Apprendistato, contratto giusto per i giovani: perché alcune aziende lo amano (e troppe altre invece no)

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 08 Giu 2023 in Approfondimenti

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Quando si parla di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani si parla quasi sempre di tirocinio, un periodo di orientamento e formazione che consente di muovere i primi passi in contesti lavorativi, ma che di fatto non è un vero contratto di lavoro. Per quanto negli ultimi anni nella regolamentazione degli stage si siano fatti importanti passi avanti anche per quanto riguarda il rimborso spese, esiste un vero contratto fatto apposta per i giovani, ma spesso dimenticato: l’apprendistato. Il governo Meloni sembra voglia rilanciarne l’uso, ma è presto per dire come andrà a finire – e del resto non è la prima volta che la politica annuncia di voler battere questa strada, ma la realtà è che finora nessun governo è riuscito a lanciare veramente questa  tipologia contrattuale.

Partiamo dai numeri: poiché l’ultimo rapporto di monitoraggio Inapp – Inps è stato pubblicato nel luglio 2022 e analizza i dati del triennio 2018 – 2020, e il prossimo non sarà reperibile prima di qualche mese, per avere un’idea dell’andamento dell’apprendistato negli ultimi anni si possono analizzare i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps. Nel corso del 2022 ci sono state 350.883 assunzioni in apprendistato in tutta Italia, con un picco di oltre 37mila nel mese di settembre.

Le donne
che sono riuscite ad accedere a questo contratto sono state meno della metà, solo 140mila.
La Regione in cui l'apprendistato viene più utilizzato è la Lombardia – lo scorso anno ne sono stati attivati oltre 68mila – seguita a distanza dal Veneto con quasi 42mila e dal Lazio con poco più di 38mila. Fanalini di coda Valle d’Aosta e Molise, con rispettivamente poco più di 1.100 e 643 nuovi apprendistati.

Il dato totale di nuovi apprendisti è in crescita di circa mille unità rispetto al 2019, un incremento pressoché irrisorio (lo zero virgola qualcosa in più) ma quantomeno è stato recuperato il crollo di attivazioni subito  nei due anni pandemici, 2020 e 2021, quando il totale era stato rispettivamente di 241mila e 316mila.

Se il numero totale di attivazioni è stato fortemente segnato nel biennio Covid, non è successo altrettanto per quanto riguarda le trasformazioni (ma è più corretto dire “prosecuzioni”) in un contratto a tempo indeterminato: il trend è in crescita dal 2018 e lo scorso anno ha visto quasi 113mila apprendisti firmare per il posto fisso, di cui 22mila in Lombardia, 14mila in Veneto e circa 11mila sia in Emilia Romagna che in Lazio.

Quando si parla di apprendistato si fa riferimento a un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato disciplinato dal decreto legislativo numero 81 del giugno 2015 che identifica tre tipologie: apprendistato “per la qualifica e il diploma professionale” (o “di primo livello”), apprendistato “professionalizzante” (o “di secondo livello”), e apprendistato “di alta formazione e ricerca” (o “di terzo livello”). A ognuno di questi corrispondono finalità e, in parte, target differenti.

L’apprendistato di primo livello
è per i giovani dai 15 ai 25 anni compiuti ed è finalizzato a conseguire un diploma professionale o di istruzione secondaria superiore o il certificato di specializzazione tecnica superiore in ambiente di lavoro. L’apprendistato di secondo livello è diretto, invece, ai giovani dai 18 ai 29 anni compiuti con lo scopo di apprendere un mestiere o conseguire una qualifica professionale. L’apprendistato di terzo livello ha come target anagrafico lo stesso di quello secondo livello, ma la finalità è il conseguimento di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca.

Ma le tre tipologie esistono solo in teoria. Nei fatti, il 90% dei contratti di apprendistato attivati ogni anno in Italia è di secondo livello (anche detto
“di mestiere”). L’apprendistato di primo livello, detto “duale” o anche “per il diritto/dovere di istruzione e formazione” e destinato sopratutto ai minorenni, e quello di terzo livello, detto “alto apprendistato” e destinato a studenti universitari e dottorandi, sono praticamente inesistenti.

Poiché l’Osservatorio nazionale sul precariato dell’Inps non ha i numeri disaggregati, per capire il “peso” dei tre differenti tipi bisogna leggere il rapporto Inapp – Inps del luglio 2022, riferito al periodo 2018 – 2020,  segnato dalla pandemia. Con una premessa, questo rapporto non calcola i rapporti attivati in un anno in numeri assoluti, ma fa riferimento sempre e solo al «numero medio annuo di rapporti di lavoro in apprendistato, quindi include anche i rapporti di lavoro attivati negli anni precedenti ma che perdurano
» in un dato anno, in questo caso «nel 2020», come precisa alla Repubblica degli Stagisti il coordinamento statistico Inps: «I due aggregati sono stati elaborati in periodi differenti risentendo, quindi, di un diverso aggiornamento degli archivi di riferimento». Questo dovrebbe, quindi, spiegare perché da questo rapporto prendendo il 2020 ci siano 531mila apprendistati di cui più della metà, (circa 306mila) nel nord Italia e solo 100mila al Sud. Così come risulta anche dati Istat, anche nel 2020 è la Lombardia la regione con più apprendisti, quasi il 19 per cento a cui seguono Veneto, Emilia Romagna e Lazio. L’età media degli apprendisti è di 25 anni.

Il dato più interessante è quello sulla tipologia più utilizzata: praticamente nove attivazioni su dieci sono di apprendistato professionalizzante, che quindi è il più sfruttato in maniera uniforme sul territorio.
La principale attività economica in cui viene attivato è quella del commercio all’ingrosso e al dettaglio, cui segue il settore manifatturiero.

Quasi inesistente l’apprendistato di terzo livello, per cui il numero di rapporti è di 1.227 nel 2020
– anche se si può specificare che si tratta dell’unica tipologia a mostrare una crescita rispetto all’anno precedente.

Il decreto Lavoro del governo Meloni approvato in Consiglio dei ministri lo scorso primo maggio introduce delle novità per l’apprendistato, anche se quella più rilevante – la cancellazione del limite di età dei 29 anni per i contratti di apprendistato di secondo livello nel settore turistico e termale – nella versione definitiva della normativa non ha più trovato spazio. Assumere apprendisti fino a 32 anni è, invece, già una possibilità in Campania dal 2012 per disoccupati di lunga durata.  

Le modifiche introdotte dal Decreto Lavoro riguardano gli incentivi a favore delle imprese che decidono di attivare un contratto di questo tipo. L’articolo 10 prevede, infatti, che i datori di lavoro privati che assumono beneficiari dell’assegno di inclusione anche con un contratto di apprendistato abbiano «l’esonero dal versamento del 100 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro nel limite massimo di 8mila euro su base annua» e per un periodo massimo di 12 mesi. Non solo, l’articolo 27 comma 3 estende nei limiti delle risorse anche alle assunzioni con contratto di apprendistato professionalizzante un incentivo, a domanda, per i datori di lavoro per un periodo di 12 mesi «nella misura del 60 per cento della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, per le nuove assunzioni dal primo giugno al 31 dicembre 2023».

Anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza  prevede misure per rilanciare l’apprendistato, con un cospicuo investimento destinato a rafforzare anche l’apprendistato duale o di primo livello: 600 i milioni di euro previsti dal piano per il periodo 2022 – 2025, per il finanziamento di percorsi formativi per giovani dai 17 ai 25 anni.

Dopo i primi 120 milioni di euro distribuiti alle Regioni lo scorso anno, a inizio maggio è stata stanziata una nuova quota di risorse del Pnrr, pari a 240 milioni, per favorire il finanziamento di percorsi formativi nel sistema duale. Quota ripartita tra le Regioni che devono poi attivare percorsi di questo tipo. Per questo motivo l’utilizzo dell'apprendistato di primo livello risulta piuttosto frammentato sul territorio, a causa anche della scarsa uniformità e coerenza delle politiche regionali in materia di promozione di questa tipologia contrattuale, spinta più nel Nord Italia che nel resto del Paese.

Alle agevolazioni introdotte dal decreto Meloni e dal Pnrr si aggiungono poi le classiche già in atto da anni. Ovvero, ad esempio, la possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante relativo al contratto collettivo nazionale di riferimento o il fatto che l’apprendista non rientri nei limiti numerici presi in considerazione da alcune leggi per l’applicazione di specifiche normative.

Ma perché le aziende attivano contratti di apprendistato e cosa ne pensano? In Marsh Italia questo è il contratto privilegiato
e «ideale» per i giovani: «Proponiamo di solito un percorso di stage a cui segue un apprendistato, perché comprende tutta una parte di formazione», spiega Mariangela Petrera, Lead Hr manager di Marsh Italia. «Durante l’iter di selezione tante volte ci troviamo davanti a ragazzi giovanissimi che poco conoscono il nostro settore, quello dell’attività di brokeraggio. Quindi per noi è essenziale che ci sia la formazione, perché dall’università difficilmente riescono ad arrivare già con un’idea chiara, con una preparazione. Così l’apprendistato dà a loro sicurezza, perché è equiparabile a un tempo indeterminato e per noi è importante perché abbiamo al nostro interno quelle competenze che ci consentono di formarli».

Punta molto sull’apprendistato anche Bene Assicurazioni, che ha utilizzato sia quello di primo livello che di secondo. «Abbiamo sperimentato quello di primo livello nell’ambito del progetto “Fœrmati in Bene” che vuole creare beneficio sociale e ambientale, contrastando il fenomeno della dispersione scolastica», spiega Stefania Chiarelli, responsabile amministrazione del personale nell’ufficio People Management: «Abbiamo selezionato sette giovani che avevano abbandonato gli studi superiori e realizzato un percorso di alternanza scuola lavoro. Per noi un’esperienza di successo perché al termine sono stati tutti confermati in azienda. La formula che più utilizziamo, però, è l’apprendistato di secondo livello: dal 2021 siamo già a trentatré contratti di apprendistato attivati, dieci nei primi mesi di quest’anno, quindi su un totale di 98 dipendenti oggi 28 sono in apprendistato. E intendiamo sperimentare anche quello di terzo livello». Apprendistato che in Bene «rappresenta la forma contrattuale naturale per chi, al termine di uno stage in azienda, dimostra motivazione e potenzialità per poter proseguire un percorso di crescita professionale». Una forma contrattuale che non ha elementi negativi: «per noi è un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti».

E tra le aziende dell'RdS network ce ne sono alcune che utilizzano addirittura il rarissimo terzo livello:
«La formula dell’Alto apprendistato è sicuramente vincente, con vantaggi per tutti: prima di tutto per i beneficiari, che possono combinare l’ingresso immediato nel mondo del lavoro con una modalità che li accompagna a specializzare ulteriormente la loro preparazione», spiega Roberta Morici, responsabile dei programmi di formazione di Cefriel che in partnership con Bip ha creato il master in Cloud Data Engineer che prevede per i partecipanti l'assunzione in alto apprendistato.

Perché, invece tante aziende non amano l’apprendistato? Probabilmente perché non ne conoscono tutti gli aspetti positivi: «È una questione di conoscenza e di cultura. L’apprendistato porta con sé una serie di vantaggi notevoli ed è un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti», osserva Chiarelli, notando come spesso sia mal visto anche dai giovani per i quali è «ritenuto un contratto di “serie B”». Un problema anche culturale che forse ora potrebbe cambiare e attirare le aziende non solo dall’avere sgravi economici ma anche dalla possibilità di veder crescere qualcuno all’interno dei propri uffici.

Marianna Lepore

 

Foto di apertura: di Drazen Zigic da Freepik
Foto a sinistra: di pressfoto da Freepik

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