Emergenza Neet, all’Europa i giovani che non studiano e non lavorano costano 2 miliardi di euro a settimana

Valentina Navone

Valentina Navone

Scritto il 12 Gen 2012 in Notizie

I Neet sono quei giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano, non compiono una formazione e non lavorano. L’acronimo – not in employment, education or training – è stato coniato in Inghilterra alla fine degli anni ’80 ma si è diffuso solo negli ultimi anni, specie da quando la crisi ha aggravato la disoccupazione giovanile. In Europa rientrano nella categoria ben 7 milioni e mezzo di persone, distribuite tra tutti gli stati membri a eccezione del Lussemburgo (che però non fa molto testo, avendo una popolazione pari a meno di mezzo milione di abitanti).
L’anteprima di una recentissima ricerca dell’Eurofound – European foundation for the improvement of living andstage working conditions – evidenzia che i Neet non solo sono uno spreco di risorse umane ma rappresentano anche un enorme costo sociale e un pericolo politico. Essere Neet non è infatti solo un problema individuale ma un danno per tutta la società e l’economia. A livello privato, fare parte di questa fascia anche per un breve periodo equivale a un aumento dell’isolamento sociale, della possibilità di trovare solo lavori sottopagati e temporanei, di essere più portati alla criminalità e più soggetti a malattie e problemi mentali. A livello pubblico il rapporto calcola che il costo della disoccupazione dei Neet nella sola Europa sia di 2 miliardi di euro a settimana, sommando mancati guadagni e spesa per sussidi pubblici. Il fenomeno è più grave in Bulgaria, dove incide per una cifra pari al 2,6% del Pil, in Irlanda con il 2,1%, e in Italia, che con più di 1 milione di Neet perde annualmente 26 miliardi, mezzo miliardo a settimana: cioè l’1,7% del Pil. E i numeri potrebbero essere anche più alti perché il rapporto non tiene conto dei costi di giustizia stagee sanità, né delle tasse non pagate. Se poi si prende in considerazione la fascia d’età 15-29 anni come ha fatto poche settimane fa Bankitalia nella sua indagine sulle Economie regionali i Neet risultano essere addirittura 2,2 milioni.
Il dilagare dei Neet è anche connesso alla sfiducia nelle istituzioni, considerate incapaci di risolvere i problemi dei cittadini. Così rispetto alla media dei giovani che lavorano è molto più bassa la percentuale di Neet, specialmente se disoccupati, che votano o almeno si dicono interessati alla politica.
Quali sono le risposte al problema? La maggioranza degli Stati usa un approccio combinato per fornire ai Neet competenze professionali e creare maggiori e migliori opportunità occupazionali, specie nei confronti dei più svantaggiati, come disabili poveri e figli d’immigrati.
Anche se un alto livello di educazione non è più una garanzia di ottenere un posto, uno degli obiettivi principali dell’Unione europea rimane quello di ridurre gli abbandoni scolastici a meno del 10%. Le misure in questo senso sono diverse: aumentare e ampliare i corsi di formazione professionale, allungare l’istruzione obbligatoria e incrementare la presenza di insegnanti di sostegno per gli studenti a rischio.
Un altro modo per diminuire il numero dei Neet è facilitare il passaggio dalla scuola al lavoro.
stage Anche qui sembra più efficace diversificare i metodi: è importante dare prima di tutto orientamento e poi informazioni e aiuto su come cercare un’occupazione. Possono essere validi gli stage e soprattutto gli apprendistati, che qualcuno riesce a svolgere anche all’estero grazie alle borse di mobilità europea come il programma Leonardo. Ma questi strumenti nascondono anche abusi, come hanno dimostrato l’europarlamentare Emilie Turunen, lo European Youth Forum e per l’Italia la Repubblica degli Stagisti promuovendo la Quality Charter of Internships and Apprenticeships: quindi certamente il loro utilizzo può contrastare il fenomeno dei Neet, ma a patto di essere ben normato e monitorato, cosa che ad oggi non sempre avviene. Inoltre molti Paesi hanno introdotto incentivi per le aziende che assumono giovani o aiuti per i ragazzi che vogliono creare un business o mettersi in proprio.
Per avere dati certi sull’efficacia concreta di queste iniziative bisognerà però attendere la metà del 2012, quando l’Eurofound renderà pubblici i risultati di una rilevazione ad hoc sulle strategie anti-Neet. Nel frattempo purtroppo l’esercito dei Neet continua ad ingrandirsi, soprattutto in Italia: probabilmente il fatto che queste persone non vadano ad aumentare le statistiche dei disoccupati determina un certo disinteresse da parte della classe politica.
La speranza è che il mezzo milione di euro di perdita a settimana calcolato da Eurofound induca i governanti ad avviare una riflessione quantomeno economica: se il problema non viene ritenuto urgente dal punto di vista sociale, forse guardarlo dal punto di vista delle casse dello Stato potrebbe innescare finalmente una reazione.

Valentina Navone

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