Enzo Iacopino: «Le scuole strumento essenziale, il problema sono i costi»

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 30 Lug 2012 in Interviste

La prima è nata alla fine degli anni settanta ed era completamente gratuita: da allora le scuole di giornalismo sono cresciute (fino a essere 21) e diventate molto costose. Negli ultimi anni Enzo Iacopino, dal 2007 segretario e dal 2010 ad oggi presidente dell’Ordine dei giornalisti, le ha monitorate facendo chiudere tutte quelle che non rispettavano il quadro di indirizzi. La Repubblica degli Stagisti lo ha intervistato per avere la sua opinione sui problemi della professione, a cominciare da quello dei canali di accesso.

Oggi in Italia esistono 11 scuole di
giornalismo, ma ognuna ha requisiti diversi: perché l’Ordine firmando le convenzioni non stabilisce regole comuni su età o numero di allievi?
Le regole sono comuni e scaricabili dal sito dell’ordine. Il numero varia perché al momento della convenzione si è stabilito un tetto massimo ma dove non c’era una struttura adeguata per trenta si è fissato un numero inferiore. Il problema però è un altro: ormai il praticantato tradizionale non lo fa più nessuno perché nessun editore lo consente.
L’Ordine ha chiuso una decina di scuole: perché?
Alcune erano una finzione: mi è capitato di andare a fare ispezioni a sorpresa in una scuola che aveva sede in un garage. Per 30 ragazzi c’erano a disposizione solo tre quotidiani. E i docenti nemmeno sapevano di esserlo. Abbiamo scoperto queste cose solo quando i ragazzi dopo l’esame, liberati dal “ricatto”, ci hanno raccontato cosa succedeva. Credo comunque che le scuole siano diventate uno strumento essenziale, se garantiscono la qualità. Il problema però è che costano una cifra insopportabile.
Infatti: dagli 8mila ai 20mila euro a biennio: un business non indifferente…
Le rette sono una cosa insopportabile e ci sono molti altri costi da aggiungere. Dobbiamo però decidere se essere ipocriti o concreti. La deperibilità delle attrezzature in una scuola è altissima e bisogna affrontarla. Il discorso che andrebbe fatto è: se l’informazione è patrimonio della società, lo Stato non può guardare dall’altra parte sperando che i privati risolvano il problema. Se i giornalisti devono garantire l’informazione e devono essere preparati a fornirla, i master devono costare come un normale corso post laurea: 3mila, 3.500 euro.
L’Ordine non potrebbe almeno controllare che sia effettivamente rispettato il requisito delle borse di studio per garantire l’accesso ai più meritevoli?
Ma se i praticanti, quando sono dentro le scuole e sono vittime di quello che accade, non lo dicono, come faccio a sapere che non danno borse di studio? Alcune scuole sono state diffidate, a firma Iacopino abbiamo scritto «se non date le borse di studio e non ci date le prove con la tracciabilità bancaria, vi chiudiamo la scuola». Però gli studenti ce l’hanno detto solo quando sono venuti a fare l’esame. 
Nelle analisi fatte dall’Ordine non c’è nessun dato sugli obiettivi occupazionali né le scuole pubblicano dati simili sui loro siti: nessuno fa un monitoraggio sul placement degli ex allievi?
L’unico è lo Iulm. Un altro monitoraggio lodevole, lo ha fatto Franco Abruzzo. Né l’Ordine né le università hanno strumenti per obbligare i ragazzi a dire cosa fanno finito il master. Non so come aggirare il problema, chiunque mi dia un suggerimento avrà la mia gratitudine pubblica. Non si può pretendere che un’università insegua i suoi ex allievi né mettere nelle norme l’obbligo deontologico, a carico degli ex studenti, di comunicare cosa fanno!
Quindi gli esiti occupazionali non sono presi in considerazione dai vertici dell’Ordine per la conferma delle convenzioni?
No. Come segretario dell’ordine ho fatto la prima riforma del quadro di indirizzi e ho ottenuto una norma sulle incompatibilità: prima chi controllava poteva anche insegnare nelle scuole, ora no. Volevo un monitoraggio sul mercato per capire quanti posti nuovi vengono creati in un anno e quanti ne produciamo nelle scuole: mi hanno votato contro. Ho provato molte volte a eliminare i limiti di età per l’accesso alle scuole, ma ci è stato obiettato che non si applicano alle selezioni universitarie le stesse norme dei concorsi pubblici. Ho cercato di far inserire una norma che riducesse il numero di posti assegnati a una scuola in proporzione ai partecipanti alla selezione. Se sono in 30, non puoi avere 30 posti. Mi hanno messo in minoranza. Però con onestà, il numero maggiore di neo professionisti non viene dalle scuole: questa guerra concede solo alibi agli editori.
Qual è la percentuale maggiore di partecipanti agli esami?
I praticantati di ufficio, i “negri delle redazioni”, sfruttati da tv, radio, giornali: colleghi ai quali l’ordine alla fine riconosce un diritto negato dall’editore. Posso dare i numeri sulle statistiche delle sessioni di esame dal gennaio 2011 all’aprile 2012: su 1519 presenti totali alla prova scritta - non solo esordienti ma anche bocciati delle precedenti sessioni - c’erano 394 riconoscimenti di ufficio e 299 provenienti dalle scuole, una media a sessione di 66 dai giornali e 50 dalle scuole.
Ma secondo i dati dell'Ordine, quanti nuovi giornalisti servono ogni anno per assicurare il turn over?
Se i giornalisti si comportassero con dignità nel 2011 sarebbero stati 600. Ma i nuovi ingressi nel 2011, dati Inpgi1 non co.co.pro, credo siano 18. Dietro questo sbarramento c’è la vergogna, che denuncio con voce praticamente isolata, di chi va in prepensionamento e per una mancetta continua a fare lo stesso lavoro di prima. Si ha il diritto di continuare a scrivere ma non di occupare lo stesso posto, anche per un principio di solidarietà tra colleghi.
A Milano sono state accorpate due scuole, la Statale e l'Ifg, mentre in Campania ci sono due scuole attive, a Napoli e Salerno, ma il mercato editoriale del territorio, lo dimostra l’indagine del Coordinamento dei giornalisti precari della Campania, non riesce ad assorbire tutti i giornalisti, professionisti o pubblicisti: perché lasciarle aperte tutte e due?
Fino a quando rispettano i parametri della convenzione non possiamo chiuderle. La Walter Tobagi è stata accorpata perché l’Ordine non aveva più soldi per pagarla. A parte l’antica rivalità tra napoletani e salernitani, non credo ci siano possibilità di moral suasion sui due master. Dovremmo riuscire a parametrare le scuole sulle prospettive concrete di mercato, con un ultimo semestre mirato: per una scuola nella specializzazione economica, per un’altra in quella sportiva. Dovremmo andare verso una riforma che tocca la laurea: il nostro è un mestiere delicato, bisogna essere alfabetizzati. Con l’intervento dello Stato, poi, verrebbero calmierati i prezzi... ma il percorso è lungo.
È notizia di questi giorni che il rettore dell’università di Sassari, Attilio Mastino, abbia affidato la delega al professor Virgilio Mura per la riattivazione del master in giornalismo addirittura entro novembre. Che ne pensa?
La scuola chiusa di Sassari è una delle esperienze più devastanti che abbia vissuto come presidente dell’Ordine, sono stato presente a tutte le ispezioni dopo che i praticanti mi hanno segnalato che giravano i pollici e avevano un calendario di lezioni mai rispettato. Valuteremo quello che l’università ci fa vedere non quello che promette. Promesse prima della chiusura ne avevamo avute molte, impegni mantenuti direi molto vicino a zero.

Dopo il no del ministro Fornero alla legge sull'equo compenso, ci sono speranze perché venga approvata in tempi rapidi?
Il ministro Fornero ha un'idea proprietaria delle istituzioni. Oltraggia la Camera che ha approvato all'unanimità la legge con il parere favorevole del governo Monti, ignora gli appelli del Capo dello Stato e dei presidenti del Senato e della Camera, travalica le sue competenza e cerca di impedire ai senatori di procedere nel loro lavoro. È un comportamento senza precedenti. Ritengo che il Senato avrà l'orgoglio di rivendicare le sue prerogative e procederà all'approvazione, ignorando la difesa degli interessi degli editori fatta dal ministro Fornero con le sue affermazioni.


Marianna Lepore

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