Il congedo di paternità passa a 10 giorni retribuiti al 100%, ma ancora non basta: per scardinare gli stereotipi ci vorrebbero tre mesi

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 30 Gen 2021 in Notizie

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Novità per il congedo obbligatorio di paternità con la legge di Bilancio entrata in vigore lo scorso primo gennaio. Con la nuova disposizione i giorni lavorativi di astensione obbligatoria dal lavoro per i neopapà passano da 7 dello scorso anno a 10, a cui si aggiunge uno da prendere in alternativa alla madre. Il congedo deve essere utilizzato nei primi cinque mesi di vita del neonato ed è retribuito al 100 per cento.

«Quanto stabilito dalla legge di Bilancio anticipa la disposizione della direttiva europea che tutti i paesi dovranno recepire entro il 2022» spiega alla Repubblica degli Stagisti Titti Di Salvo, sindacalista, ex deputata e da tempo impegnata sui temi della tutela della genitorialità.
Il riferimento è al provvedimento approvato a luglio 2019, che dà agli Stati membri dell’Unione Europea tre anni per adeguarsi. «Per finanziare la misura sono stati stanziati 151 milioni, calcolando un costo giornaliero della misura in 15 milioni di euro: «Da una prima stima iniziale di 10 milioni al giorno, dunque un costo per lo Stato di 70 milioni l’anno per una settimana di congedo di paternità, la Ragioneria dello Stato  si è corretta ed è passata a una stima più alta, quantificando appunto 15 milioni al giorno il costo della misura». Di qui i 150 milioni necessari per fare stare a casa i neopapà per dieci giorni.

Nonostante il passo in avanti, quella da poco entrata in vigore è una misura non strutturale, che quindi necessita di un rinnovo di anno in anno: «Siamo di fronte a un traguardo parziale, non scontato, raggiunto attraverso una lenta marcia iniziata nel 2012 e una petizione popolare promossa nel 2018».

Il congedo di paternità in Italia è storia molto recente: fino al 2012 questa misura era assente (fino a quel momento i neopapà potevano usufruire soltanto del congedo parentale, ossia l'astensione facoltativa dal lavoro fino all'ottavo anno di età del bambino per un periodo di tempo continuativo o frazionato e una retribuzione al 30% dello stipendio; una misura che peraltro non è riservata ai genitori di sesso maschile, ma può essere richiesta da entrambi). Inizialmente erano solo due giorni, una sorta di contentino. Nel 2016 sono diventati quattro, ma poi improvvisamente hanno rischiato di sparire: tanto che tre anni fa è stato necessario lanciare una petizione per evitare che i giorni di congedo obbligatori sparissero dalla Legge di bilancio. Titti Di Salvo ne era stata promotrice insieme ad a personalità come il demografo Alessandro Rosina, docente dell'università di Cattolica di Milano e all’imprenditrice Riccarda Zezza, che con il suo progetto Maam sostiene l'empowerment delle mamme (e dei papà) in azienda, e anche la founder della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina.

Negli anni il numero di beneficiari del congedo è aumentato, passando dai 73mila del 2015 ai 135mila del 2019 secondo i dati dell'Inps. Restano attualmente esclusi i dipendenti pubblici per i quali le disposizioni approvate sono valide ma non in vigore, in quanto per loro non è stata ancora emanata circolare applicativa. Una fetta non banale, che contempla più di un milione di lavoratori su un totale di 3 milioni e 300mila dipendenti pubblici.

Su questo fronte Alessandro Fusacchia, deputato e fondatore della piattaforma Movimenta che ha avanzato una proposta di legge per istituire tre mesi di congedo obbligatorio, evidenzia però un paradosso: «Per i dipendenti pubblici, per cui prevediamo la stessa disciplina dei tre mesi obbligatori, c’è un nodo delicato da sciogliere: in alcuni passaggi informali che abbiamo fatto per il conteggio degli oneri della nostra proposta di legge per un congedo lungo per i dipendenti pubblici, la risposta che ci è stata data finora è stata: nessun onere. Non costa. Perché lo stipendio di quel papà assunto a tempo determinato nel pubblico è già contabilizzato nel bilancio dello Stato. Attenzione, però. Se vai tre mesi in congedo di paternità lo Stato deve sostituirti, non possiamo pensare che la macchina amministrativa in cui si sta prestando lavoro faccia finta che non esisti per tre mesi e rimpiazzi male il lavoro che fai, riorganizzando l’ufficio in qualche modo improvvisando o peggio ancora lasciando indietro per mesi le pratiche che seguivi tu. Quindi, il costo di sostituzione temporanea secondo me è un costo che un Paese civile deve prevedere, perché deve prevedere quella sostituzione anche breve».


«Il congedo obbligatorio di paternità è tra le misure possibili quella più efficace per scardinare gli stereotipi nella divisione dei ruoli tra madre e padre» ribadisce Di Salvo. E scardinare gli stereotipi è la condizione necessaria per rimuovere le discriminazioni di genere che hanno penalizzato l’intero Paese perché hanno tenuto le donne fuori dal mercato del lavoro: «La condivisione delle responsabilità genitoriali è anche molto importante per l’equilibrio dei bambini. Qualcosa sta cambiando nelle nuove generazioni. Nei giovani padri è sicuramente più grande il desiderio di vivere la paternità nella quotidianità della cura. Anche se durante il periodo di lockdown in smartworking non parrebbe si sia modificato in maniera significativa il carico del lavoro di cura, che rimane per il 74 % a carico delle donne».

«Che il congedo di paternità obbligatorio passi a 10 giorni è ovviamente una buona notizia, non c’è alcun dubbio. Si tratta di un segnale sostanziale e simbolico molto forte. Detto questo, è abbastanza e va bene così?» si chiede Fusacchia: «Assolutamente no. Una misura di questo tipo non è adeguata alle esigenze del Paese e non corrisponde alle nostre ambizioni rispetto alla costruzione di un congedo di paternità lungo. Un congedo di paternità obbligatorio di tre mesi come quello che proponiamo noi come Movimenta e su cui nei prossimi giorni depositeremo una proposta di legge formale molto articolata su più aspetti permetterebbe di costruire la genitorialità, di far fiorire la paternità, che non è mettere al mondo un figlio, ma crescerlo. Inoltre ridurrebbe drasticamente il rischio di discriminazione sul lavoro per le donne e quindi aiuterebbe a ristabilire parità effettiva tra uomini e donne: questo perché salterebbe il disincentivo a discriminare per le aziende, sapendo che sia la neo mamma sia il neo papà sarebbero off per un periodo di tempo significativo. Emerge anche un aspetto culturale: dobbiamo sottolineare che il tema dei congedi in generale e il fatto di poter conciliare la crescita dei figli con il lavoro è esploso durante la pandemia, soprattutto con il lockdown. Se qualcuno si deve magari temporaneamente sacrificare in famiglia non può essere automaticamente la donna. Noi dobbiamo capire come lavorare e occuparci dei figli, come evitare che le donne facciano passi indietro. Nel dramma totale della pandemia probabilmente c’è stato un piccolo elemento di maggiore consapevolezza rispetto al ruolo dei congedi e questi temi di cui stiamo discutendo possono aiutare a costruire una società più aperta, più equa, più giusta e andare nella direzione che noi chiediamo».


All’estero la situazione è, come spesso accade, un po’ diversa: «Dal primo gennaio in Spagna è entrato in vigore il decreto legge del 2019 che prevede gradualmente per i padri le stesse 16 settimane di congedo, individuali e non trasferibili, retribuite al 100 per 100, previste per la madre. In Islanda sono previsti tre mesi per entrambi i genitori, in Francia il congedo di paternità è di 28 giorni, di cui però solo sette obbligatori» ricorda Di Salvo. 
E lo scorso settembre in Svizzera è stata votata l'introduzione di un congedo di paternità di due settimane, con un referendum che ha vinto con oltre il 60% delle preferenze.

Nel frattempo la legge di Bilancio italiana contiene anche altre novità per le famiglie, come «l’assegno universale per i figli, a partire dal settimo mese di gravidanza fino alla maggiore età
» ricorda Di Salvo: «Avrà carattere universale e questa è la prima novità significativa. Perché fino ad oggi misure come gli assegni familiari erano previsti soltanto per i lavoratori dipendenti, così come le detrazioni familiari, erano possibili solo per le persone capienti – cioè in grado di presentare la dichiarazione dei redditi, con il paradosso di escludere dal beneficio proprio le famiglie più fragili con un reddito talmente basso, sotto i 7.500 euro l’anno, da non rendere possibile la dichiarazione fiscale senza poter godere così delle detrazioni!». Lo stesso paradosso che si era presentato al momento dell'attuazione della misura degli “80 euro” voluta dal governo Renzi: in quel caso potevano accedere ai famosi 80 euro solo le persone con un reddito tra 8mila e 26mila euro all'anno, escludendo dunque chi aveva redditi più bassi.

«L’assegno universale è una buona misura ovviamente» commenta Fusacchia:  «Sarà differenziato per soglie di reddito affrontando anche il tema della disabilità. Inoltre dà un messaggio chiaro e cioè che c’è un riconoscimento nell’accompagnamento dei genitori e della crescita. L’assegno però non sostituisce in nessun modo il bisogno e la necessità di un congedo di paternità obbligatorio lungo di tre mesi. È un pezzo che si inserisce in un quadro generale, che va nella giusta direzione, ma ci sono ancora tanti tasselli che dobbiamo mettere insieme per costruire una politica a tutto tondo che punti sulla genitorialità, che scommetta sui bambini e sulle bambine e che veramente scommetta sulla parità di genere».

Titti Di Salvo spiega che «l’assegno unico avrà anche carattere strutturale e sostituirà i diversi bonus previsti precedentemente, come il bonus bebè, il premio alla nascita, il bonus baby sitter, che comunque in parte verranno confermati per quest’anno perché l’assegno unico entrerà in vigore soltanto nel secondo semestre del 2021, dal primo luglio. Nella legge di bilancio sono state stanziate le risorse e i caratteri generali dell’assegno e un provvedimento successivo ne definirà la misura e i criteri».

Si va quindi in un’ottica di semplificazione e ampliamento, mentre sul tavolo ci sono altri disegni di legge sul tema congedo, conclude Di Salvo: «La condivisione delle responsabilità genitoriali è anche molto importante per l’equilibrio dei bambini. Lo è anche per i padri. Perché la paternità, come la maternità, sono “master” per usare le parole di Riccarda Zezza. Da molti punti di vista è decisivo andare verso lo stesso tempo di congedo obbligatorio per le madri e per i padri. Ci sono in Parlamento alcuni disegni di legge che vanno proprio in quella direzione». 


Chiara Del Priore

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