Altro che abolita, l'alternanza scuola lavoro andrebbe potenziata: le buone pratiche lo dimostrano

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 15 Gen 2019 in Approfondimenti

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Nel 2018 l'alternanza scuola lavoro ha coinvolto un milione e mezzo di ragazzi. «Se, come risulta dai sondaggi, sono 100mila quelli che si sono trovati male» calcola Antonello Giannelli, presidente dell'associazione nazionale presidi Anp [nella foto a destra] a un convegno romano ospitato dal Cnel, «allora vuol dire che oltre il novanta per cento si è trovato bene».

Ma il governo in carica sembra pensarla diversamente,
e nella legge di bilancio appena approvata i fondi destinati a questa attività sono stati più che dimezzati, scendendo da 125 milioni a 50 per l'intero pacchetto. Stessa sorte per il monte ore complessivo, passato da 400 a 210 per gli istituti professionali, da 400 a 150 per i tecnici e da 200 a 90 per i licei. Una scelta che secondo Giannelli riflette un «modo non corretto di approcciare ai problemi» perché a rigor di logica «se ci basassimo sull'esito nefasto delle ore di matematica in Italia, allora anche lì dovremmo dimezzare il numero!».

Le esperienze positive di alternanza sono invece per Giannelli di gran lunga superiori ai casi negativi: «Ci sono studenti mandati nella Valle dei Templi di Agrigento a spazzolare cocci di reperti greci insieme agli archeologi» esemplifica. «Per me questo non è sfruttamento: io avrei pagato per maneggiare materiale risalente a 2500 anni fa!». E le opinioni degli ospiti alla conferenza sono tutte un coro unanime in tal senso. All'obiezione per esempio che il tessuto imprenditoriale italiano sia composto per lo più da piccole e medie imprese, in cui si fatica a inserire uno studente, Giannelli ribatte: «La legge 107 ha ampliato il numero di aziende presso cui si può svolgere l'alternanza: oggi sono inclusi anche musei e studi professionali» più adatti al percorso di un liceale. E dove «possono svilupparsi quelle famose competenze trasversali fondamentali al lavoro». 


Pensare che un tempo si diceva «se non studi ti mando a lavorare» ironizza Caterina Cantaloni di Unioncamere. E invece «è dalla fine degli anni Novanta che non si ragiona più di scuola e apprendimento come cose separate, e noi come Camere di commercio siamo facilitatori di questo dialogo».
L'alternanza, oltre a «rendere consapevoli delle proprie difficoltà e a rafforzare le capacità per entrare nel mondo del lavoro», funge anche «come orientamento» afferma. E «consente, come dimostrano alcuni studi, di trovare un lavoro migliore» fa eco Tiziano Treu, presidente del Cnel.

Per Angela Nava di
Genitori democratici quello contro cui bisogna combattere «è un pregiudizio che alberga nell'animo dei docenti e connota la nostra cultura, e cioè l'idea che la funzione dell'istruzione sia quella del sapere come valore assoluto, con una separazione netta tra l'otium e il negotium latini». Non va dimenticato come la prima risposta all'introduzione dell'alternanza «da parte di moltissime scuole sia stata una alzata di scudi: questa è la pancia profonda della scuola italiana, con cui bisogna fare i conti».

Le best practice a cui guardare invece sono diverse. Lo racconta
il dirigente scolastico dell'Iti Severi di Gioia Tauro Giuseppe Gelardi [nella foto a sinistra]: «Noi calabresi abbiamo un territorio particolare, dove la piccola e media impresa è molto presente ma il tasso di disoccupazione è al 55 per cento» racconta. Nel timore di continuare a sfornare disoccupati, Gelardi decise di mettersi all'opera molto prima della legge sulla Buona scuola. «Andai a bussare alle porte delle aziende, mi misi a fare file, bisognava convincere tutti» ricorda. Oggi sono 450 gli studenti impegnati nei percorsi di alternanza per un totale di 300 ore all'anno (contro le 400 a triennio previste in precedenza dalla 107). E i risultati in termini occupazionali ci sono perché «stiamo riuscendo a ottenere anche contratti a tempo indeterminato».

E ancora
l'Istituto tecnico Mita di Scandicci, i cui studenti seguono ogni anno appositi corsi di formazione pensati con aziende «socie come Fendi, Prada, Ferragamo» spiega Massimiliano Guerrini, presidente dell'omonima fondazione. «Loro ci chiedono un determinato corso e noi in cambio prendiamo una loro risorsa da usare come tutor». I ragazzi «dopo un biennio, di cui un anno e mezzo in laboratorio, iniziano stage in cui non si va a fare fotocopie» sottolinea, «perché si sono investiti un sacco di soldi e si è studiato un iter sulla base di quello che serve». Così, nelle ultime due edizioni, si è raggiunto «il 100 per cento di occupati».

E poi le aziende, come Almaviva Group, gruppo da 42mila risorse che utilizza l'alternanza dal 2015. «Gli studenti vengono inseriti nel nostro secondo filone di business, relativo alle tecnologie di frontiera per istituti bancari e amministrativi» racconta il direttore Risorse umane Marina Irace. E vengono messi al lavoro «sui droni e sulla realtà aumentata, non come sui banchi di scuola dove si studiano programmi spesso vetusti».

Eppure il destino dell'alternanza scuola lavoro sembra segnato.
Nel Def, come detto, i fondi stanziati sono stati più che dimezzati, così come il monte ore minimo
. Certo, «le scuole se vorranno potranno introdurre più ore» specifica alla Repubblica degli Stagisti Andrea Marchetti dell'Anp. Ma attingendo a fondi interni, e affrontando prevedibilmente bordate dalla rumorosa minoranza di studenti ostili al progetto. Qualcuna riuscirà davvero a farlo?

Ilaria Mariotti 

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