"Addio al pizzo" consumando e viaggiando criticamente: una rivoluzione silenziosa nelle parole di Dario Riccobono

Giada Scotto

Giada Scotto

Scritto il 22 Mag 2019 in Interviste

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Dar vita a una rivoluzione culturale contro la mafia e restituire ai cittadini la loro libertà, perché “un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. È con questa idea che Dario Riccobono, protagonista della terza intervista del ciclo dedicato da Repubblica degli Stagisti agli Ashoka Fellow, decide insieme ad un gruppo di giovani di dar vita nel 2004 ad Addiopizzo, un’associazione senza scopo di lucro che promuove il consumo critico contro il pizzo, sostenendo i commercianti che hanno deciso di ribellarsi alla mafia. Dalla stessa idea nasce nel 2009 anche Addiopizzo Travel, cooperativa sociale e tour operator che propone un “turismo etico” alla scoperta dei luoghi e delle storie più significative della lotta antimafia. Siciliano, classe 1979, con una laurea in Scienze della comunicazione e un master in Economia e gestione del turismo, Dario cresce infatti negli anni che vedono la sua terra impegnata più che mai nella lotta alla criminalità mafiosa, gli anni di Borsellino e di Falcone, ucciso proprio nel paese in cui Dario è nato, Capaci. Così decide di mettersi a lavoro per dare un segnale forte al proprio territorio.

Come nasce l’idea di Addiopizzo?
Come un vero e proprio movimento provocatorio. Nel 2004 un gruppo di sette ragazzi eragazze tra i venticinque e i trent'anni, di cui ancora non facevo parte, tutti studenti universitari e giovani lavoratori, inizia ad affiggere di notte, per la città di Palermo, adesivi con scritto “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. L’idea era quella di smuovere i palermitani e i siciliani tutti, costringendoli a riflettere sul fenomeno del pizzo come su di un problema che tocca tutta la collettività, fatta di commercianti e imprenditori, ma anche di consumatori. Il nucleo iniziale di sette persone è cresciuto velocemente e, dopo un mese da quel gesto, sono iniziate riunioni partecipatissime, a cui ho partecipato insieme a più di altri cento giovani. Lì è nata l’idea di creare di un sito web, a cui ha fatto seguito la fondazione di un’associazione senza scopo di lucro, Addiopizzo appunto, che doveva promuovere l’acquisto di prodotti presso quei commercianti che, non cedendo alle richieste estorsive, si sono apertamente schierati contro la prepotenza mafiosa. Così nel 2005 lanciamo la campagna di consumo critico Pago chi non paga, che costituisce tutt’ora il fulcro della nostra azione. Ma non finisce qua. Cinque anni dopo, nel 2009 insieme a Edoardo Zaffuto e Francesca Vannini, diamo vita a Addiopizzo Travel, oggi cooperativa sociale e tour operator che propone quello che definiamo un “turismo etico”, ossia un turismo che permetta di scoprire luoghi e storie significative della lotta antimafia. I nostri itinerari sono aperti a chiunque, turisti e non, voglia fare questo tipo di esperienza, anche se la maggior parte della nostra attività si concentra nell’incontro con gli studenti durante i loro viaggi d’istruzione in Sicilia: cerchiamo di trasformare la gita in un percorso di educazione civica. Anche qui, come nel “consumo critico”, l’approccio è “pizzofree”, poiché i fornitori a cui ci appoggiamo – albergatori, ristoratori, proprietari di aziende agricole – hanno tutti scelto di ribellarsi alla mafia.


Avvicinare i più giovani al tema della lotta antimafia è quindi una delle vostre priorità. Promuovete altre attività in questa direzione?

Accanto al consumo e al turismo critico, ci occupiamo di progetti di educativa di strada, per entrare in contatto con bambini che vivono in contesti difficile e a rischio: i nostri volontari organizzano incontri di formazione ed educazione ma anche attività sportive e culturali che coinvolgono i ragazzi meno abbienti del quartiere popolare della Kalsa, nei pressi di piazza Magione, a Palermo. E poi ci occupiamo di educazione alla legalità: dal 2005 interveniamo infatti nelle scuole di Palermo e della provincia con percorsi che mirano a far conoscere ai più giovani il fenomeno del pizzo. All’inizio eravamo noi a proporci, adesso sono i presidi stessi ad invitarci nelle loro scuole, così che il nostro lavoro ha portato al coinvolgimento di oltre centottanta scuole nella provincia di Palermo e alla realizzazione di veri e propri progetti educativi.


Qual è la risposta della società alla vostra attività?

Per fortuna abbiamo ottimi riscontri. Oggi pagare il pizzo in città è diventato un disvalore, cosa impensabile quando abbiamo cominciato! E crescono anche le denunce, assenti quindici anni fa. I negozi e le imprese che hanno aderito ad Addiopizzo e al suo “consumo critico” sono oggi quasi mille, per l'esattezza 999, e i consumatori che li sostengono oltre 13mila. Per raggiungere questi risultati abbiamo puntato ad intervenire, da un lato, sui sentimenti dei consumatori, stanchi di sentirsi complici e finanziatori, seppur indirettamente, della mafia, e dall’altro sulle responsabilità dei commercianti, facendo leva sul senso di responsabilità ma anche sulla convenienza economica: aderire ad Addiopizzo significa anche guadagnare clienti.  C’è poi un altro aspetto da tenere inconto: negli ultimi anni, infatti, molti commercianti ci hanno spontaneamente cercati poiché far parte di un’ampia rete di persone che si stringono e fanno forza reciprocamente porta a una sorta di “protezione preventiva” contro la mafia. All’inizio non è stato affatto facile convincere i commercianti, perché c’era tanta paura. Ma con pazienza e sacrifici siamo riusciti a far crescere la lista e oggi non pagare il pizzo e non rischiare nulla è una realtà a Palermo. Alcuni pentiti di mafia hanno confermato che Cosa Nostra non si rivolge più ai commercianti pizzo-free per richieste estorsive per paura di essere denunciata. Anche il “turismo etico” sta ottenendo grandi risultati, e i viaggiatori che scelgono vacanze pizzofree aumentano infatti in maniera esponenziale: hanno già collaborato con noi oltre sessanta scuole siciliane, 166 scuole e università italiane e una quarantina di scuole e università straniere, nonché circa ottanta tour operator e agenzie di viaggio.


Come funziona il lavoro in Addiopizzo e in Addiopizzo Travel?

Addiopizzo
ha due dipendenti che si occupano della segreteria, mentre tutti gli altri, me compreso, sono volontari;
le principali risorse arrivano dal “cinque per mille”, a cui si aggiungono altri proventi come, ad esempio, le donazioni e il contributo della regione Sicilia antiracket. Addiopizzo Travel, invece, è una cooperativa sociale che dà lavoro a sei persone in ufficio, a cui si aggiungono una decina di collaboratori con partita Iva che guidano i gruppi in varie attività sia a Palermo che nei resto della Sicilia; vive principalmente delle quote dei viaggiatori.

L’elezione ad Ashoka fellow è andata ad Addiopizzo o direttamente a te?

L’elezione ha riguardato me, ma Ashoka Italia ha capito sin da subito che il nostro è un progetto collettivo,efficace e incisivo solo perché corale. Il percorso è stato impegnativo, ci sono stati molti colloqui da affrontare, ma siamo stati tutti fiduciosi sin dall’inizio, proprio perché sicuri del nostro operato. A sorprenderci di più è stato l’esito della ricerca sugli imprenditori sociali in Italia: moltissimi innovatori sociali italiani, dovendo fare il nome di altri innovatori sociali, hanno fatto il nostro, tanto che siamo risultati tra i primi tre più citati dal campione. E questa è stata una piacevolissima sorpresa.


Che significato ha esser nominati Fellow?

È fantastico! Rappresenta non solo un riconoscimento importantissimo, che ripaga di tutti i sacrifici fatti, ma, soprattutto, una possibilità di crescita straordinaria. E stare accanto a tante persone che ammiro è motivo di forte crescita.


In che cosa Addipizzo può considerarsi diverso dagli altri progetti?

Addiopizzo
è diverso perché nasce dal basso, dalla consapevolezza che la nostra terra può migliorare solo con l’impegno di tutti. E poi è diverso perché non ci siamo prefissati un obiettivo finale, un traguardo, ma ne raggiungiamo uno nuovo ogni giorno, preoccupandoci più del cammino che del punto di arrivo. Quello che sentiamo sulle spalle è un peso enorme, la responsabilità verso tutti coloro che hanno lasciato a malincuore la nostra terra e verso coloro che, non volendo chinare la tesa, hanno perso la vita, e quello che ci muove è questa voglia di fare il nostro dovere, di fare pace con noi stessi e con la nostra terra, di placare i sensi di colpa dopo anni di indifferenza. Questo è quello che mettiamo in campo ogni giorno con orgoglio e passione.


Quale è l'impatto più forte che senti di aver avuto nella società con questa attività?

La cosa più importante è aver contribuito a rendere conveniente lo stare dalla parte della legalità. In una terra dove la mafia era un punto di riferimento, dove era il boss a risolverti i problemi e trovarti un posto di lavoro, questo è un gran passo in avanti. Oggi ci sono giovani che non sono costretti ad emigrare grazie alle possibilità che gli abbiamo offerto e aziende che devono al nostro lavoro la loro sopravvivenza.

Intervista a cura di Giada Scotto

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