“Il lavoro stagionale insegna a stare al mondo: oggi lo consiglio ai miei alunni, ma... mai in nero!”

Luisa Urbani

Luisa Urbani

Scritto il 05 Set 2019 in Storie

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La Repubblica degli Stagisti prosegue anche a settembre il suo viaggio nell'universo del lavoro stagionale: articoli e storie che focalizzano questo particolare segmento del mercato del lavoro, con le sue luci e ombre. Questa è la storia di Guglielmo Bin che oggi, a 31 anni, fa l'insegnante alle superiori. Quando era più giovane, ha lavorato per diversi anni come stagionale: un’esperienza che, dice, gli ha dato molto e insegnato per la prima volta il significato della parola “dovere”.

Sono un insegnante: da cinque anni insegno italiano e latino alle superiori nella mia città, Latina, ma prima di trovare la mia strada ho lavorato per diversi anni come stagionale. La mia prima esperienza l’ho avuta in quarto liceo scientifico. Vivevo a Pontinia, in provincia di Latina, con la mia famiglia. Avevo compiuto da poco diciott'anni e iniziavo a sentire l’esigenza, come accade a quasi tutti i ragazzi di quella età, di voler mettere un po’ di soldi da parte.

A quei tempi a Pontinia c’era una grossa fabbrica che si occupava della lavorazione e trasformazione del pomodoro. Era un po’ il punto di riferimento della zona perché dava occupazione a tantissimi abitanti: ci lavorava anche mia madre. È stato proprio a lei che ho chiesto di accompagnarmi a cercare un posto lì. È stato semplice farsi assumere: a quell’epoca c’era molto lavoro e i figli dei dipendenti venivano presi per fare la stagione.

 


Così ho firmato il mio primo contratto da lavoratore stagionale: sono stato inquadrato come operaio semplice. Lavoravo otto ore al giorno per otto euro lordi l’ora, il minimo sindacale che poteva percepire un operaio. A volte mi chiedevano di fare degli straordinari, tutti regolarmente registrati e retribuiti. Dal punto di vista contrattuale non ho subito nessun tipo di ingiustizia: quello che c’era scritto sul contratto venne rispettato alla lettera.

Tre mesi sono passati in fretta anche se sono stati molto stancanti: lavorare in estate a temperature che toccano picchi oltre i 40° non è facile. Nonostante il caldo e i chili persi per la fatica, sono rimasto molto soddisfatto del mio primo contatto con il mondo del lavoro e così sono tornato nello stabilimento anche l’anno successivo, quello della maturità: c
hiusi libri e quaderni ho ricominciato a produrre passate di pomodoro per altri tre mesi..

A settembre di quell'anno mi sono iscritto all’università, scegliendo filologia moderna. La prima estate da universitario ho abbandonato l’idea di tornare in fabbrica: c’era molto da studiare e la sessione estiva non mi permetteva di fare un lavoro di otto ore al giorno. Così ho scelto un’alternativa che mi consentisse di coniugare studio e lavoro: fare il cameriere in una delle tante strutture ricettive della costa laziale.

Quelle vissute a San Felice Circeo sono state tutte esperienze positive dal punto di vista lavorativo: facevo orari umani e percepivo paghe dignitose. C’era però un aspetto profondamente negativo: venivo retribuito in nero. A vent'anni accettavo queste condizioni, ma sbagliavo. In Italia, purtroppo, c’è la convinzione che lavorare in nero sia una cosa normale e questo spinge i ragazzi alle prime esperienze a dire di sì a tutto, ma non è giusto perché ogni lavoratore ha diritto ad avere un contratto che lo tuteli.

Adesso insegno italiano e latino alle superiori e quando mi capita di parlare con i miei alunni di lavoro stagionale, non perdo occasione per raccontargli la mia esperienza – sperando che possa essergli utile per non vivere brutte avventure.

Cosa ho imparato da queste esperienze? Innanzitutto che non si devono mai sottovalutare i propri diritti e che bisogna – se necessario – rivendicarli. Quando si è giovani e alle prime esperienze, purtroppo, si accetta ogni condizione. In fabbrica, ad esempio, non prestavo molta attenzione nel verificare se le norme di sicurezza venissero rispettate dai miei titolari: all'epoca non mi preoccupavo di questi aspetti, mi bastava lavorare. Per fortuna non si è verificato nessun incidente, ma con il senno di poi avrei dovuto essere più attento.

Credo che lavorare durante la stagione estiva sia un’esperienza che tutti dovrebbero vivere. Essere impiegati già a quell'età ti abitua ad entrare in contatto con il mondo del lavoro, che è poi quello in cui vivrai per tutta la vita. Se non si fanno mestieri di questo tipo da ragazzi, quando poi si entra nel mondo del lavoro si hanno maggiori difficoltà. Il lavoro stagionale ti insegna a stare al mondo: capisci il senso del dovere, cosa significa essere indipendenti e quale sia il vero valore del denaro. Insomma, ti aiuta ad avere il primo contatto con la realtà, con la concretezza della vita.

Se un ragazzo studia e basta non riesce a comprendere molte dinamiche che poi gli torneranno fondamentali per la vita lavorativa e non solo. Per questo consiglio sempre ai miei alunni di trovare qualche lavoretto estivo.

Testimonianza raccolta da Luisa Urbani

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