Dentro Vulcanus in Japan: studiare per un anno in Giappone, due studenti raccontano come si fa

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 13 Dic 2020 in Storie

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Dal 10 gennaio al 10 febbraio 2020 sarà possibile candidarsi a partecipare a Vulcanus in Japan, il programma annuale di tirocini in aziende giapponesi del settore tecnologico finanziato dall’Eu-Japan Center for Industrial Cooperation di Bruxelles e dalle stesse aziende ospitanti e destinato agli studenti europei iscritti a facoltà tecnico-scientifiche. La Repubblica degli Stagisti ha chiesto a due ex partecipanti di raccontare la loro esperienza: ecco le storie di Paolo Tirotta e Luca Tremamunno. 

Paolo Tirotta (24 anni, Trebisacce)

Sono all’ultimo anno di specialistica in Statistica all’università di Bologna. Un anno fa ho fatto l’application per il Vulcanus. Durante la triennale avevo già partecipato al Double Degree, facendo un anno a Glasgow, e volevo fare un’altra esperienza all’estero, così ho iniziato a guardarmi intorno e ho trovato questo programma. Non esistono molti progetti del genere con il Giappone e, visto che era sempre stato un mio sogno andarci, non potevo non approfittarne.  

A marzo ho saputo di essere rientrato nella short list di studenti che sarebbero stati contattati dalle aziende con cui erano stati accoppiati. Era possibile, nella domanda, esprimere la propria preferenza, ma io non l’avevo fatto, nella speranza di avere più possibilità. Sono stati abbinato a Ntt Data, con sede a Tokyo. Mi hanno scelto senza colloquio (altre aziende lo richiedevano): ad aprile ho ricevuto la comunicazione. Quindi ho inviato al Centro di Bruxelles i documenti necessari per il visto. 

Ho iniziato a settembre. Mi hanno assegnato un appartamento di circa 25 mq, piuttosto centrale e comodo per gli spostamenti, in un residence che ospitava anche gli altri due partecipanti al programma, un italiano e uno spagnolo. 

I primi giorni abbiamo seguito un seminario utile a fornirci informazioni pratiche, ad esempio sulla registrazione obbligatoria all’ufficio dell’area in cui risiedevamo, sulle schede telefoniche, sull’assicurazione etc. 

Per i primi quattro mesi, abbiamo seguito per sei ore al giorno il corso di lingua giapponese, incentrato soprattutto sulla conversazione. Io ero avvantaggiato perché già da un anno mi ero messo a studiare il giapponese. Seguivamo inoltre seminari sulla cultura del lavoro ed elementi di storia e cultura del Giappone. Nel restante tempo, avevamo la possibilità di esplorare la città e i dintorni. 

Il programma prevedeva un grant di circa 15mila euro totali, versati mensilmente (in cifre diverse). Non pagavamo né alloggio né bollette, quindi erano ampiamente sufficienti per le altre spese, come i trasporti e i viaggi.   

Dopo i quattro mesi di corso, è iniziato il tirocinio. In Ntt Data ho lavorato presso il Dipartimento Research and Development, occupandomi di modelli, in particolare di question answering e riassunti di testi giapponesi.

Per i primi due mesi, prima del Coronavirus, andavamo in azienda tutti i giorni ed eravamo inoltre coinvolti in numerosi eventi di team building.
In più, ogni mese facevamo un meeting in cui parlavamo di come andava il programma. Se si avevano problemi con la lingua, si trovava sempre qualcuno che parlava inglese. C’era un bel clima, anche se lì bisogna essere molto proattivi per relazionarsi con i colleghi. 

Da marzo abbiamo iniziato lo smart working, sono tornato non più di tre volte in ufficio. Tuttavia con il mio supervisore e il collega ci sentivamo ogni giorno e settimanalmente si tenevano meeting con tutto il dipartimento. 

Fortunatamente il Giappone non è mai stato tra i paesi più colpiti, non c’è mai stato lockdown. Poi qui la cultura della mascherina esisteva già e inoltre c’è di base un forte rispetto delle regole e delle persone, tra le cose che più apprezzo rispetto al mio paese e che mi hanno spinto a decidere di ritornare in Giappone.

Ad agosto sono rientrato in Italia, ma ho già fatto un colloquio con Ntt Data per ritornare da settembre prossimo, dopo che avrò terminato gli ultimi due esami e la tesi. Mi hanno offerto un contratto, per mia scelta per ora a tempo determinato (un anno), ma con uno stipendio molto più alto di quelli entry level in Italia.

Il Giappone per me è sempre stato un sogno: da quando avevo 14 anni amo gli anime e i videogiochi giapponesi. Poi, attraverso la piattaforma di scambi culturali Workaway, avevo già trascorso due mesi lì, a Osaka, lavorando presso un ostello. Tornandoci per Vulcanus mi sono piaciuti sia il lavoro sia le persone, quindi quella di rimanere è stata una scelta tutto sommato “facile”. 

Consiglio a tutti il programma Vulcanus: è organizzato davvero bene. L’unico aspetto che migliorerei è il supporto in caso di disagi, com’è capitato ad esempio con l’annullamento dei voli durante la pandemia. Alcuni hanno chiesto una proroga del visto, ma gli è stato risposto di partire prima che scadesse. Per il resto un’esperienza da fare!


Luca Tremamunno (25 anni, Ravenna)

Durante la triennale in Ingegneria e scienze informatiche a Cesena, per caso, ho sentito parlare del programma Vulcanus da un amico. Mi è rimasto in mente e, al primo anno di magistrale, il primo utile per fare domanda, ho deciso di candidarmi. 

Come tanti altri partecipanti, anch’io avevo già fatto l’Erasmus, ero stato in Danimarca. Mi era piaciuto molto e volevo fare un’altra esperienza all’estero, magari più lontano. A questo si è aggiunta la mia passione per il Giappone e per la cultura giapponese. 

Così ho iniziato a preparare le carte. Non è stato facile, anche perché l’università mi ha fornito la documentazione tutta insieme, mentre il Centro la richiedeva separata, infatti sono stato ammesso nella shortlist  “con riserva”. Gli organizzatori sono molti pignoli e l’università non è stata molto cooperativa.

Per fare la domanda ci sono voluti circa 50 euro di marche da bollo e ho dovuto fare successivamente delle integrazioni. Dalla mia esperienza, consiglio di muoversi per tempo, già adesso, anche per valutare le aziende preferite (c’è una lista provvisoria di offerte di tirocinio) e preparare la lettera motivazionale. 

Io avevo espresso due preferenze: una per Square Enix, azienda di video giochi, una mia passione; l’altra per Ntt Data, di cui mi interessava il progetto, “Program synthesis da esempi di input e output”, che mi sembrava affine alla mia tesi triennale, che richiedeva di lavorare sulla struttura di un linguaggio di programmazione. Tra le competenze richieste, infatti, c’era una buona conoscenza di come funzionano i linguaggi di programmazione, compilatori etc. Penso che la mia tesi abbia aiutato, insieme al fatto che a quell’argomento non fossero interessati in tanti. Sono stato selezionato senza colloquio: è bastata la lettera motivazionale. 

A febbraio ho saputo di essere nella shortlist, composta da circa 150 persone, e ad aprile di essere fra i 30 selezionati. A luglio si è tenuto l’incontro preparatorio a Bruxelles. È stato utile per conoscere gli altri ragazzi con cui avrei condiviso l’esperienza e per apprendere informazioni e piccole curiosità: ad esempio ci è stato detto che in Giappone, quando si viene assunti, è usanza portare dei souvenir, come prodotti tipici del proprio paese o città. 

Il Centro richiedeva di essere a Tokyo preferibilmente non prima del 1° settembre, per la copertura assicurativa e logistica. Il primo giorno siamo stati in hotel, mentre il secondo ci hanno accompagnati negli appartamenti assegnatici. Quindi abbiamo iniziato subito con il seminario sul Giappone e poi il corso intensivo di lingua. 

Io non avevo mai studiato giapponese: solo, dopo il meeting di luglio, ci era stato detto che la scuola richiedeva di arrivare già con la conoscenza di due alfabeti semplici. Fortunatamente chi ci ha accolti conosceva l’inglese, inoltre il mio collega e vicino di appartamento lo aveva già studiato per un anno e, condividendo molto tempo con lui, mi ha aiutato parecchio. Poi il corso ci ha messi nelle condizioni di comunicare decentemente.

Io, quando possibile, evitavo di parlare giapponese, nel mio team in genere parlavamo in inglese, anche se questo probabilmente mi ha limitato nello stringere rapporti più profondi con i colleghi. Ne ho frequentato qualcuno al di fuori del lavoro, ma per la maggior parte del tempo sono stato con il gruppo del Vulcanus. 

Durante il periodo della scuola di giapponese si usciva molto, inoltre c’erano molte feste nazionali e si riusciva a fare uscite di tre giorni: abbiamo fatto anche viaggi di 15-20 persone. Io consiglio di non tornare a casa per Natale, ma di approfittarne per andare in posti particolarmente belli da visitare con la neve, come Nagano e Sapporo. Da non perdere poi Kyoto: ci sono stato due volte. 

L’arrivo del Coronavirus certo ha condizionato la mia esperienza, visto che da marzo ho dovuto lavorare in smart e ridurre le uscite: è stato un peccato. Ma i contagi in Giappone sono sempre stati davvero pochi: si pensi che a Tokyo, una città di 10 milioni di abitanti, non si sono superati i 500 positivi al giorno. Certo un po’ di panico c’è stato: la gente all’inizio si è precipitata al supermercato e sono spariti cibo istantaneo (cup noodles) e carta igienica! 

L’ambiente è estremamente diverso sia dall’Italia che dall’Europa. Ma varia di città in città: ad esempio a Tokyo, molto turistica, la gente è più diffidente verso gli stranieri, mentre nelle altre città, soprattutto se dimostri di conoscere un po’ di giapponese, sono stupiti e diventano amichevoli. 

Rispetto all’esperienza fatta in Italia in un’azienda informatica, mi aspettavo di subire più pressioni e lavorare molto di più, ma non è stato così. Lavoravo sette ore e mezza per cinque giorni a settimana e non mi è mai stato chiesto di più. Certo l’approccio verso i tirocinanti è diverso, tuttavia anche confrontandomi con dei dipendenti dell’azienda ho scoperto che sì la maggior parte fa molti straordinari, ma si è liberi di scegliere di lavorare otto ore e poi smettere. 

Il futuro? L’azienda mi aveva già fatto capire che sarebbe stata disposta ad assumermi, e sicuramente lì guadagnerei di più e farei più carriera. Se fosse più vicino, ci tornerei, ma la distanza sarebbe dura da gestire. Sicuramente ci tornerò in vacanza. Dopo la tesi, un professore mi ha offerto di partecipare a un progetto di ricerca di un anno. Poi cercherò lavoro in Europa, magari in Belgio, dove sono attualmente a studiare, con la didattica a distanza, per stare vicino alla mia compagna. 

Mi mancano tante cose del Giappone: il cibo, la vita serale… In generale le città grandi non mi piacciono, infatti ero preoccupato, invece Tokyo è diversa dalle altre metropoli. I trasporti sono semplicissimi, qualunque posto è facile da raggiungere e ce n’è per tutti i gusti: città dello shopping, quartiere dei videogiochi, aree verdi per il relax. Le persone rispettano gli spazi personali e non ho mai visto una metropoli così pulita! Unica pecca, il trasporto pubblico dura solo fino a mezzanotte e, se vuoi rientrare con un taxi, la spesa è molto alta!

All’inizio ero pessimista: non sono una persona molto socievole e credevo che mi sarei annoiato e avrei finito solo per lavorare. Nonostante questo, volevo viaggiare e conoscere com’era il Giappone da un punto di vista diverso da quello turistico. E poi credevo che fosse un’esperienza utile per il mio curriculum. Anche perché gli argomenti trattati avrei potuto trovarli in pochi posti al mondo: solo un’azienda gigante come Ntt Data può permettersi di fare ricerca e sperimentare così tante cose nuove. 

Invece alla fine, e non solo per il lavoro, si è rivelata l’esperienza più bella della mia vita finora e il gruppo è diventato la mia seconda famiglia: peccato sia durato solo un anno! Lo consiglio a tutti coloro a cui l’Erasmus non è bastato e che vogliono vivere qualcosa di completamente diverso, che ti stravolge la vita. L’unica pecca: per me in futuro non ci sarà mai niente di così bello!

Testimonianze raccolte da Rossella Nocca

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