Giornalismo, Cotroneo: «Meglio il praticantato nelle scuole che nelle redazioni»

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 03 Ago 2012 in Interviste

È entrato all'Espresso all'inizio degli anni Ottanta, con un contratto di praticantato, restandoci poi per 25 anni e divenendone una delle firme di punta. Roberto Cotroneo, 51 anni, oggi dirige una delle scuole di giornalismo più prestigiose, la Scuola Superiore “Massimo Baldini” della Luiss. La Repubblica degli Stagisti l'ha intervistato per cercare di capire qualcosa in più, stereotipi a parte, sulle scuole di giornalismo. 

Direttore, cosa risponde a chi accusa le scuole di giornalismo di essere posti dove i figli di papà si comprano il praticantato e diventano giornalisti?
Che è una sciocchezza. Noi abbiamo allievi che non sono figli di papà, che vincono delle borse di studio, diamo esattamente sei esenzioni totali ogni due anni. Le scuole possono essere frequentate anche dalle persone che non ne hanno le possibilità, come tutti i master post laurea. E poi non si compra il praticantato nella scuola di giornalismo, si impara a fare i giornalisti. Si fa per due anni un lavoro durissimo, a tempo pieno otto ore al giorno, facendo tutte le discipline: un lavoro importante che vedono poi le testate quando vanno a fare gli stage.
Non è un'imboscata: io e molti collaboratori della Repubblica degli Stagisti, compreso il direttore, siamo giornalisti grazie a una scuola. Ma proprio perché a scuola ci hanno insegnato bene il mestiere, vediamo che la situazione di questo canale di accesso alla professione è critica a causa dei costi sempre più alti. La Luiss per esempio costa 20mila euro a biennio: è accettabile?
È inevitabile. E poi tutti i canali di accesso alle professioni sono critici, ormai. C’è una regola dell’Ordine che dice che le scuole non devono avere utili, e infatti noi andiamo esattamente in pari. Non guadagnamo sulla scuola di giornalismo. Quella cifra serve esattamente a pagare attrezzature, tecnologie ad altissimi livelli che rinnoviamo ogni due anni. Se gli editori facessero il loro mestiere e sponsorizzassero le scuole di giornalismo, e ne avrebbero interesse visto che formiamo dei giornalisti per loro, le cose sarebbero diverse.
Secondo lei le 12 borse di studio parziali su 30 posti che mettete a disposizione sono sufficienti? Comunque resta il 50% della quota da pagare, 10mila euro, e poi per tutti gli allievi che arrivano da fuori Roma ci sono anche le spese di vitto e alloggio nella capitale, non proprio basse. Per le famiglie resta un gran sacrificio…
Tenga conto che c’è una norma che obbliga un 15-20% del fatturato delle scuole in borse di studio, quindi noi diamo quello che l’ordine – che sta facendo un eccellente lavoro da questo punto di vista -  chiede. Se le altre scuole non lo fanno, escono dalla normativa. Le università costano, non è che uno è obbligato a fare il giornalista nella vita. Fare una scuola di giornalismo purtroppo ha dei costi, su questo non c’è dubbio. Il mio sogno è fare una scuola di giornalismo che ha tutte borse di studio e che porta all’esenzione totale di tutti gli allievi, ma non si può. Questo è il problema.
Chi paga queste borse?
È la Luiss che le paga. Non ci sono aziende esterne, le diamo noi stessi. Prendiamo una parte dei nostri proventi e le trasformiamo in borse di studio.
Quali sono, oggi, gli sbocchi occupazionali per i praticanti della scuola?
Noi abbiamo 11 giornalisti al Tg1: prepariamo davvero, è per questo che abbiamo bisogno di investimenti e di tutto quello che lei può immaginare.
Vista la forte crisi nel settore giornalistico, su cosa la scuola punta maggiormente per aiutare i suoi praticanti a trovare un lavoro?
Sull’online, chiaramente, sulla competenza e sulle nuove tecnologie.
Come mai le scuole hanno costi tanto differenti, dagli 8mila ai 20mila euro per avere, in linea teorica, gli stessi insegnamenti?
Non lo so: so quello che costa la nostra per il tipo di spese che abbiamo, e non possiamo minimamente stare sotto quel tipo di cifra. Se mi chiede come mai ci sono scuole che costano 8mila euro, non glielo so dire. Normalmente sono scuole che hanno sovvenzioni regionali. Certo le posso dire una cosa: una scuola di giornalismo, organizzata nel modo giusto, con tutto quello che serve, non può costare 8mila euro. Perché vuol dire che qualcosa non torna.
Come spendete i circa 600mila euro che ricavate ogni due anni dai candidati e dai vostri allievi?
Sono 300mila euro all’anno: li spendiamo pagando i docenti, i tutor, comprando le attrezzatture, stampando il giornale, tenendo i domini, facendo le riforme grafiche.
Come tutte le scuole, a un certo punto anche per i vostri allievi c'è lo stage: si tratta di vero apprendimento o di sfruttamento nelle redazioni?
Lo stage fa parte del percorso formativo della scuola di giornalismo, è obbligatorio perché completa il praticantato. Tutto dipende dalla redazione in cui vanno e come si comportano i capiredattori nei confronti degli stagisti. Da parte nostra non abbiamo mai avuto casi di sfruttamento e lo so perché ho le relazioni degli allievi che vengono poi consegnate all’ordine, è tutto assolutamente scritto. Non posso escludere quello che succede in altre scuole. A noi non sono mai successi casi di sfruttamento:  seguo gli stage dei miei allievi telefonando a uno a uno i direttori e cercando di far capire come sono i miei allievi e come dovrebbero essere in qualche modo utilizzati. Se ci sono scuole che li mandano allo sbaraglio in redazioni che conoscono poco, è un altro discorso. Cerco di stare attento a non far finire i miei allievi in stage che non siano adeguati a un livello di professionalità e di competenza che hanno.
È giusto che scuole costose come la vostra mandino i propri allievi in redazioni che prevedono stage gratuiti? Non potreste mettere una clausola per cui ai vostri allievi garantite di mandarli in redazioni "illuminate" che prevedano di erogare un rimborso?
Purtroppo non posso modificare il codice civile. Se gli editori di Repubblica non vogliono pagare gli stagisti non è che posso obbligarli attraverso qualunque clausola perché legalmente non avrebbe nessun valore. Lo stage, come si sa, non è detto che debba essere pagato e io non posso obbligare De Benedetti, o il gruppo Rcs, o Sky a pagare gli stagisti. Mi piacerebbe che li pagassero: ma purtroppo è una decisione loro, non mia.
Peraltro forse da gennaio 2013 sarà anche obbligatorio il pagamento degli stage….
Sì. Dovrebbe diventare obbligatorio, allora a quel punto la legge mi aiuterebbe, ma io posso fare molto poco: se non ribadire che sono d’accordo, ovviamente, che gli stagisti dovrebbero essere pagati.
Una volta diventati professionisti, la vostra scuola continua a seguire gli ex praticanti nel loro percorso lavorativo monitorando lo stato occupazionale?
Assolutamente sì, abbiamo tutti i dati, monitoriamo e cerchiamo di seguire il più possibile tutto questo. Le statistiche sono buone: abbiamo alcuni articoli 1 e molti hanno dei contratti con cui collaborano con giornali importanti. 
Lei quest'anno al festival del giornalismo di Perugia ha lamentato il disinteresse degli editori delle grandi testate, che non chiamano mai lei e gli altri direttori delle scuole per farsi segnalare gli allievi più bravi. Quindi nel nostro mondo si continua ad andare avanti per cooptazione e anzianità? Niente spazio al merito e alle nuove leve?
Se mi fa questa domanda così diretta le rispondo che sì, ancora siamo a cooptazione, decisamente. C’è questo problema, non posso negarlo, c’è nei giornali come negli altri posti di lavoro.
Oggi consiglierebbe a un giovane che vuole diventare giornalista di frequentare una scuola di giornalismo?
Se un giovane vuole diventare giornalista l’unica cosa è frequentare una scuola di giornalismo. In questo momento non conosco altri modi.
Il praticantato con l'assunzione, col famoso articolo 35 del contratto di lavoro giornalistico, è praticamente estinto. Perché?
Questo deve chiederlo agli editori. Ho fatto il praticantato in un giornale dove poi ho lavorato per 25 anni, l’Espresso. Perché non c’è più? Chi lo sa.
Tra il percorso che si faceva una volta nei giornali e quello che si fa oggi nelle scuole, qual è il migliore?
Oggi sicuramente il praticantato nelle scuole. La professione è profondamente cambiata, la parte artigianale che c’era un tempo non esiste più. Quindi è molto meglio fare un praticantato nelle scuole e imparare più cose possibile. Perché oggi il livello tecnologico nel mestiere è talmente importante che non si può più imparare a Repubblica, come ho fatto io. Se mi chiede se sia giusto avere delle scuole di giornalismo quasi gratis magari per i meno abbienti con un ingresso ad altissimo livello, con selezioni molto forti, sì, è un problema che dovremmo porci. Però ora le scuole di giornalismo costano perché costa farle davvero: una volta per fare questo mestiere serviva la macchina da scrivere e due fogli. Oggi non è più così.


Marianna Lepore

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