ma decido di provarci lo stesso, anche per ampliare le mie conoscenze. Accetto la proposta e comincio il tirocinio: sei mesi durante i quali gestisco il sito e tutti i contenuti multimediali, e pubblico anche due reportage.  In redazione oltre a me ci sono un’altra stagista, quattro dipendenti con contratto e il direttore. E poi vari collaboratori esterni. Finito lo stage, tanti saluti.
Attualmente sto concludendo l'ennesimo stage semestrale nell'ufficio comunicazione di una compagnia assicurativa. Il rimborso spese è di soli 500 euro al mese, e gli incarichi che svolgo sono completamente differenti da quelli elencati in sede di colloquio e sul progetto formativo. Insomma io sono lì per fare tutte le cose che le altre persone all'interno dell'agenzia non vogliono fare. Ma non è tanto questo che mi preoccupa – non mi lamento per la mole di lavoro anche perchè ho sempre pensato, forse con troppa fiducia, che fosse legata al percorso di formazione – quanto il fatto che mi sto allontanando dal mio percorso. Nel frattempo ho aperto un giornale online che va avanti con il mio sudore, i miei soldi e il mio impegno: un mensile di approfondimento che vuole raccontare il mondo visto attraverso gli occhi delle donne.
stageDal 2005 vivo a Roma, con tutte le spese che ciò rappresenta per la mia famiglia. Ho abitato da sola fino all’anno scorso, ora condivido l’appartamento con mia sorella. Ho pensato tante volte di andare via dall’Italia, ma forse voglio dare ancora un’ultima chance al mio paese. In questo periodo sto portando avanti un progetto con un gruppo di donne rifugiate insieme a Shoot for Change, un’associazione onlus di fotografi, che si concluderà con una mostra fotografica. E faccio parte di una squadra di touch rugby «Liberi Nantes» formata da donne rifugiate.
Se potessi tornare indietro sceglierei sempre questa strada che mi ha permesso, anche se con qualche ostacolo, di formarmi e di imparare come va il mondo. Non ho mai abbandonato il sogno di diventare giornalista. Forse cambierei l’università, non farei la Lumsa, che per me è stata una grande delusione. Sopratutto perchè quando mi sono iscritta alla specialistica l’ho fatto perchè pensavo che mi avrebbe dato il praticantato per diventare professionista, funzionando come un master in giornalismo. Invece così non è stato, la specialistica è valsa solo come specialistica e non come scuola di giornalismo, e quindi io e i miei compagni di corso ce la siamo presi in saccoccia. Purtroppo le redazioni non assumono praticanti – esclusi beninteso alcuni casi particolari, come il figlio del giornalista che ho incontrato in radio. Se volessi iscrivermi ora a un master di giornalismo potrei farlo, certo: ma già la mia famiglia mi ha aiutato tanto mantenendomi da fuorisede, in una città cara come Roma, non me la sento a 24 anni di chiedere loro altri 20mila euro.
Queste sono le mie esperienze, forse molto simili a quelle di altri giovani italiani. Ci tenevo a dare il mio contributo, perché con la Repubblica degli Stagisti fate un ottimo lavoro. E perché è importante rompere il muro di omertà che circonda lo sfruttamento degli stagisti nel settore del giornalismo e della comunicazione.

Testimonianza raccolta da Eleonora Voltolina

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