Alternanza scuola-lavoro, gli esperti rispondono alle proteste: «Ragazzi, non siete sfruttati»

Irene Dominioni

Irene Dominioni

Scritto il 23 Ott 2017 in Approfondimenti

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Gli studenti italiani non sono soddisfatti dei percorsi di alternanza scuola-lavoro. È sfruttamento, dicono, e per protesta la settimana scorsa sono scesi nelle piazze di 70 città italiane, rivendicando di essere, appunto, «studenti, non merce nelle mani delle aziende». Ma c’è davvero una strumentalizzazione in atto? L’editoriale di Eleonora Voltolina sulla Repubblica degli Stagisti, qualche giorno fa, aveva voluto fare il punto sulla questione: un paio di settimane di esperienza in un qualsiasi contesto lavorativo non possono sostituire l’impiego di un lavoratore, e comunque iniziare ad avere avere un’idea di come il mondo del lavoro funzioni di certo non può far male. Non significa né mettere la firma per un certo tipo di mestiere, né che quel mestiere debba necessariamente piacere, né, tantomeno, essere sfruttati.

Ma allora che legittimità hanno le rivendicazioni degli studenti? La Repubblica degli Stagisti l’ha chiesto ad una serie di esperti in occasione del convegno sull'alternanza scuola-lavoro “Imparare e progettarsi facendo” all'università Cattolica.

«Su alcune tematiche della scuola gli studenti hanno ragione a portare avanti le loro rivendicazioni, ma su altre sbagliano completamente obiettivo.roberto proietto L’idea che il lavoro sia condanna e schiavitù è impressionante» dichiara Roberto Proietto, dirigente dell’ufficio Ordinamenti scolastici e politiche per gli studenti dell’Ufficio scolastico regionale lombardo. «Mi consola il fatto che sia una reazione ampiamente minoritaria, seppur largamente enfatizzata dagli organi di informazione. Stiamo lavorando su alcuni degli elementi che hanno sollevato, come la questione dei diritti e doveri degli studenti in alternanza, e presto presenteremo loro una soluzione. Siamo assolutamente aperti al confronto». 

Insieme ad Assolombarda, l’ufficio scolastico regionale in Lombardia è al lavoro sulla costruzione di un manuale di condotta per i percorsi di alternanza. Rimangono però aperte altre questioni, come ad esempio quali attività si possano effettivamente etichettare come alternanza. «Lo è l’esperienza in vela a Caprera? E la visita guidata in azienda?» chiede Proietto. Resta da chiarire anche quale debba essere il ruolo del tutor (interno, a scuola, ed esterno, in azienda) e quello del consiglio di classe, oltre alla questione dell’accertamento delle competenze. Ma resta un dato di fatto: l’alternanza scuola-lavoro presenta un potenziale enorme, anche se «occorrerà molto tempo per vederne gli effetti, poiché non c’è alternanza se non c’è anche una trasformazione dell’assetto didattico» sottolinea il dirigente. 

diego boerchiAl di là degli ostacoli specifici, l’alternanza scuola-lavoro rimane uno strumento valido per dare agli studenti un “assaggio” di mondo del lavoro. Per questo, secondo gli esperti, non è giusto criticare la misura nel complesso, e gli studenti dovrebbero piuttosto rivolgere le proprie rivendicazioni alle singole scuole, responsabili dell'implementazione dell'alternanza.  «Sul fatto che le esperienze di scuola-lavoro avrebbero potuto essere progettate meglio mi sembra giusto che gli studenti manifestino il proprio disagio» dice Diego Boerchi, ricercatore e psicologo del Centro di Ricerche sull'Orientamento e lo Sviluppo Socio-professionale (CROSS) dell’università Cattolica: «Anche se, piuttosto che nelle piazze, dovrebbero reclamare ai propri docenti e dirigenti il diritto a esprimere una preferenza e ad un maggiore coinvolgimento nell’organizzazione dell’alternanza, così da generare percorsi che siano per loro veramente utili».

Secondo Livia Cadei, docente di Pedagogia della Cattolica, il vero problema è che i ragazzi non hanno capito il valore dell’alternanza scuola-lavoro, ed è compito dei docenti, delle scuole e delle aziende aiutarli a farlo: «Gli studenti manifestano un disagio perché avvertono che questa esperienza non è sfruttata bene, ma non sono stati aiutati a comprendere che, più che un lavoro non retribuito, questa esperienza può essere utile per crescere e acquisire competenze diverse e trasversali al sapere, al saper fare e al saper essere. livia cadeiGli attori del mondo adulto dovrebbero allearsi per spiegare meglio agli studenti cosa ci si attende da loro e come siano tutti in gioco».

Ma l'alternanza non è utile soltanto dal punto di vista delle competenze, bensì anche da quello delle conoscenze: gli studenti, infatti, spesso non solo non hanno ben chiaro quale strada vogliano intraprendere, ma ignorano anche in che cosa consistano i mestieri che si prefigurano. Comprendere con anticipo che cos'è il mercato del lavoro, invece, li aiuterebbe non solo ad inserirsi più facilmente, ma anche a capire dove candidarsi per trovare le migliori opportunità. «È un attimo che uno studente che ha studiato informatica e installazioni di rete esca dalla scuola pensando di installare grandi impianti e invece si ritrovi a tirare cavi e basta. Con l’alternanza scuola-lavoro ha l’opportunità di conoscere questo contesto, di capire che chi esce dalla sua scuola può fare lavori per lui molto interessanti ma anche molto banali, e quindi anche di capire meglio come muoversi per tempo per cercare le opportunità che per lui siano più interessanti. Non può rimandarlo a quando avrà il pezzo di carta in mano».

Non è detto però che le esperienze di alternanza siano in linea con il proprio percorso di studi. Non sarebbe meglio se uno studente del classico facesse alternanza in una libreria, piuttosto che in una società di consulenza informatica? E che uno dello scientifico andasse in un’azienda automobilistica, invece che in un negozio di abbigliamento?

«E' interessante che l’alternanza possa svolgersi in contesti lavorativi che consentano di sviluppare le competenze di profilo» dice Proietto, «però ricordo che è un po’ più difficile identificare queste competenze per esempio per gli studenti liceali. Quello che manca ai nostri studenti è ciò che oggi la nuova realtà del mondo del lavoro richiede, cioè le competenze non legate ad un particolare settore, ma alla mentalità che si sviluppa nel mondo del lavoro. Quando lo studente dice che gli hanno fatto fare qualcosa che non c’entra nulla con il suo percorso, dice una cosa che può essere vera, ma che non può essere portata a fondamento dell’alternanza scuola-lavoro, che forse vuole raggiungere altri obiettivi».

«Bisogna stare attenti a non lasciar intendere che allora tutte le esperienze, dal fare il caffè al fare le fotocopie, siano utili solo per acquisire competenze pratiche», incalza la Cadei. «Occorre qualcuno alle spalle degli studenti che li aiuti a rileggere la situazione, a capire quali sono gli elementi culturali e di sfida. Di fatto non bisogna lasciare soli gli studenti, e anche tutto il sistema deve essere aiutato a comprendere il valore formativo dell'alternanza. Forse allora capiranno che queste esperienze non costituiscono delle scorciatoie».

Evidentemente sull’alternanza scuola-lavoro ci sono ancora parecchie cose da digerire, in primis da parte degli studenti. Ma sul fatto che questa sia un’opportunità preziosa, sia per consentire ai ragazzi per inserirsi più efficacemente nel mondo del lavoro, sia per iniziare a svecchiare il sistema scolastico italiano, rimangono pochi dubbi. Non ammetterlo sarebbe come puntare il dito contro lo scienziato Thomson, colui che nel 1904 inventò il modello atomico “a panettone”. Chi l'ha studiato sa che quel modello si rivelò impreciso. Ma forse ricorderà anche che pose anche le basi per tutti i successivi studi sulla struttura dell’atomo. Davvero è il caso di abbattere un pezzo così fondamentale dello sviluppo della scienza (e della formazione) moderne?

Irene Dominioni

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