Staffetta generazionale, solo 5 casi in un anno: il patto per l'occupazione tra anziani e giovani è un flop

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 02 Lug 2014 in Articolo 36

Ricordate la staffetta generazionale? Sembrava dover essere il piatto forte, in materia di occupazione giovanile, del governo Letta e dell’allora ministro Giovannini. Finita poi in un cassetto, venne comunque ripresa da Italia Lavoro attraverso un intervento finanziato con circa 40 milioni di euro su risorse del vecchio fondo per l’occupazione del ministero del Lavoro. Con quali esiti? Molto scarsi, anzi: quasi nulli. Per ora infatti è stata usata solo tre volte in due aziende dell'Emilia Romagna e due volte in due aziende della Lombardia. Cinque sole volte nelle uniche tre regioni in cui è riuscita a partire: Lombardia, Emilia Romagna e da meno di un mese anche la Campania. Eppure questa formula, nelle intenzioni del governo, avrebbe dovuto incentivare il ricambio generazionale e aprire opportunità di impiego per i giovani. Invece i numeri pesano come macigni, visto che queste cinque volte sono diluite in un arco di tempo molto esteso, 15 mesi – considerando che il primo bando venne pubblicato in Lombardia nel marzo 2013.  In sottofondo si sente inoltre il ticchettio di un timer: i finanziamenti dovrebbero infatti essere utilizzati entro il 31 dicembre 2014. Eppure questa formula è stata costruita appositamente per essere vantaggiosa per tutti: lavoratori anziani, giovani e aziende.
Ma in cosa consiste? L’intervento, nella pratica, vuole venire incontro ai tanti lavoratori che per effetto della riforma Fornero, che ha preso in considerazione il prolungamento dell’aspettativa di vita - salita a oltre 84 anni per le donne e a quasi 80 per gli uomini - innalzando l’età pensionabile, si sono trovati a dover lavorare più a lungo in azienda. Con delle conseguenze in termini di problemi organizzativi e di gestione del lavoratore anziano da parte delle aziende. «La staffetta generazionale non è un semplice scambio di ruolo tra anziani e giovani che si passano il testimone» spiega ad Articolo 36 Angelo Irano, responsabile area Welfare to work di Italia Lavoro, «è l’introduzione di un elemento che deve sempre più contraddistinguere le politiche di invecchiamento attivo in Italia, mai fatte realmente, perché l’innalzamento dell’età comporta delle necessità nuove. Il programma, quindi, incentiva il lavoratore anziano che decide di mettersi in part time, non al di sotto del 50%, pagando il differenziale contributivo che avrebbe perso per la riduzione dell’orario di lavoro per un minimo di 12 mesi e fino a un massimo di 36. Il tutto, però, solo se contestualmente l’azienda assume un giovane nella fascia di età 18-25 anni se diplomato e fino a 29 se laureato, con un contratto di apprendistato e/o a tempo indeterminato». In pratica il meccanismo è semplice: l’azienda assume il giovane e trasforma il contratto dell’anziano in un part time: a quel punto Italia Lavoro interviene sul differenziale retributivo che il lavoratore andato in pensione andrebbe a perdere.
Tutto nasce dall’analisi che è stata fatta sui dati dell’occupazione nelle fasce di età over 55 e 18-29. «Dal 2008 a oggi» spiega Irano «il tasso di occupazione degli ultra cinquantenni è aumentato del 10,5%. Se si analizzano, in particolare, gli anni dal 2011 al 2014 quando è intervenuta la riforma delle pensioni, il tasso di occupazione degli over 55 è aumentato del 7%. Nel frattempo il tasso di occupazione dei giovani dal 2008 a oggi è diminuito del 10% lasciando lo spazio proprio per quella stessa percentuale di anziani che invece hanno continuato a lavorare. Così ci troviamo di fronte a una partecipazione delle nuove generazioni che è scesa di dieci punti percentuali rispetto al 24,5 del 2008. Stessi numeri che invece sono stati acquistati dagli anziani». Il ragionamento che fa il responsabile di Italia Lavoro è che la distribuzione degli incentivi a pioggia non porta necessariamente a buoni risultati perché prima di pensarli bisognerebbe capire se danneggiano una generazione. Perciò andrebbero pianificati in un’ottica intergenerazionale, anche perché non far partecipare i giovani ai processi produttivi ha una grave conseguenza: non riuscire a creare le condizioni di mantenimento di una popolazione che ha un’aspettativa di vita sempre più alta. «Stiamo tenendo in panchina una generazione che è nelle migliori condizioni di performance lavorativa, produttiva e di creatività e che l’Italia si permette invece il lusso di non utilizzare».
Eppure il programma non è riuscito a far invertire questa tendenza, anche se i numeri al momento disponibili riguardano le uniche tre regioni in cui è stato adottato, con un finanziamento di 3milioni di euro ciascuna. «Altre regioni come il Piemonte, la Liguria, il Molise, il Lazio, la Basilicata e la Sicilia stanno decidendo di attivarla» spiega ad Articolo 36 Angelo Irano, che continua «Il finanziamento massimo scende a 1milione e mezzo per le regioni più piccole, ma ognuna è libera di decidere il proprio budget. Il Molise e la Liguria, per esempio, hanno intenzione di mettere in disponibilità 300mila euro». C’è da dire che le risorse sono state messe in disponibilità su azioni di sistema Welfare to work senza, però, l’obbligo di usarle per la staffetta generazionale. Il Veneto, infatti, ha deciso di usare i suoi 3milioni di euro per «sostenere la prima fase della Youth Guarantee e le risorse sono già state tutte impegnate a favore di 1200 giovani che hanno iniziato un tirocinio di inserimento lavorativo le cui spese sono state coperte dall’azione di sistema».
I fondi non sono stati, quindi, vincolati alla Staffetta generazionale perché non vi era certezza rispetto all’efficacia del modello. Ed è proprio Irano a spiegarlo: «La prima incertezza delle aziende è verso il futuro e la possibilità di ripresa. La seconda riguarda la riforma delle pensioni. La questione degli esodati ha, infatti, creato una sorta di allarme per le vecchie generazioni perché oggi l’uscita effettiva dal processo produttivo per pensionamento è legata all’aspettativa di vita che viene modificata di volta in volta in base alle rilevazioni Istat. L’Inps non può, quindi, dare con certezza ai lavoratori il periodo di uscita dal lavoro per una data più lunga di 24 mesi. E questo ha allarmato i lavoratori anziani perché potrebbe sempre crearsi un ulteriore cambiamento del sistema di fuoriuscita della forza lavoro». Questo punto è lo stesso che anche la Cgil Campania ha messo in evidenza in fase di firma dell’accordo. «La nostra organizzazione, pur essendo firmataria del protocollo, ha voluto evidenziare come un provvedimento che divide il mercato del lavoro tra pubblico e privato, come questo» spiega ad Articolo 36 Enza Sanseverino della Cgil Campania, «è foriero solo di futuri problemi. Ce lo insegna bene il caso degli esodati». Di diverso avviso, invece, Enzo De Fusco coordinatore della Fondazione studi dei consulenti del lavoro che in occasione dell’ottavo congresso nazionale dei professionisti a Fiuggi ha detto che la staffetta generazionale
 può avere effetti positivi sul fronte di chi la attiva e del lavoratore. «Il vantaggio per il datore di lavoro è che si riduce il costo del lavoro. Mentre per il lavoratore non c’è penalizzazione economica».  

Ci sono poi degli altri punti oscuri che la Cgil Campania evidenzia: «Con questo provvedimento si introduce un’ulteriore forma di precariato che si va ad aggiungere alle oltre quaranta forme già in vigore. E poi il pericolo insito nella staffetta generazionale è che diventi un provvedimento di natura familistica, diretta quindi solo a padri e figli,» spiega Enza Sanseverino «a discapito di chi non ha alcun rapporto di parentela con i senior disposti ad aderire». Su questo punto, però, il responsabile Irano non è d’accordo. «Per i pochi casi che abbiamo trattato, non ci troviamo di fronte a questa condizione. E comunque questa preoccupazione non deve mettere in discussione lo strumento, può certo essere avanzata in fase di accordo per consentire una maggiore o minore flessibilità, ma non dopo». Le proposte avanzate in fase di accordo sono quelle che, per esempio, in Campania hanno fatto innalzare l’età dei giovani partecipanti – che nell’intervento era stata fissata fino ai 29 anni richiamando la legge 297 del 1992 – fino a 32 per i diplomati e 35 per i laureati, riprendendo la legge sull’apprendistato che in questa regione ha stabilito questa fascia di età.
Se la staffetta generazionale continuerà anche nel 2015 è comunque troppo presto per dirlo. «I risultati sono contenuti» osserva Angelo Irano, «quindi non so se continuerà. Sono certo, però, che l’Italia deve dotarsi di una politica che gestisca l’invecchiamento attivo in un’ottica intergenerazionale. È un obbligo per il nostro Paese che è stato giustamente richiamato nella nuova programmazione dei fondi europei 2014-2020, dove l’invecchiamento attivo in un’ottica intergenerazionale è uno dei temi posti al centro della nuova pianificazione». E a ragione visto che l’Italia non è l’unico Paese ad aver sperimentato – anche se fino ad ora con scarso successo – la staffetta generazionale. Lo sta facendo anche la Francia con il Contrat de génération che a differenza della proposta italiana non vede la riduzione di orario del lavoratore anziano con l’introduzione di quello giovane, ma la convivenza dei due nel primo periodo. E ha portato a risultati talmente positivi che non solo è stato rinnovato ma è stato creato anche un Trofeo da assegnare alle migliori pratiche adottate dalle aziende che hanno usato questo contratto.
Visto che nella nuova programmazione dei fondi europei uno dei temi centrali è appunto l’invecchiamento attivo in ottica intergenerazionale è quindi probabile che anche in Italia il programma sarà riproposto, logicamente non in modo identico visto che fino ad ora non ha avuto esiti positivi. «Questa esperienza serviva anche a questo: vedere i meccanismi di funzionamento e capirne le deficienze in modo da partire da un dato di fatto già sperimentato» spiega Irano «e comprendere quali sono gli elementi che non danno un valore aggiunto».
Per le aziende e i giovani comunque interessati al programma che non si lasciano scoraggiare dai dati negativi avuti fino ad ora nel nostro Paese, non resta quindi che consultare i bandi ancora attivi e verificare periodicamente il sito di Italia lavoro per quelle regioni che nei prossimi mesi dovrebbero pubblicarne di nuovi.

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