Fiduciosi ma realisti: in una ricerca il ritratto degli universitari italiani

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 26 Lug 2015 in Approfondimenti

Oltre 2mila studenti, quasi la metà di età compresa tra i 20 e i 23 anni e iscritti a corsi di laurea triennale, di 15 università italiane. La maggior parte di sesso femminile. Queste in sintesi le cifre della ricerca del centro Impresapiens dell'università La Sapienza di Roma a conclusione del tour #noncifermanessuno, campagna motivazionale partita a ottobre dello scorso anno in 15 atenei (Roma, Varese, Urbino, Siena, Salerno, Palermo, Bari, Cosenza, L'Aquila, Milano, Verona, Foggia, Parma, Pescara, Napoli).

I risultati completi della ricerca non sono stati ancora diffusi ma dalle prime evidenza emerse dall'indagine, coordinata dalla
ricercatrice de "La Sapienza" Paola Panarese e condotta somministrando personalmente questionari strutturati durante le tappe del tour, è emersa un'indagine dei giovani sostanzialmente entusiasti del proprio percorso di studi e dell'importanza della laurea per la ricerca di lavoro. Il 79% si dichiara infatti soddisfatto del proprio corso di laurea e il 41,4% afferma di essersi iscritto all'università per trovare un'occupazione più facilmente. Questo malgrado gran parte degli intervistati frequenti facoltà come lettere o scienze sociali o psicologiche, non proprio ai primi posti della graduatoria dei corsi di laurea più spendibili nel mercato occupazionale.

Ma quanto i giovani sono consapevoli degli sbocchi occupazionali delle facoltà universitarie che scelgono
? Relativamente alla spendibilità della facoltà scelta sul mercato del lavoro, il questionario presentava la seguente domanda «pensi che le conoscenze e le competenze che il corso di laurea può darti siano utili per essere competitivi nel mercato del lavoro?», i cui esiti, come spiega la Panarese, dovrebbero essere incrociati con la facoltà di iscrizione. Solo quando questo incrocio sarà realizzato, dunque, si potrà avere la risposta a questo quesito, in effetti tra i più importanti per inquadrare le motivazioni che spingono i diciottenni a scegliere questa o quella facoltà, e il loro grado di consapevolezza del mercato del lavoro che li attende.

Purtroppo però il questionario non prevedeva una domanda diretta sulla ragione della scelta della facoltà: una scelta poco comprensibile, se l'obiettivo del team della Panarese era quello, come dichiarato, di indagare l'universo degli studenti universitari di oggi. Ma la ricercatrice ribatte evidenziando la presenza di una domanda relativa alla ragione della scelta dell’università, «qual è il motivo principale per cui hai scelto di iscriverti all’università?», con cinque possibili risposte: «per assecondare le aspettative dei miei genitori­
», «per trovare lavoro con più facilità», «perché lo hanno fatto i miei amici», «per approfondire argomenti di mio interesse», «per mancanza di alternative», più l'opzione «altro (specificare)». Questo quesito verrà messo in relazione con la facoltà di iscrizione, aiutando dunque a far luce su questo aspetto.

La possibilità di trovare poi lavoro con maggiore o minore facilità è sicuramente un fattore determinante al momento della scelta della facoltà. Ma per gli intervistati scegliere il corso di laurea
«giusto» in quest'ottica non è tutto. Forse non è un caso che gli stessi studenti ritengano nel 27% dei casi il contatto diretto il canale più importante trovare un lavoro e riconoscano l’utilità e la diffusione delle raccomandazioni, pur non avendo avuto esperienze dirette (84,3% degli intervistati). Esigenza avvertita più dagli uomini che dalle donne, in aumento al crescere dell’età, e percepita come più presente nel settore pubblico: «Il fatto che in tanti credano che la raccomandazione possa essere utile lo farei derivare più da concezioni diffuse nel senso comune che da convinzioni radicate o esperienze vissute dai ragazzi, vista la loro giovane età» sostiene la Panarese: «Chi si iscrive in facoltà, come lettere, scienze politiche, sociali, psicologiche, con sbocchi lavorativi meno certi rispetto a medicina, per esempio, probabilmente e comprensibilmente crede che la solidità e la qualità del percorso formativo non bastino a trovare lavoro. Inoltre la maggior parte dei rispondenti alla domanda relativa alle raccomandazioni dice poi che non si farebbe raccomandare, se ne avesse occasione. E anche questo è un dato interessante, anche se forse meno notiziabile».

Non c’è insomma un’esaltazione della «spintarella» in sé e per sé ma semplicemente la consapevolezza che a oggi il proprio network di contatti resta comunque un elemento importante. Ovviamente non l’unico fattore rilevante. Ad esempio l’idea di spostarsi all’estero per lavoro non dispiace agli intervistati: anche se l’84,7% non ha mai studiato fuori dall’Italia, la maggior parte di essi sarebbe disposta ad andare all’estero per lavoro, un riconoscimento dunque dell’importanza dell’esperienza internazionale. Il 47% risponde “decisamente sì” all’idea di trasferirsi in un paese europeo, il 36,9% in un paese extraeuropeo.

«Dalla ricerca emergono due dati importanti. Il primo riguarda la sfera personale e il profilo di tanti giovani che nonostante le molte preoccupazioni per il loro futuro si ritengono ancora fiduciosi e pronti ad un mercato del lavoro sempre più fluido e in continuo cambiamento, ma si attendono una maggiore stabilità e un lavoro coerente alle loro competenze e ai loro studi» dice alla Repubblica degli Stagisti Lorenzo Foresta, consigliere del direttivo del Forum Nazionale Giovani: «C’è poi un secondo aspetto: i canali migliori per la ricerca del lavoro sono sempre meno quelli che attengono ai servizi pubblici, favorendo così meccanismi di intermediazione tra domanda e offerta che spesso non guardano al merito e alle competenze ma alla capacità del singolo di sapere sfruttare contatti diretti e personali. Tutto ciò porta sicuramente all'esclusione di molti giovani, che non vedendo le proprie competenze riconosciute nel mercato del lavoro italiano, o restano per anni ghettizzati nella condizione di Neet oppure sono disposti ad andare a lavorare all'estero. Questo fenomeno, seppure accettabile in una società globalizzata, diventa preoccupante nella misura in cui il saldo tra giovani che rientrano in Italia e giovani che emigrano rimane negli anni negativo, aumentando così il divario generazionale e la possibilità per il nostro Paese di crescere grazie alle energie e le competenze delle giovani generazioni».

Mancano nella ricerca suggerimenti su come migliorare l’università o su come ad esempio poter favorire l’accesso al mondo del lavoro, ma non è da escludere che tematiche simili siano oggetto delle prossime indagini: «Il prossimo anno si prevede un nuovo tour con un’indagine empirica, il cui tema però va ancora definito. Quel che è certo è che la prima tappa sarà a ottobre, sempre alla Sapienza», conclude la Panarese.
Nel frattempo si attendono però i risultati completi della prima indagine, che dovrebbero uscire entro l'estate.

Chiara Del Priore

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