Povertà, in Italia dilaga anche tra i giovani che lavorano. E spunta la proposta Reis

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 20 Ott 2014 in Approfondimenti

È un'Italia sempre più povera quella fotografata dalle ultime indagini Istat: 6 milioni di poveri assoluti a luglio 2014, il dieci per cento circa della popolazione. Un milione sono bambini. Il numero è più che raddoppiato nei sette anni di crisi, dal 2007, quando erano "solo " il quattro per cento del totale. «È il dato centrale sulla recessione, ancora di più che la chiusura delle imprese» osserva Mauro Magatti, economista della Cattolica di Milano, all'incontro romano per il lancio del Reis, quel reddito di inclusione sociale più volte chiamato in causa negli ultimi tempi. L'Italia è l'unica a non averlo in dotazione in Europa, oltre alla Grecia. Mentre i numeri lanciano l'allarme sulla necessità di una misura di contrasto alla povertà assoluta, intesa come impossibilità di vivere dentro i confini di un'esistenza dignitosa, che rende proibitivi gesti semplici come consumare pasti proteici o fare fronte a esigenze minime.

«Si tratta di chi non raggiunge uno standard di vita minimamente accettabile legato a un’alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e a altre spese basilari come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti»
viene spiegato nel comunicato di lancio dell'iniziativa, supportata da una 'alleanza' composta da Acli e Caritas in testa, e a seguire decine di enti e associazioni come Save the children, Comunità di Sant'Egidio, Action Aid e sindacati come la Cgil. Perché questa ennesima emergenza italiana non sembrerebbe più rimandabile: il problema non riguarda «solo il Sud, ma anche il Nord, non più solo gli anziani, ma anche i giovani, non solo i disoccupati, ma anche chi lavora» sottolinea ancora Magatti.

«Dentro ci sono lavoratori come precari, stagionali, nuclei familiari con minori con un unico soggetto che apporta reddito e che si trova in queste condizioni» gli fa eco Vera La Monica, rappresentante Cgil. Che riporta al centro un tema fondamentale, quello della povertà non solo di chi è a spasso, ma anche e soprattutto di chi lavora regolarmente, i cosiddetti working poor, o di chi entra e esce di continuo dal mercato del lavoro. A tutti loro il reddito percepito non basta. «C'è un impoverimento generale del mondo del lavoro» afferma, e sarebbe sbagliato sacrificare una politica per l'altra: «Sono necessarie entrambe», sia quelle contro la povertà assoluta che un «welfare di protezione per chi esce dal mondo del lavoro».

Il sospetto è anche che le statistiche ufficiali non riescano a intercettare un'altra grande fetta della società che annaspa: i giovani poveri che pur con un impiego vengono mantenuti dalle proprie famiglie. Magari centinaia di migliaia di trentenni che non ce la fanno con i propri guadagni, con Isee bassissimi e aiutati dai genitori sessanta-settantenni per raggiungere livelli di vita simili a quelli su cui potevano contare prima di rendersi (si fa per dire) indipendenti. Poco importa che sia attraverso il pagamento dell'affitto o il regalo della casa. Perché, attenzione, «non ci si riferisce al fenomeno d’impoverimento che tocca una parte ben più ampia della popolazione, costringendola a rinunciare ad alcuni consumi che desidererebbe potersi permettere (qualche apparecchio tecnologico o la possibilità di andare fuori città in estate) senza però impedire la fruizione dei beni e dei servizi essenziali» come scritto nel report. Ma di un disagio ben più profondo. «È il costo vero di anni di non crescita, ed è ciò che dovrebbe interessare più di tutto se manca la possibilità di una vita degna e libera» insiste Magatti.

Non è la prima volta che la questione fa capolino in Italia. Già all'epoca del governo Letta, su impulso dell'ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini, fu lanciata una versione sperimentale del reddito sociale: la Sia (Articolo36 ne parlò qui). A oggi attivata e con qualche primo risultato misurabile: «Sono undici le grandi città in cui è partita, eccetto Roma, e i primi pagamenti sono arrivati da aprile a agosto» fa sapere il sottosegretario al Lavoro, Franca Biondelli, intervenuto all'incontro. Mentre sono «27mila le famiglie interessate» e «50 milioni» i fondi stanziati. Una goccia nel mare considerato che la platea dei potenziali beneficiari dovrebbe essere di 6 milioni e le risorse dieci volte maggiori. Solo un inizio dunque, e per di più con un'impostazione che il Reis vorrebbe superare.

Quanto costerebbe infatti quest'ultima misura? 7 miliardi, riferisce Cristiano Gori, coordinatore del gruppo scientifico che ha studiato l'intervento. Più o meno quanto si era prefisso il precedente esecutivo. Ma invece di inserire una quota così elevata da subito nella legge di stabilità, l'idea è di iniziare con «1,5 miliardi nel primo anno, già a partire dal 2015, per poi salire fino ad arrivare alla cifra menzionata solo nel 2018», chiarisce Gori: «Stiamo parlando dell'1% della spesa ordinaria corrente». Attualmente «l'Italia investe lo 0,1% nella correzione della povertà, contro lo 0,5 dell'Europa». E l'obiezione che i soldi non ci siano è una scusa, sostengono i promotori. «Basta pensare agli 80 euro di Renzi, che pesano sul bilancio dello Stato per 10 miliardi», torna a dire Magatti. Il punto «è la volontà politica e il disegno».

Se la misura andasse in porto, ai nuclei più bisognosi andrebbero 400 euro al mese in più. Ma è solo un importo indicativo, perché il sussidio dipenderebbe da una serie di dati incrociati che tengono conto non solo del reddito, ma anche dei beni patrimoniali come il possesso della casa. L'affitto o il numero di figli farebbero di conseguenza scattare gli aumenti. «Il livello di reddito monetario al di sotto del quale si percepisce il Reis è pari a 628 euro nel caso di una coppia con casa di proprietà, mentre sale a 1.003 euro se la coppia paga un affitto pari a 500 euro» spiega il documento. «Se la medesima coppia avesse un figlio i due livelli aumenterebbero corrispondentemente a 817 e 1.192 euro. Ovviamente tale livello risulterà maggiore in caso di un più alto canone di locazione e minore in caso contrario».

Da segnalare poi che l'impianto generale non prevede solo il trasferimento monetario – per i detrattori mero «assistenzialismo» - ma anche servizi alla persona, come «percorsi di inclusione sociale e lavorativa per «il superamento dell'emarginazione dei singoli e delle famiglie attraverso la promozione delle capacità individuali e dell'autonomia economica» specifica il rapporto, e ancora «percorsi di welfare generativo» che consentano alla persona di impegnarsi nel volontariato, ad esempio, come contropartita al sostentamento ricevuto.

Il rischio che le buone intenzioni dietro una misura a favore dei più deboli rimangano tali è alto. Del resto la data del lancio dell'iniziativa, alla vigilia della legge di stabilità, non è casuale. Il sottosegretario ha aperto una speranza parlando della povertà come «priorità per il governo». Nel frattempo però sono arrivate le prime anticipazioni sulla legge di stabilità, ancora a livello di bozza. E del Reis non sembra esserci nemmeno l'ombra.

 

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