Garanzia Giovani, la partenza slitta a maggio. Ma il progetto è nuovo, o vecchio di 15 anni?

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 25 Mar 2014 in Notizie

«La Garanzia per i Giovani è già parte della legislazione nazionale dal 2002 con il decreto legislativo 297», entrato in vigore ufficialmente dal 2003: è quanto si legge nel piano di attuazione della Youth Guarantee, formulato a gennaio dall'ex ministro Giovannini e adottato dall'attuale governo. Una vecchia norma, sempre rimasta solo sulla carta, che in effetti riproduce molto da vicino i contenuti del programma odierno, parlando di servizi di orientamento e di reinserimento al lavoro entro sei mesi (adesso ridotti a quattro) dall'inizio dello stato di disoccupazione.
Che il sistema «esistesse già senza che nessuno lo sapesse» lo ha confermato anche Emmanuele Massagli, presidente dell'Adapt, alla recente presentazione romana di un libro sul programma europeo che a partire da maggio prossimo dovrebbe - quantomeno nelle intenzioni - salvare dalla disoccupazione e dalla caduta nel circolo dei Neet circa 1,3 milioni di giovani italiani tra i 15 e i 24 anni, più un altro milione tra i 25 e i 29 (dati Istat 2013). 
È dunque negli anni a cavallo tra la fine del vecchio e l'inizio del nuovo millennio, quando la disoccupazione giovanile era già grave (al 26% tra i 15-24enni) ma non aveva ancora raggiunto il 40% di oggi, che il ministero del Lavoro aveva infatti predisposto un primo piano per contrastare il fenomeno: una sorta di versione rudimentale di Garanzia Giovani.
Finché non sono arrivati i finanziamenti europei quel piano è però rimasto appunto lettera morta
. Quando poi finalmente, ad aprile dell'anno scorso, è scattata una raccomandazione della Ue che chiedeva con forza agli Stati membri di mobilitarsi e presentare un piano di Garanzia Giovani, stanziando per ciascuno fondi più o meno consistenti (in Italia, tra fondi e cofinanziamenti, si arriva alla ragguardevole cifra di 1,5 miliardi di euro), il ministero retto in quel momento da Enrico Giovannini ha deciso di riesumare lo scheletro del vecchio progetto, benché fosse stato redatto addirittura in epoca pre-euro.
L'attuale ministro Giuliano Poletti - a causa dell'avvicendamento al vertice del ministero, il programma è slittato di due mesi: doveva partire a marzo, ora partirà se non ci saranno ulteriori stop a metà maggio - non fa che confermare. «L'impostazione generale resta invariata, l'unica novità è la possibilità per le regioni di estendere il programma anche agli under 29», spiega alla Repubblica degli Stagisti Anna Ascani, deputata 26enne del Pd, molto attiva sul tema della Garanzia. Anche se per ora si tratta solo di un'eventualità, di cui non sono state «chiarite le modalità». Insomma una dichiarazione di intenti. Mentre gli altri Paesi si sono sforzati di elaborare progetti che giustificassero tra l'altro l'impiego delle risorse destinate, da noi invece non c'è stata grande innovazione - nonostante il fenomeno che si vorrebbe arginare, e cioè la disoccupazione e l'inattività diffusissime tra i ragazzi, siano a dir poco lievitate in questi quasi tre lustri, insieme a tutto un contesto socio-economico profondamente mutato. 
Per mettere in moto la macchina della prima Garanzia Giovani, già quindici anni fa era stato concepito come indispensabile a priori un grande database nazionale che riunisse tutti i dati disponibili su occupati, disoccupati e posti di lavoro. Nel 1997, sotto il dicastero presieduto dal ministro Tiziano Treu, durante l'allora governo Prodi, era stato istituito il Sil (così era chiamato il Sistema informativo del lavoro), che, si legge in un documento del 2000, era pensato come un «insieme di strutture organizzative, risorse hardware, software e di rete disponibili presso lo Stato, le Regioni, le Province e gli enti locali per la rilevazione, elaborazione, diffusione dei dati  in materia di collocamento e di politiche attive del lavoro».
Quello a cui si puntava era creare un sistema che consentisse un  «monitoraggio continuo» della platea di chi era in attesa di un impiego, «al fine di prevenire l'esclusione sociale»; creare un archivio che avesse valore «statistico»; favorire «l'incontro tra domanda e offerta di lavoro su tutto il territorio nazionale», erogare «servizi mirati di accompagnamento al lavoro». Proprio ciò che si propone di fare la versione rivista e corretta dello schema attuale, come certifica l'accordo tra Stato e Regioni approvato lo scorso 20 febbraio, a proposito della piattaforma tecnologica di supporto alla Garanzia Giovani. Il primo capitolo del documento si occupa infatti del portale che dovrebbe essere il cuore pulsante del progetto: non solo perchè è lì che i potenziali beneficiari potranno iscriversi e quindi si darà inizio «alla presa in carica del soggetto», come si legge nell'accordo, ma anche perché sarà grazie a questo mezzo che le informazioni fondamentali a consentire l'agognato incontro tra domanda e offerta potranno circolare e essere conosciute a livello nazionale. La piattaforma, scrivono i firmatari del patto Stato-Regioni, dovrà «mettere a disposizione la mappa georeferenziata dei servizi che partecipano alla Garanzia Giovani, rilevare e censire le opportunità lavorative, anche al fine di creare una banca dati, integrare tutti i sistemi esistenti – tra cui anche i Sil regionali e provinciali – per tracciare gli utenti, i servizi offerti e gli esiti del programma individualizzato». Tutte funzioni che dovrebbe svolgere il già esistente Clicklavoro, affiancato da un nuovo sito, annunciato ma ancora non funzionante (www.garanziagiovani.gov.it).
I dati inseriti «saranno alla base di ogni intervento di matching proposto e accettato» si legge ancora nel testo varato. Perché è ovvio che senza sapere dove sono i disoccupati e i posti di lavoro vacanti non si va molto lontani. Eppure solo a partire da febbraio del 2014 si è dato il via una volta per tutte al processo di coordinamento informativo delle regioni voluto dal Sil e oggi riproposto, in fase sperimentale almeno. Dai primi del mese, assicura il documento, le schede anagrafico-professionali ('Sap') regionali saranno inviate a livello provinciale, mentre sarà il «nodo di coordinamento nazionale» a far sì che non si creino doppioni e a garantire l'uniformità del sistema. Un cervellone informatico dovrebbe insomma permettere ai giovani in cerca di occupazione di sapere se esiste un'offerta di lavoro che si confa al proprio percorso in una regione diversa dalla propria. È il massimo che si sia riusciti a fare dopo anni dal compiersi della rivoluzione digitale: mettere in raccordo tutte i dati, compito che avrebbe dovuto essere – ma evidentemente non è stato centrale per i cpi, vero fallimento del mercato del lavoro nazionale. Di modifiche dettate dall'urgenza del momento, e dai cambiamenti avvenuti in tutto questo tempo, neanche l'ombra. 
C'è da dire che oltre a non aver inventato niente di nuovo sul piano tecnologico (la piattaforma approvata oggi che uniforma i dati a livello nazionale sembra infatti in buona sostanza la copia del Sil), l'innovazione non c'è stata neppure sul piano dei contenuti. La presa in carico del giovane sotto i 25 anni, per sviluppare con lui un piano di ricerca o di un'occupazione o di un percorso di studio, è un'idea che non solo era presente nella legislazione del 2002, ma che è stata importata dai Paesi nordici, in particolare Svezia e Finlandia, dove il sistema Youth Guarantee opera dagli anni Ottanta, vantando ottimi risultati. Che l'Italia, al pari della Commissione europea (che per il lancio del progetto ha a sua volta attinto a piene mani da quei modelli), abbia fatto proprie best practice internazionali non è certo un motivo di demerito. La perplessità è invece questa: è ammissibile che nel 2014 l'unica iniziativa di chi ha messo in piedi il progetto Garanzia Giovani sia stata quella di rispolverare – sia come disegno del supporto tecnologico che come funzionamento di insieme – un sistema vecchio, forse superato, anziché idearne uno innovativo e coerente con il momento economico-occupazionale attuale? 

Ilaria Mariotti


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