Stagisti nei tribunali: metà sono stati abbandonati dopo sei anni di «perfezionamento»

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 27 Gen 2017 in Approfondimenti

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Sono stati un gruppo compatto e unito di 2.600 persone, stagisti che entravano e uscivano dai tribunali, fino al 30 aprile del 2015. E con il loro numero riuscivano a far leva sul mondo politico e sindacale. Ma a un certo punto, mentre si attendeva la pubblicazione dell’ennesima proroga, «si cominciò a vociferare che il ministero avrebbe preso in carico solo una parte di noi. Capimmo che era un tentativo di dividerci e indebolirci; per questo coniammo lo slogan “O tutti o nessuno”», racconta Patrizia Carere, 58 anni, calabrese, ex tirocinante della giustizia.

La Repubblica degli Stagisti da anni segue il caso assurdo dei “maxitirocini” negli uffici giudiziari, sempre per la stessa platea, arrivati a una durata complessiva di oltre sei anni: tirocini, di fatto, contra legem. Nei giorni scorsi, la notizia dell’ennesimo bando per un «ulteriore periodo di perfezionamento» pubblicato dal ministero della giustizia il 9 gennaio.

Bando a cui poteva però partecipare solo una parte di questi 2.600 stagisti: quelli che avevano superato la selezione del novembre 2015 per 1.502 posti e siglato il progetto formativo. In totale solo 1.115 persone (pur avendo una platea di circa 2.600 persone da cui pescare, il ministero infatti a cavallo tra il 2015 e il 2016 non era nemmeno riuscito a riempire tutti i 1.500 posti che aveva messo a bando).

La Repubblica degli Stagisti ha ripetutamente chiesto un commento alla dirigente Barbara Fabbrini, direttore generale della Direzione generale del personale e della formazione del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, che ha firmato l'ultimo provvedimento del 9 gennaio di quest'anno per lo svolgimento del nuovo periodo di perfezionamento. Purtroppo ancora nessuna risposta è arrivata finora da Fabbrini, né dal suo staff, né dall'ufficio stampa del ministero.


Così oggi questa testata vuole raccontare la storia dei maxitirocini nei tribunali da un'altra angolazione: quella degli esclusi tra gli esclusi. Se, infatti, i tirocinanti “fortunati” che hanno svolto il tirocinio nel 2016 e riusciranno a svolgerlo nel 2017 sono comunque da considerarsi persone escluse dal mondo del lavoro - per l’ennesima volta coinvolte in un tirocinio che di “formativo” ha ben poco, con le stesse mansioni al massimo in uffici diversi, e che in ogni caso da anni non riescono a reinserirsi nel mercato del lavoro - e, quindi, questi tirocinanti sono “esclusi”, ce ne sono altri che potrebbero essere definiti “esclusi tra gli esclusi”. Dal novembre 2015 non hanno più avuto nessuno pronto ad ascoltarli: «Credo ci fosse la volontà di smembrare un gruppo: se si voleva proseguire con il maxi tirocinio, per quanto anomalo, perché non seguire le “direttive” di sempre e coinvolgere tutto il comparto, suddividendo i fondi per l’intero bacino?», si chiede infatti Maria Teresa Biscarini, 46 anni, laureata in legge.

Quello che probabilmente per chi non segue la questione non è così comprensibile è che nel grande magma dei tirocinanti della giustizia c’è di tutto.
Persone come Biscarini che inizialmente, dopo un trasferimento forzato per motivi personali da Vicenza all’Umbria, partecipa nel 2011 a un bando per “tirocini di qualità”, promosso dalla Provincia di Perugia con fondi europei, che rilascia un’attestazione finale con il profilo di funzionario giudiziario per i laureati in legge.

In seguito il ministero della Giustizia prende in carico la gestione di questi tirocinanti finendo per omogeneizzare a livello nazionale una platea che in comune aveva poco. Maria Teresa si trova nello stesso bacino in cui il ministero mette i tirocinanti degli uffici giudiziari della Campania - in quel caso prevalentemente giovani, laureati, che proprio per la particolarità della giovane età hanno anche partecipato a bandi regionali che utilizzavano fondi della Garanzia Giovani. E si trova nello stesso bacino anche con ex cassintegrati, come Patrizia Carere, che all’inizio avevano dovuto accettare l’offerta di quei tirocini per non perdere il sussidio di disoccupazione. Fino al decreto ministeriale del 20 ottobre 2015, però, bene o male tutti riescono a continuare di proroga in proroga i tirocini. Da quel momento in poi tutto cambia.

Questa volta ci sono solo 1.502 posti, distribuiti anche in Regioni in cui non c’erano mai stati tirocinanti di questo tipo e con tagli drastici invece in quelle sedi dove c’erano numeri altissimi di stagisti. Per esempio la Calabria: «C’erano 670 tirocinanti del settore giustizia. Ma il bando dell’ufficio del processo ha assegnato solo 23 posti. Quando soltanto a Cosenza c'erano 21 di noi!», ricorda Patrizia. Anche il Lazio viene discriminato, ma lì ci pensa la Regione a "recuperare" gli esclusi attraverso un nuovo percorso regionale partito qualche mese dopo. «Così negli stessi uffici lavoravano fianco a fianco i soliti tirocinanti: alcuni all’interno dell’ufficio del processo, altri grazie al progetto regionale. Con un percorso parallelo solo temporalmente non coincidente: quelli dell’ufficio del processo da dicembre 2015 a novembre 2016, gli altri da giugno 2016 a giugno di quest’anno». Ma anche in regioni più piccole, si verifica un dimezzamento dei tirocinanti:
in Umbria, per esempio, con la cesura del 2015 viene lasciato a casa il 50% dei partecipanti al programma.

Il brusco arresto, per alcuni, di quello che Biscarini definisce un «tirocinicimio», perché dura da troppi anni, avviene quindi nel 2015. Eppure, carte alla mano, non si riesce a capire bene come sia stata fatta la selezione. «Nel bando all’articolo 3 ci sono i requisiti, e a parte quelli di condotta morale l’unico in più era l’aver svolto tutti i tirocini pregressi». Se, però, tutti i partecipanti li hanno svolti, allora, avanza il dubbio Biscarini, forse erano i criteri di priorità al punto 5 del bando a fare la differenza. Lì si scrive che è attribuita priorità, nell’ordine, «alle pregresse esperienze formative nel distretto interessato, alla minore età anagrafica, all’essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di scuola media superiore».

Ma come requisiti e criteri di priorità siano stati mixati per ottenere le graduatorie non è dato saperlo. «Non c’è una graduatoria nazionale, né una comprensiva delle persone escluse. Ci sono solo elenchi nominativi per regione e senza punteggio. Forse, visto che ho 46 anni, sono stata esclusa per l’età». Ma qui qualcosa non torna: se il criterio anagrafico è stato fondamentale, come mai in altri casi un altro criterio base come il diploma è stato aggirato? «Molti ex tirocinanti avevano solo una qualifica professionale triennale o la terza media, ma hanno fatto ugualmente domanda» spiega alla Repubblica degli Stagisti Patrizia Carere. «Il software utilizzato per la selezione non si è bloccato, ha consentito l’invio delle domande. Così sappiamo che un tirocinante della Calabria con la sola terza media è rientrato in una regione del nord e un altro in Sicilia». Mentre sia Patrizia Carere sia Maria Teresa Biscarini sono rimaste fuori, senza poter più contare sulla (pur magra) indennità che derivava da quell'attività, e che per anni aveva costituito la loro fonte di reddito. Anche perché, ricorda Biscarini, «c’era la spada di Damocle dell’articolo 12 del decreto ministeriale 20 ottobre 2015 che prometteva l’emanazione di un successivo bando laddove non tutti i posti fossero risultati coperti dalle prime chiamate». E con il passare del tempo era venuto fuori che sarebbe stato possibile accorpare le ore di lavoro e, per chi aveva optato a sedi lontano da casa, non trasferirsi per lunghi periodi con forti spese di vitto e alloggio, bensì lavorare una settimana al mese appoggiandosi da amici o fare il pendolare.

Fino all’avvio della seconda tornata di tirocini,
nessuno si è arreso. Gli autoproclamatisi "precari della giustizia" hanno provato a contattare il ministero senza ottenere risposta, c’è stato un question time del 13 luglio 2016 dell’onorevole Mottola al ministro della Giustizia in cui si faceva presente la non attuazione di quel punto del bando, «ma il ministro non ha dato risposta», limitandosi a parlare solo di quelli che avevano superato la fase dell’Udp.

Ad oggi, quello che gli esclusi non capiscono ancora è se un criterio ci sia stato nella selezione.
E si chiedono come tutto questo andrà a ripercuotersi sul bando di concorso per 800 posti a tempo indeterminato per assistenti giudiziari, per cui al momento ci sono già 320mila domande di partecipazione. Gli ultimi tirocinanti del 2016 avranno, a conclusione di tutte le prove, sei punti aggiuntivi mentre i colleghi fino al 2015 solo un punto. E la beffa è che tra i tirocinanti con i sei punti aggiuntivi ci sono anche non diplomati. Che quindi, al concorso, non potrebbero partecipare.

Ora si è in attesa che il ministero dia ulteriori informazioni sulla selezione, che dovrebbero arrivare secondo bando nel mese di febbraio. E sul fronte tirocini si aspetta la pronuncia del Tar, interpellato dai tirocinanti della Campania che hanno individuato i punti focali della vacuità del bando e che potrebbe portare a farlo decadere, come richiesto nel ricorso. La sentenza però arriverebbe comunque tardi, visto che è già partita anche la “prosecuzione” del tirocinio.

«Non c’è la volontà politica di trovare una soluzione» dice Patrizia Carere: «Oggi la formazione che mi è stata offerta dallo Stato, non avendo avuto un prosieguo, è stata buttata. Non ho possibilità di utilizzarla altrove, è stata fine a sé stessa. Risorse pubbliche buttate». «Più che una chance, come l’ha definita in più occasioni il ministro» le fa eco Maria Teresa Biscarini «la nostra formazione è stata una perdita di chance».

Oggi questi tirocinanti abbandonati restano sospesi in un limbo: per loro altri progetti di tirocinio – che sarebbero come da sempre ripete la Repubblica degli Stagisti comunque fuorilegge visto che si concretizzerebbero in proroghe di proroghe, in continua violazione del dm 142/1998 e delle successive normative regionali in materia di tirocini extracurriculari – non se ne vedono. Resta solo la possibilità del concorso, se mai arriverà a conclusione. «Non ne facevano uno dal 1999, e ci si meraviglia che c’è questa grande partecipazione?» si chiede Carere: «Il concorso è giusto e valido, ma per i giovani a cui bisogna dare spazio e una prospettiva futura. A quelli come me che hanno una certa età serviva quel residuo di anni di contribuzione che ci permettesse di andare in pensione in maniera dignitosa». Non un tirocinio. Non un tirocinicimio.


Marianna Lepore




Foto quadrata in alto a destra: di Morganforuall da Pixabay in modalità Creative Commons

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