Precari sottopagati oggi, anziani sottopensionati domani? Ecco come stanno veramente le cose: meglio prepararsi al peggio

Andrea Garnero

Andrea Garnero

Scritto il 03 Nov 2011 in Approfondimenti

Grazie alla collaborazione tra Lo Spazio della Politica e la Repubblica degli Stagisti, questo articolo di Andrea Garnero viene pubblicato in contemporanea su entrambi i siti.

Ogni volta che bisogna metter mano al portafoglio, il Governo pensa a ritoccare le pensioni. stageDopotutto si tratta di oltre il 40% dell’intera spesa pubblica italiana (20% del Pil). Che impatto avrà per la nostra generazione un aumento dell’età pensionabile in termini di lavoro e pensioni future?
Cominciamo con lo sfatare un mito: i “senior” (usiamo questa definizione politically correct visto che
nessuno si definisce vecchio in Italia) non rubano posti di lavoro ai giovani. Alzare l'età pensionabile non ha come conseguenza la riduzione delle opportunità lavorative per i giovani. Anzi l'evidenza empirica dice piuttosto il contrario. La ragione è che l'economia non è una scatola chiusa: non c’è un numero fisso posti di lavoro da ripartire. Le opportunità lavorative crescono con la ricchezza economica e il consumo e i pensionati tendono a risparmiare di più e consumare di meno. Di conseguenza se ci sono più pensionati l'economia "gira" di meno e quindi ci sono meno posti di lavoro per i giovani e viceversa. Questo ovviamente non è vero per il settore pubblico in cui i posti di lavoro sono effettivamente fissi e anche in riduzione di questi tempi di austerity.
Ma i giovani alla fine avranno una pensione? Questione critica che solo marginalmente dipende da un eventuale innalzamento dell’età pensionabile. Il dibattito che avevamo già affrontato
un anno fa su questo sito si è riacceso nelle ultime settimane con l’uscita di due nuove, e apparentemente contradditorie, pubblicazioni. La prima è un libro di Walter Passerini e Ignazio Marino, Senza Pensioni, uscito per Chiarelettere. stageLa loro analisi prevede per i giovani nati negli anni ‘80 una pensione al 30-40% dell’ultimo salario per i parasubordinati e tra il 50% e il 70% per i dipendenti pubblici e privati, ma con picchi di 10-20-30% per alcune categorie professionali. L’analisi di Stefano Patriarca dell’Inps contesta le stime pessimistiche e prevede una copertura pensionistica al 70% per i lavoratori dipendenti, tra il 40% e il 60% per i parasubordinati.
Nonostante le contraddizioni giornalistiche le stime, pur diverse, non divergono del tutto. Per calcolare le future pensioni, infatti, è necessario fare ipotesi sulla crescita economica dei prossimi trenta-quarant'anni, immaginare la carriera salariale del singolo, eventuali interruzioni lavorative, senza contare le frequenti riforme del sistema. I due studi fanno ipotesi diverse e questo spiega parte delle divergenze. Comunque, se si traduce la percentuale in euro si torna ai valori già presentati un anno fa (tra gli 800 e i 1.300 euro). Il problema non è il sistema pensionistico in sé, ma il funzionamento del mercato del lavoro che non garantisce più un reddito continuo. L’innalzamento delle aliquote per i parasubordinati (co.co.pro & co.) sicuramente è un passo per ridurre la differenza tra i diversi contratti (oltre a eliminare un perverso incentivo ad assumere usando questi forme contrattuali più economiche. Inoltre, le stime normalmente sono fatte per carriere omogenee. Se, invece, come più probabile si passa da un lavoro all’altro cambiando ambito professionale è probabile che si verseranno contributi in diverse casse previdenziali. Oltre all’Inps, infatti, quasi ogni ordine ha la propria cassa e i parasubordinati, pur essendo dipendenti, hanno una gestione separata. Se poi a questi dati si aggiunge l’aumento della mobilità all’estero, quale sarà il montante totale della pensione dopo aver pagato i contributi in diversi Paesi?
Rimangono inoltre aperte due questioni chiave: primo, l’Italia dovrà ridurre nei prossimi anni la spesa fino a tre punti del Pil e visto che le pensioni rappresentano quasi il 40% della spesa corrente, l’intervento legislativo sarà ancora una volta inevitabile. Tuttavia non basterà alzare l’età pensionabile, ma servirà un vero “attivamento” dei senior e una formazione efficace per permettere loro di rimanere al lavoro. Il vero problema, infatti, è cosa facciamo fare ai senior sul posto di lavoro. Un insegnante di 65 anni riesce a catturare l’attenzione e appassionare la generazione di allievi nativi di internet? Un ingegnere di 65 anni è capace a far funzionare i robot di nuova generazione della fabbrica? Un impiegato di 65 anni star dietro agli sviluppi del software dell'azienda? Se la risposta è no, il senior diventerebbe un “peso” per l’azienda che farebbe di tutto per disfarsene. E come si protegge una persona licenziata a 60 anni che difficilmente potrebbe trovare un altro lavoro? Cosa succederebbe alla già scarsa produttività italiana?
Seconda considerazione: una corretta informazione dei lavoratori sulle future pensioni è un diritto del cittadino e un dovere dello Stato che agisce come una banca o assicurazione per i risparmi dei lavoratori. In Svezia, che ha un sistema molto simile al nostro, lo Stato spedisce a casa la cosiddetta “busta arancione” che informa periodicamente i lavoratori sui risparmi accumulati e le previsioni sulla pensione futura. In Italia per problemi tecnici (la difficoltà a cumulare i contributi delle varie casse) e problemi politici (il rischio di rivoluzione paventato da Mastrapasqua) non è ancora stato fatto.
Infine, due consigli pratici ai giovani (e non solo) lavoratori: in attesa della “busta arancione” andate all’Inps (o alla vostra cassa di riferimento) oppure in un patronato e fatevi l’estratto conto dei contributi. Questo aiuterà a farvi un’idea e soprattutto a trovare possibili errori e a fare due calcoli sull’opportunità di riscattare la laurea. Secondo, abbiate chiaro in mente che la pensione pubblica non basterà più. Occorre quindi risparmiare (anche se per chi prende 800 euro al mese quest’invito sfiora il ridicolo) per una previdenza complementare. Neanche questa è la panacea a tutti i mali perché i fondi pensione investono sui mercati finanziari che non sono una garanzia di rendimento certo. Tuttavia,
tertium non datur, a meno di voler lavorare fino all’ultimo giorno della propria vita…

Andrea Garnero

Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta
- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggi

E anche:
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-
Nelle pagine del Rapporto sullo stato sociale un allarme sulla questione giovanile: e tra 15 anni la previdenza sarà al collasso

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