Alternanza scuola lavoro, i numeri: riprenderà dopo la pandemia?

Benedetta Mura

Benedetta Mura

Scritto il 16 Mar 2022 in Approfondimenti

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L’alternanza scuola lavoro sta per compiere vent'anni. Introdotta con il decreto ministeriale n. 53/2003 (la famosa “riforma Moratti”), è rimasta però a lungo facoltativa, cioè una semplice possibilità, legata alla buona volontà e all'intraprendenza delle singole scuole.

In 19 anni sono cambiati molti aspetti: l'alternanza ha vissuto un periodo di auge qualche anno fa, quando è stata resa obbligatoria con la riforma della “Buona scuola” del governo Renzi. Ha poi cambiato denominazione, ribattezzata “Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento” – con un acronimo pressoché impronunciabile, “pcto” – con la legge di Bilancio 2019 all'epoca del governo Lega-5Stelle, che non la amava molto. E certo la pandemia non ha aiutato: se già la scuola normale in dad è difficile, con lezioni, interrogazioni e compiti in classe a distanza, l'alternanza scuola-lavoro non “in presenza” diventa pressoché impossibile.

E adesso che il governo è cambiato e la pandemia sembra avviarsi alla conclusione, l'alternanza continuerà il suo declino? O riprenderà vigore?

Quel che sappiamo è che la legge di bilancio 2022 ha introdotto nuove disposizioni per l’istruzione – dalla proroga degli incarichi temporanei dei docenti e del personale Ata all’aumento dei finanziamenti per la scuola (17,59 miliardi) – tralasciando, però, i pcto. «Non c’è stato alcun intervento» conferma Tobia Sartori, segretario Flc Cgil Lombardia: «Abbiamo chiesto di rivedere i percorsi a partire dall’obbligatorietà ma non è stato fatto nulla». Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha però ribadito la volontà di avviare un cambiamento: «In merito all'alternanza scuola lavoro è importante che ci sia una scuola aperta, che si facciano esperienze. Ma quella di dieci anni fa è superata. Nel pnrr vogliamo introdurre una riforma dell'orientamento scolastico che garantisca sicurezza totale», ha detto a Radio24, potendo contare su un piano nazionale di ripresa e resilienza da 12 miliardi di euro per l’istruzione e cinque miliardi per le competenze.

Negli ultimi tre anni le recenti disposizioni hanno cambiato, oltre al nome, anche le regole dei percorsi di alternanza. Il monte ore obbligatorio è stato rimodulato al ribasso, scendendo a 210 ore nell’ultimo triennio per gli istituti professionali, 150 ore per gli istituti tecnici e infine solo 90 ore per i licei: 30 ore all'anno, l'equivalente di meno di una settimana. Per avere un termine di paragone: la “Buona scuola” oltre a rendere l’alternanza scuola lavoro obbligatoria, prevedeva lo svolgimento di almeno 400 ore per gli istituti tecnici e professionali e 200 per i licei. Un taglio rispettivamente di 250 e 110 ore (-58%) abbinato a una netta riduzione dei fondi per l’istruzione (meno 56,5 milioni di euro nel 2019).

«Con la legge di Bilancio del 2019 c’è stato un calo di ore e di finanziamenti e anche la pandemia ha contribuito a peggiorare la situazione», racconta Antonello Giannelli, presidente dell’Anp, Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola: «Dal 2020 ad oggi sono state fatte molte meno ore di alternanza scuola lavoro di quelle previste». Anche Domenico Squillaci, preside del liceo scientifico “Alessandro Volta” di Milano, è dello stesso parere: «Con l’arrivo della pandemia poi c’è stato un crollo. La scuola si è spostata in dad e i percorsi sono stati interrotti. E quest’anno il ministero dell’Istruzione ha imposto una deroga, fissando il monte ore minimo dell’alternanza a 70 anziché a 90».

Ad oggi sono poco meno di 60mila le imprese e le attività, iscritte al registro online del Miur, che offrono percorsi di alternanza, mentre le posizioni ancora aperte per i pcto sono oltre 428mila. Proprio grazie a questo portale nazionale, studenti e scuole possono cercare nuovi percorsi, scegliere l’azienda e contattarla direttamente.

Non si conosce, invece, il numero di studenti attualmente attivi nei pcto. A fornire qualche percentuale sugli anni passati è AlmaDiploma. L’associazione – nata nel 2000 con l’obiettivo di offrire strumenti di valutazione della scuola secondaria e di orientamento – ogni anno pubblica numerose indagini, compresa quella sul profilo dei diplomati. Quest’ultima, nel 2019, è stata rivolta ai 274 istituti aderenti ad AlmaDiploma e ai loro 45mila studenti diplomati. Di questi, l’86,2% ha compilato (facoltativamente) il questionario di rilevazione, un totale di quasi 39mila studenti. L’indagine, però, non riguarda un campione rappresentativo dei circa 500mila ragazzi (486.696 nel 2019 secondo l’Istat) che si diplomano ogni anno, considerato che a sole sei regioni italiane (Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Toscana e Puglia) appartengono oltre i tre quarti dei diplomati esaminati nel rapporto.

Il 99% degli intervistati dichiara di aver svolto un’attività di alternanza scuola lavoro prevista dai programmi scolastici. Il rapporto rileva un’ampia diffusione degli “stage” (77,4%) – anche se è improprio chiamarli così... – e dell’impresa formativa simulata (25%) – progetto che consente agli studenti di operare nella scuola come se fossero in azienda grazie alla creazione di laboratori. Quattro ragazzi su dieci dicono di aver seguito attività di formazione sulla salute e la sicurezza nei posti di lavoro. L’82,1% è rimasto in Italia mentre il 17,5% almeno per parte dell’esperienza si è spostato all’estero. Questa quota varia dal 9,5% delle scuole professionali al 15,3% dei tecnici e al 20,1% dei licei, tra i quali è da segnalare il 42,5% dell’indirizzo linguistico.  Poco meno di su tre definisce “utile” questa esperienza.

Se diamo uno sguardo al 2020, le cifre raccolte da Almadiploma subiscono una forte diminuzione. I diplomati protagonisti dell’indagine sono circa 29mila (su un totale di 35.457). Il 71% dichiara di aver svolto uno stage, seguito dall’impresa formativa simulata (15%) e dal service learning (8%). Il 64% di loro, inoltre, afferma di aver seguito attività di formazione e sicurezza sul luogo di lavoro (il 16,5% in più rispetto al 2019). L’80% dice di aver partecipato al percorso di alternanza solo in Italia mentre il 19,5% è stato all’estero (almeno in parte). Tra gli studenti che hanno deciso di partire per svolgere un pcto, l’8% appartiene a scuole professionali, il 15% a istituti tecnici e il 24% ai licei (45,5% per l’indirizzo linguistico). Il 64% dei partecipanti afferma anche di aver seguito attività di formazione sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Sotto la voce “valutazione” le percentuali risultano in aumento rispetto al 2019, con un tasso di soddisfazione del 30,5% e una considerazione dell’utilità della formazione del 36,5%.

Con lo scoppio della pandemia, però, un tassello è stato rimosso. «A partire dal 2020 la partecipazione a un percorso di alternanza non ha più costituito requisito di ammissione all’esame di Stato» spiega Giannelli: «Altrimenti la percentuale di alunni che non avrebbero potuto accedere sarebbe stata altissima». Lo smart-working è un’opzione che non è stata presa in considerazione. «Questi percorsi sono utili affinché i ragazzi si sporchino le mani ed entrino in contatto con una realtà diversa da quella scolastica. Se questo manca, viene meno il principio alla base dell’alternanza scuola lavoro», sottolinea il presidente dell’Anp.

Il ministero dell’Istruzione ha condotto una serie di indagini, ma le più recenti risalgono al 2015/2016 e 2016/2017: tra il 2018 e il 2021 non risultano essere stati pubblicati report. L’Osservatorio nazionale, istituito nel 2018 proprio per monitorare i dati dei pcto, è durato solo cinque mesi – insediato a febbraio 2018 e presieduto dal prof. Antonio Schizzerotto fino alla fine del governo Renzi nel giugno dello stesso anno, è stato poi abolito dal governo giallo-verde. L’ultimo report disponibile (2016/2017) aveva registrato 938mila studenti in alternanza (in aumento di 285mila unità rispetto al 2015/2016), 456.500 durante il terzo anno di scuola, 417mila durante il quarto e 64.5006 all’ultimo anno. Le strutture ospitanti, invece, nel 2016/2017 ammontavano a 208mila e solo lo 0,9% di queste era situato all’estero.

«Negli istituti tecnici e professionali l’alternanza è sempre stata praticata e valorizzata, anche prima che venisse resa obbligatoria»
, riflette il presidente dell’Anp: «Nei licei, invece, il percorso è sempre stato visto con diffidenza e pregiudizio». «C’è bisogno che i ragazzi facciano esperienze e imparino a muoversi nei contesti lavorativi ma dobbiamo metterci d’accordo su cosa dev’essere l’alternanza, soprattutto nei licei. È utile che i nostri studenti sperimentino; ad esempio, nell’ultimo anno abbiamo avviato un percorso in cui hanno imparato a fare il pane», conclude Squillaci, che pure è preside non di un istituto alberghiero bensì di un liceo scientifico: «Tuttavia ritengo che l’apprendimento vero e proprio di un mestiere serva soprattutto per gli alunni di un istituto professionale piuttosto che per i liceali. Per loro sarebbe più formativo entrare in contatto con realtà diverse, come il terzo settore».

Benedetta Mura

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