Né depressi né viziati: i trentenni italiani raccontati da Workers

Ilaria Costantini

Ilaria Costantini

Scritto il 11 Mag 2012 in Notizie

Pronti a tutto pur di lavorare. Anche ad adattarsi a quelle occupazioni che "gli italiani non vogliono fare più". Il badante ad esempio, o il prelevatore di sperma di toro in un allevamento per la selezione genetica, o la truccatrice di cadaveri in un'agenzia di pompe funebri. stage lavoroSono le surreali esperienze lavorative in cui si cimentano Alessandro Tiberi, Dario Bandiera e Nicole Grimaudo rispettivamente nei panni di Giacomo, Italo e Alice: i tre protagonisti di Workers, un film di Lorenzo Vignolo che esce oggi nelle sale e che racconta uno spaccato realistico del mondo del lavoro contemporaneo. In cui si muove una generazione di trentenni che sembra aver  ormai abbandonato l'idea di realizzarsi attraverso "il" lavoro della vita - quello per cui si è studiato, fatto stage e magari accettato per anni sporadiche collaborazioni in cambio di pochi euro - accontentandosi invece di un'occupazione che consenta semplicemente di pagarsi un affitto, una macchina e un'indipendenza economica.

«Nel film non c'è una sola tesi.
C'è chi si prende la libertà di mandare a quel paese il datore di lavoro e chi invece finisce per appassionarsi ad un mestiere che certo non avrebbe scelto» ha raccontato il regista all'anteprima romana del film alla Casa del cinema. «Ho inserito anche squarci di realtà: alcune delle comparse sono persone reali, incontrate per strada, lavoratori veri che hanno recitato se stessi». Nonostante la vena di comicità che accompagna tutta la narrazione, l'effetto finale è in effetti di forte realismo.
stage lavoro
"Workers" è infatti un'agenzia torinese di lavoro interinale, uno dei tanti porti in cui approda chi cerca invano di inserirsi nel proprio settore professionale. E quando si diventa "somministrati", cioè lavoratori in affitto, una delle regole fondamentali è abbandonare sogni e aspirazioni e adeguarsi a quel che offre il mercato. I proprietari di Workers (Michelangelo Pulci e Alessandro Bianchi), diventano così testimoni di una serie di vicende surreali che rivivono attraverso i loro racconti dando così corpo ai tre episodi del film.

Nel primo, intitolato «Badante», Alessandro Tiberi sale di grado: dopo aver interpretato lo stagista della fortunata serie Boris, è infatti inviato in missione ad occuparsi come badante di un invalido dal carattere a dir poco difficile, stupendamente interpretato da Francesco Pannofino - anche lui attore in Boris, interpretava regista della telenovela «Gli occhi del cuore» René - che qui si confronta con il difficile tema della disabilità.

L'episodio «Cuore di toro» vorrebbe essere invece una commedia romantica. Tra i due protagonisti si accende in effetti una storia coinvolgente, ma basata su una bugia: lui si spaccia per medico chirurgo, quando in realtà il suo lavoro è prelevare campioni genetici in un allevamento di tori.
Non proprio l'occupazione adatta ad un "principe azzurro" - ma insomma, il momento storico richiede uno sforzo di adattamento.

Infine c'è Alice,
truccatrice professionista  nell'ultimo episodio («Il trucco») e anche l'unica, tra i protagonisti del film, a cui il regista conceda un passato professionale, lasciando per un attimo intravedere la passione e la fatica con cui il personaggio cerca inutilmente di costruirsi una posizione prima di approdare all'agenzia interinale. stage lavoroDove non trova altro che un posto in un'impresa di pompe funebri. Dopo alcune resistenze iniziali, Alice cede alle pressioni del proprietario e inizia una carriera da truccatrice di cadaveri. Come se non bastasse, il capo preme perché la nuova assunta (con la promessa di una tredicesima e poi di una quattordicesima in busta paga) assecondi le improbabili richieste di un importante cliente dell'agenzia, figlio di noto un boss mafioso (Nino Frassica).

«Interpretiamo una generazione che, lavorativamente parlando, non ha più niente da perdere. Ma non per questo ha rinunciato al sorriso» commenta Briguglia, classe 1974, che di quella generazione fa dunque parte. «Dal film emerge uno spaccato di grande ottimismo» conferma la Grimaudo, invitando a riflettere sulla
«vena di ironia che accompagna l'atteggiamento di tanti giovani costretti magari a fare contemporaneamente tre lavori». 

E forse è davvero così: al di là delle immagini stereotipate che a seconda dei casi li spacciano per viziati o per depressi, i giovani italiani si stanno probabilmente abituando all'idea che un lavoro valga l'altro e che affidare i propri sogni al cassetto non sia un fallimento personale, ma solo una necessità dettata dalla situazione generale. Resta però da capire se questo sia un bene o piuttosto un male per il futuro del Paese.


Ilaria Costantini


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