Tiny Bull studios, la start-up che guarda al futuro dei mobile game

Veronica Ulivieri

Veronica Ulivieri

Scritto il 01 Gen 2013 in Approfondimenti

«All'inizio eravamo i classici nerd che lavorano fino a tardi nello scantinato di casa. Io e il mio socio, Rocco Tartaglia, ci siamo laureati il 7 aprile 2011 e il 9 eravamo già al lavoro sulprimo videogioco». Matteo Lana, classe 1985, ricorda così gli inizi, poco più di un anno e mezzo fa, dei Tiny Bull studios, l'azienda di mobile game che è appena stata eletta start-up dell'anno di Treatabit, incubatore digitale nato all'interno del Politecnico di Torino 12 mesi fa. Tutto comincia da una passione comune e dalla voglia di trasformarla in qualcosa che possa anche dare da mangiare: «Sia io che Rocco siamo torinesi. Ci siamo conosciuti qui, al corso di laurea specialistica in Realtà virtuale e multimedialità dell'università. Abbiamo iniziato a preparare insieme gli esami e, visto che ci trovavamo bene e condividevamo la stessa passione per i videogame, dopo la tesi abbiamo deciso di lavorare a un progetto comune», continua Matteo, che oggi è amministratore dell'azienda. L'avventura inizia con l'idea di creare giochi per le Xbox, le console casalinghe: «Ma dopo due-tre mesi di entusiasmo, abbiamo capito che progettare questi videogame era troppo complicato: dovevamo ridimensionarci». Da lì il salto verso i dispositivi mobili iOS (iPhone, iPod touch, iPad), con giochi «ispirati a quelli classici ben conosciuti, con l'aggiunta di elementi innovativi». La vera svolta però arriva con l'ingresso in Treatabit: «Un amico mi ha parlato dell'incubatore del Politecnico I3P. Siamo andati a presentare la nostra idea, che è piaciuta, anche se quello non era il posto adatto, perché ospita imprese non digitali. Per fortuna, proprio in quel momento stava nascendo uno spazio pensato per le start-up come la nostra. Lì un consulente ci ha aiutato nella stesura di un business plan: per noi, laureati in informatica e con zero conoscenze di economia, è stato una manna dal cielo». A maggio scorso è arrivato il primo gioco: «Si chiama Space Connect ed è ispirato a Forza quattro. Quando l'abbiamo messo sull'App Store, nelle prime 24 ore è stato scaricato mille volte, e adesso abbiamo un migliaio di download a settimana. Tutto questo senza fare nessuna pubblicità, perché il nostro budget è molto limitato». Per avviare una start-up digitale, spiega Matteo, non servono grossi investimenti: «Per adesso abbiamo investito meno di 10mila euro. La spesa principale, circa 7mila, è stata quella per comprare i software: due licenze di Unity3D, programma per sviluppare i  giochi, più una suite di software grafici come Illustrator e Photoshop. Grazie a Treatabit abbiamo a disposizione uno spazio di lavoro stimolante a un prezzo vantaggioso: una postazione di lavoro in co-working costa meno di 62 euro al mese». L’incubatore offre anche consulenze di avvocati, notai e commercialisti a prezzi scontati del 50 per cento e il supporto costante di un tutor. La società vera e propria sarà costituita solo a gennaio: «Treatabit ospita idee più che società e lascia il tempo per svilupparle al meglio prima di fare business. In questi giorni stiamo scrivendo lo statuto. Abbiamo scelto la forma della Srl, per iniziare a strutturarci "guardando al futuro", nell'ottica di diventare una software house affermata con la relativa complessità finanziaria e di risorse umane, e per dare un'immagine più credibile della nostra società a possibili investitori, potenziali clienti e, se ce ne fosse bisogno, alle banche. Inoltre, per accedere a bandi o finanziamenti è spesso richiesta una società di capitali». Se l'investimento finanziario per adesso è stato contenuto, non si può dire altrettanto dell'impegno personale: «Oggi siamo in tre, io e il mio socio Rocco, sviluppatori, più Arianna Ciardi, grafica. Lavoriamo tutti i giorni, dal lunedì alla domenica, dalle 9 del mattino a mezzanotte. Non sarebbe difficile trovare un lavoro dipendente, ma se vuoi qualcosa di tuo devi lavorare tanto per costruirlo». A costo, i primi anni, di tirare la cinghia e rimanere, come Matteo, a vivere con i genitori: «In media una start up digitale impiega almeno due anni per iniziare a guadagnare: il primo si va in perdita, il secondo di solito si raggiunge il pareggio. È quello che contiamo di fare anche noi. Il nostro gioco sull’App Store costa 1,59 euro, ma in tasca ci arrivano 40 centesimi. Per un introito ragionevole dovremmo avere almeno 200 o 300 download al giorno».
Nella competizione per “Start-up dell’anno”, i Tiny Bull studios hanno sbaragliato una trentina di aziende concorrenti, tutte con progetti già attivi. Non c’è un premio in denaro, ma la visibilità è assicurata, anche perché «a I3P e Treatabit viene spesso gente interessata a conoscere le imprese e si organizzano diversi eventi di presentazione a potenziali investitori e business angel». In questo momento, continua Matteo, si lavora a due nuovi giochi: «Uno è il classico runner infinito a scorrimento, in cui il personaggio deve destreggiarsi tra mille ostacoli per arrivare il più lontano possibile. Nell'altro, invece, c'è un virus letale che colpisce l'umanità: l'unico modo per salvarti è usare il tuo cellulare, che vede dentro il tuo corpo e ti permette di eliminare le cellule malate». Accanto allo sviluppo di questi mobile game, che saranno lanciati nel 2013, è nata la collaborazione con un'altra start-up di Treatabit, SportSquare, che realizza giochi per Facebook. «Il nostro obiettivo, in realtà, sarebbe riuscire a campare solo con i nostri videogame, senza lavorare per altre aziende nostre clienti, che comunque è molto interessante». A Treatabit nascono continuamente nuove partnership come questa e c'è un tutor, di solito un ex dottorando o un professionista con esperienza di imprese digitali, che segue gli startupper in ogni passo: «dal marketing alla banca. Le prime volte ti accompagna anche dagli investitori!». Che per adesso, però, Lana e Tartaglia non hanno neanche cercato: «Il nostro sogno è farcela da soli».

 

Veronica Ulivieri

 

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