Formazione continua, spina nel fianco dei professionisti italiani

Chiara Merico

Chiara Merico

Scritto il 03 Ott 2014 in Approfondimenti

L’aggiornamento professionale è una scelta, dettata dalla volontà di essere sempre al passo con le innovazioni del proprio mestiere, o una mera necessità burocratica? Tra i professionisti italiani il dibattito è acceso, specie dopo che, a fine 2012, la riforma delle professioni (Dpr 137/2012) varata dal governo Monti ha introdotto l’obbligo, per tutti gli iscritti agli ordini professionali, di frequentare corsi di formazione continua, come una delle condizioni per poter mantenere la propria iscrizione.

Un obbligo che, come spiega l’avvocato Alessandra Pacchioni, «riguarda tutte le professioni ordinistiche, anche se per alcune di esse il dovere di aggiornarsi era già previsto da regole precedenti». Ad esempio, «per le professioni sanitarie la formazione continua è obbligatoria già dal 1992, grazie al decreto legislativo 502, successivamente integrato dal decreto legislativo 229 nel 1999. Dal primo gennaio 2010 anche i geometri iscritti all’albo sono obbligati a maturare un certo numero di crediti formativi professionali (CFP), anche se non svolgono l’attività, in base a un regolamento interno». Frequentare corsi di aggiornamento professionale è obbligatorio dal 2009 «anche per gli assistenti sociali, il cui ordine ha elaborato un regolamento di formazione continua che prevedeva un periodo di sperimentazione di tre anni, dal 2010 al 2012. Il periodo di sperimentazione è terminato con l’entrata in vigore del nuovo regolamento».
La riforma del 2012 è stata poi recepita dall’ordine dei giornalisti, che a partire dal 2014 dovranno assolvere all'obbligo della formazione professionale continua (FPC); così come gli ingegneri, gli architetti e i periti industriali. Mille polemiche hanno accompagnato l'introduzione della formazione professionale obbligatoria per i giornalisti: dalle proteste per il costo dei corsi, alle quali l'Ordine ha replicato introducendo una serie di appuntamenti gratuiti, fino al recente disservizio che ha coinvolto la piattaforma informatica attraverso la quale è possibile iscriversi ai corsi.
«Per gli avvocati, la nuova legge professionale, entrata in vigore nel febbraio 2013 prevede che il Consiglio nazionale forense stabilisca le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti con superamento dell’attuale sistema dei crediti formativi, elaborato nel 2007», sottolinea il legale. Attualmente, aggiunge, «gli avvocati devono conseguire almeno 60 crediti in tre anni, di cui almeno 9 in materie obbligatorie, come la deontologia e la previdenza forense. Ogni anno si deve conseguire un minimo di 15 crediti, di cui 2 nelle materie obbligatorie».

Aggiornarsi, quindi, è un dovere: o comunque è caldamente consigliato, anche ai professionisti non iscritti ad alcun albo. «La legge 4 del 2013 stabilisce che anche figure professionali come i tributaristi, gli amministratori di condominio, o alcuni specialisti del settore sanitario come i tecnici della prevenzione, pur non avendo l’obbligo di aggiornarsi, possono dare vita ad associazioni si base volontaria, che curano anche l’aggiornamento professionale», chiarisce l’avvocato Pacchioni. «La formazione, anche se non obbligatoria, diventa il “bollino blu” che garantisce la clientela».

Per quanto riguarda l’offerta formativa, «inizialmente gli ordini avevano preso su di sé il monopolio della gestione dei corsi», sottolinea il legale. «Poi, una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, datata 28 febbraio 2013, ha liberalizzato il mercato, e ora anche altri enti indipendenti possono erogare i corsi di formazione, anche online. Questi enti devono essere accreditati presso gli ordini di riferimento e devono inoltre impegnarsi a trasmettere poi all’ordine di competenza il conteggio dei crediti maturati». Sui portali degli ordini professionali, inoltre, «sono disponibili link specifici sulla formazione, attraverso cui gli iscritti possono conoscere le varie offerte di corsi, iscriversi e pagare».

Spesso, infatti, questi corsi sono a pagamento, e molti sono anche abbastanza costosi. «La spesa può variare di molto, soprattutto a seconda del fatto che si scelga di frequentare corsi online o lezioni frontali: si va da poche centinaia di euro a qualche migliaio». Esistono anche corsi gratuiti, «che di solito sono quelli che riguardano materie obbligatorie, come la previdenza o la deontologia», evidenzia l’avvocato Pacchioni. «La maggior parte degli altri corsi è a pagamento, anche se di solito online si trovano pacchetti abbastanza vantaggiosi. I professionisti devono sviluppare un’abilità particolare nel cercare le offerte formative più convenienti». Un discorso che vale soprattutto per gli iscritti più giovani, quelli che ancora non hanno una carriera avviata e non possono quindi contare su entrate cospicue. «Se si parla di onere economico è evidente che i giovani, che guadagnano generalmente meno dei colleghi più anziani, devono attingere ai loro pochi introiti in misura considerevole per poter assolvere all’obbligo formativo», nota il legale. «Ma questo vale anche per i professionisti che non sono più giovani, ma che per varie ragioni stanno attraversando un periodo di difficoltà: i loro guadagni sono ridotti e ne devono dedicare parte all’obbligo della formazione. Invece, se si parla di “onere” anche a livello di impegno, in termini di tempo e concentrazione, sicuramente i giovani sono avvantaggiati, perché le loro capacità di attenzione e apprendimento sono ben superiori a quelle dei colleghi più avanti con l’età».

In generale, secondo l’avvocato Pacchioni è ancora presto per dare un giudizio sull’efficacia della formazione obbligatoria per i professionisti. «Occorre aspettare che le novità previste dalla riforma, e che sono state attuate in parte e comunque molto recentemente, esplichino i loro effetti nella realtà del mercato delle professioni», fa sapere il legale. «Bisognerà anche vedere come funzionerà in concreto il meccanismo delle sanzioni per chi non adempie all’obbligo. Ad esempio, nel 2010 la Cassazione ha dato torto a un notaio che non aveva conseguito tutti i crediti previsti dalla normativa del suo ordine, e per questo era stato oggetto di un provvedimento di censura». In generale, spiega l'avvocato Pacchioni, «nei confronti di chi non ottempera all'obbligo di aggiornarsi viene aperto un procedimento disciplinare, di diversa entità a seconda della gravità della violazione e del suo perdurare nel tempo. Sta ai consigli disciplinari di ogni singolo ordine professionale stabilire l'entità dell'illecito, e di conseguenza la sanzione da comminare».

Non solo: secondo il legale, «per avere un’idea più completa sui corsi di aggiornamento professionale occorrerebbe attendere che la crisi si attenui e vengano meno le distorsioni che essa ha prodotto in campo economico e sociale. I professionisti hanno difficoltà a farsi pagare dai clienti in crisi, e la conseguente diminuzione dei loro guadagni li porta a cercare di ridimensionare il più possibile gli oneri economici, come quelli dedicati alla formazione permanente o all’obbligo di introdurre il Pos».  Da un lato, sottolinea l’avvocato, «si comprende la ratio della legge, cioè la necessità di garantire ai clienti professionisti qualificati, con competenze aggiornate. D’altra parte, tutto dipende da come il professionista affronta questo onere e da come lo assolve, se per dovere burocratico o se per un’effettiva volontà di aggiornarsi».

Chiara Merico

Community