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«Tranquillo prof, la richiamo io», il mondo della scuola raccontato al contrario

Due motivi: quello politico di raccontare il mondo della scuola in cui i ragazzi «sono responsabili e gli insegnanti totalmente incompetenti», e quello letterario «di scrivere un romanzo comico che rovesciasse i canoni della letteratura realistica». Da qui è partito Christian Raimo, 40enne scrittore, traduttore, insegnante, per scrivere Tranquillo prof, la richiamo io, pubblicato qualche mese fa da Einaudi. Raimo in questi mesi ha anche curato per Minimum fax il libro intervista di Luigi Manconi, Corpo e anima - Se vi viene voglia di fare politica, che presenterà oggi pomeriggio a Roma alla libreria Ibs-Libraccio. Intanto racconta alla Repubblica degli Stagisti i motivi che l’hanno spinto a raccontare in modo comico grottesco la scuola di oggi e il rapporto docente-studente.  «Sono un lettore della tradizione italiana della narrativa comica che va da Boccaccio a Guareschi, da Giovanni Mosca fino ai contemporanei Paolo Novi o Tiziano Scarpa. Mi interessava da sempre lavorare anche sulla letteratura di tipo scolastico, in cui i protagonisti sono i professori. Penso a Cuore, alle Le parrocchie di Regalpetra di Sciascia, fino al Maestro di Vigevano di Mastronardi. In tutta questa letteratura classica italiana» spiega Raimo «ho trovato che ci fosse sempre un elemento distintivo comune: un professore idealista e in cattive condizioni economiche e dall’altra parte degli studenti sgarrupati ma pieni di buone intenzioni. Mi interessava ribaltare questo modello e raccontare un professore totalmente inadeguato e degli studenti responsabili e capaci».Così nasce l’idea di scrivere «il mondo della scuola al contrario», e prende forma questo romanzo che sperimenta anche una nuova forma di scrittura, dove i «dialoghi sono in realtà monologhi» e dove tutte le forme di comunicazione, «telefonate, mail, messaggi, tutta la grandissima possibilità che abbiamo per esprimerci porta a ridursi a forme di monologo ossessivo nel quale si diventa stalkizzati da qualcuno».Perché Radar, questo il soprannome che il professore vuole i suoi studenti usino per chiamarlo, è un docente ossessionato dai suoi alunni. Un personaggio “esagerato” in cui sono state sintetizzate tutte le paranoie, i lati grotteschi, le frustrazioni che alcuni docenti hanno e che qui sono state esagerate per rovesciare la figura classica dell’insegnante solitamente raccontato nei libri.Qui, invece, il prof è «una figura incapace, imbranata, che non sa relazionarsi con gli altri e non sa fare l’educatore, anche se pensa di saperlo fare nel migliore dei modi possibili».Il libro però non vuole essere una critica alla classe docente. «Scrivo di scuola spesso dal punto di vista saggistico e giornalistico e questa volta mi interessava fare un’azione di rovesciamento» spiega l’autore alla Repubblica degli Stagisti: «E poi volevo raccontare le contraddizioni del dibattito pedagogico. Oggi siamo pieni di retoriche e innovazione 2.0. C’è gente che non capisce nulla di questa roba e spreca milioni di euro nella fuffa del digitale. Per non parlare della retorica delle competenze: è come quella dell’empatia, del rapporto diretto, emotivo con gli studenti. A me interessava mettere in burla un po’ di queste retoriche. E cucirle addosso a delle figure di insegnanti».Così nasce la figura di Radar, che non è ispirata a qualcuno in particolare ma condensa le «caratteristiche un po’ macchiettistiche della classe docente». Radar è «un cattivo insegnante, nonostante abbia masticato tutte queste forme retoriche: l’empatia, il patto formativo, il rapporto orizzontale. Sa parlare di tutto ma compie quello che a mio avviso è il delitto maggiore» riassume Raimo: «eliminare la centralità della materia. Il rapporto tra studente e docente funziona, infatti, se al centro c’è la materia, altrimenti è un rapporto promiscuo, ibrido. Il professore non è un amico, padre, assistente, psicologo. Ha un ruolo diverso, forse più difficile che è quello di creare un vero rapporto profondissimo attraverso la disciplina della materia».L'autore ribadisce di non aver voluto scrivere un libro di critica agli insegnanti: «Credo che oggi la classe docente stia facendo un lavoro di supplenza enorme alle carenze politiche strutturali». Eppure, oggi, sono proprio gli insegnanti ad essere spesso criticati dall’opinione pubblica. «Forse accade non perché si vuole valutare il ruolo dei docenti quanto quello dell’educazione. La scuola, oggi, è rimasta l’ultima grande palestra di uguaglianza nella società contemporanea. Le altre, penso alla famiglia, ai partiti, ai sindacati, si sono indebolite duramente. La scuola, invece, resiste, molto più dell’università. In una classe tu sei uguale al tuo compagno di banco anche se tu sei ricco e lui no, tu cattolico e lui no, tu bianco e lui no. Questo è la base della scuola. E mettere in discussione il ruolo degli insegnanti e l’educazione significa prima di tutto mettere in discussione questo principio di uguaglianza. Si cerca di costruire una società di disuguali esaltando il fatto che si può fare a meno della scuola».Una buona riforma della scuola dovrebbe contenere secondo Raimo la formazione obbligatoria di qualità. «Bisognerebbe cercare di fare una riforma che non lavori sull’aspetto organizzativo, come è stato fatto male nella Buona scuola. Ma che lavori sull’aggiornamento professionale anche da un punto di vista disciplinare. Se insegno filosofia devo essere aggiornato anche sul dibattito filosofico contemporaneo. Stessa cosa per matematica o scienze. E poi bisognerebbe portare l’innovazione del dibattito pedagogico all’interno della scuola. Perché la maggior parte degli insegnanti demotivati sono persone che non hanno una formazione adeguata dal punto di vista pedagogico. E questo è impensabile nel 2016».Magari grazie a una formazione obbligatoria di qualità si riuscirebbe a far diventare migliori gli insegnanti non bravi. Anche se su un punto Raimo è categorico: «Non voglio una scuola di insegnanti eccellenti, ma di insegnanti medio buoni. Perché tutti i ragazzi hanno il diritto ad averli. Con una formazione obbligatoria di qualità potrei portare gli attuali “insegnanti cattivi” a livelli sufficienti e selezionare meglio i prossimi». Ma la formazione obbligatoria dovrebbe essere tutt’altra cosa dei corsi che oggi vengono propinati. «Ho fatto due anni di scuola di specializzazione obbligatoria: ho imparato pochissimo e c’era un’informazione pessima. Perché è ovvio: costa formare i formatori. Però dipende tutto da quello che si vuole. Se la gente vuole che gli insegnanti si arrangino, va bene. Il problema è che questi docenti insegneranno a tuo figlio, che avrà dei professori non validi».Mentre un buon insegnante, al contrario del protagonista del libro, Radar, non deve cercare di essere un amico. Ma deve mettere in pratica delle modalità di insegnamento che valorizzino le forme di educazione tra pari. «Che poi è quello che chiedevano gli studenti 10-15 anni fa. Perché oggi molte delle competenze non si imparano dai docenti: scrivere una mail, fare un curriculum, migliorare l’inglese o usare powerpoint. Si imparano da amici. E in questo senso anche in classe è possibile capitalizzare queste capacità di ri-education, quindi di educazione tra pari e dei rapporti tra novizio ed esperto». Perché oggi, è il messaggio finale di Raimo, l’insegnante non è più solo quello che sta sopra la cattedra e dall’alto dice cosa è giusto o sbagliato. Ma è chi ti sta accanto e ti aiuta a interpretare il mondo che è intorno. Marianna Lepore

Flessibili ma determinati: il Rapporto Giovani 2016 racconta una generazione «che non deve essere data per perduta»

Come stanno i giovani italiani?  Come si evolve il rapporto con la famiglia? Come e quando diventano indipendenti?  Quali aspettative hanno rispetto al futuro? Cosa pensano dell’Italia e dell’Europa? Quale rapporto hanno con il mondo del lavoro? A queste e molte altre domande ogni anno prova a rispondere Rapporto Giovani della fondazione Toniolo. Lo studio, la cui ultima edizione è stata presentata a Milano presso l’università Cattolica pochi giorni fa, è un grande contenitore che raccoglie le risposte di un campione di 9mila giovani di età compresa tra i 19 e i 32 anni. Ci sono tutti: dalla generazione Z ai millennials, passando per studenti, disoccupati e lavoratori a tempo indeterminato. Il rapporto, di cui la Repubblica degli Stagisti aveva già parlato nelle due precedenti edizioni, mostra come i ragazzi siano consapevoli delle difficoltà attualmente presenti nel mondo lavorativo, ma non perdano la speranza, anzi siano pieni di voglia di fare e pronti a rimboccarsi le maniche per il futuro. «Abbiamo iniziato lo studio tre anni fa, all’apice della crisi» racconta Alessandro Rosina, professore di Demografia e responsabile della ricerca, per capire come i giovani interagiscano «nella fase più delicata, per costruire la transizione nella vita adulta». Le condizioni di partenza, però, non sono le migliori. «Nella fascia fra i 20 e i 30 anni i giovani italiani sono quelli con minore fecondità, minor reddito in relazione alla mansione, minor autonomia». Si parla di ragazzi e ragazze che escono di casa a 30 anni – cinque dopo la media europea. Che ritengono di avere meno opportunità dei coetanei all’estero – in Italia lo dicono tre giovani su quattro, in Germania uno su dieci. Che non si fidano degli altri, e in generale non sanno cosa aspettarsi dal futuro. «Non è solo una ricerca quantitativa, ma anche qualitativa» specifica Rosina: infatti permette di comprendere, a partire dalle risposte, quali valori e motivazioni muovano le generazioni di oggi. «Abbiamo la percentuale più bassa di under 30 nei paesi europei» spiega il professor Rosina. Troppi expat, ragazzi che vanno all’estero, e un basso tasso di natalità lasciano sguarnito il paese, che fa poco per aiutare le nuove generazioni ad emergere.Ma nonostante la consapevolezza dei problemi esistenti c’è chi non si dispera: come Lorenzo Fiorito e Nayara Pinho, intervenuti alla fine del convegno. Lorenzo è salentino ed è venuto a Milano per creare la sua seconda start up, Nayara è brasiliana e vuole realizzare un’idea di business legata alla moda. Entrambi hanno lasciato il luogo di origine per seguire il proprio sogno, entrambi hanno studiato il mercato per proporre idee innovative e non temono la concorrenza, e non sono i soli. La tendenza a trasferirsi all’estero - tema già emerso negli anni precedenti - e l’adattamento, infatti, sono sempre più punti fondamentali per gli under 30 italiani: secondo il rapporto oltre l’80% è disposto a trasferirsi stabilmente per lavoro (o in altre parti d'Italia o in altri Paesi), e quando gli viene chiesto quale sia la caratteristica fondamentale da avere nel mondo del lavoro risponde citando la capacità di adattarsi a nuovi contesti (55%). I ragazzi pensano molto al lavoro, che giudicano pragmaticamente in primis fonte di reddito (91%), poi importante per il futuro (88%), utile allo scopo di creare una famiglia (87,5%) e infine modalità di auto realizzazione (85%). Ma non finisce qui: i giovani non smettono di cercare opportunità per migliorare la propria vita e il proprio lavoro e al 44% si dichiarano insoddisfatti della retribuzione che percepiscono. Molti ammettono ancora di essere fortemente influenzati dalla famiglia, da cui provano a staccarsi con differenti esiti (dopo essersene andata di casa più della metà è costretta, a un certo punto, a ritornare sui propri passi). «Ma non chiamateli semplicemente Neet» spiega Rosina: gli adulti di domani sono esigenti con sé stessi, con la propria formazione (non sono interessati ai titoli, ma alle competenze specifiche che la scuola può dare per il futuro), con il mercato del lavoro (che deve essere in grado di farli crescere e di pagarli) e soprattutto con il sistema paese.Ma cosa dovrebbe offrire l’Italia a questi ragazzi? Luigi Bobba, sottosegretario del ministero del Lavoro con delega ai giovani, ritiene che si debba ripensare alle nuove generazioni come «risorsa informativa» citando alcune iniziative del governo (il Jobs Act, la legge di stabilità, l’alternanza scuola-lavoro, Garanzia Giovani, Crescere in Digitale e il servizio civile) grazie alle quali 463 mila giovani hanno trovato lavoro o ottenuto condizioni contrattuali migliori nel 2015. Le condizioni non sono le migliori, ma qualcosa sta cambiando. «La loro non deve essere assolutamente considerata una generazione perduta» incalza Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, sponsor del rapporto insieme alla fondazione Cariplo. Bazoli si augura che una minoranza dei giovani porti il buon esempio e traini la maggioranza come motore del paese: e in effetti questo Rapporto Giovani 2016 racconta ragazzi consapevoli ma non rassegnati, pronti cambiare la situazione intorno a sé. «Il primo rapporto era apparso in un periodo di crisi: la speranza è di riuscire, nelle prossime edizioni, a raccontare una situazione diversa» conclude Rosina. Matteo Moschella

I "500 giovani per la cultura" da mesi senza compenso, e forse penalizzati dal concorso annunciato dal Ministero

Selezionati attraverso un bando pubblicato nel dicembre 2013, dopo un lungo processo di valutazione, da maggio 2015 hanno cominciato il loro programma formativo: sono i “500 giovani per la cultura”, i laureati selezionati dal Mibact per svolgere un “programma straordinario di formazione” di un anno, di cui la Repubblica degli Stagisti si è ampiamente occupata fin dall’inizio – anche per le aspre polemiche iniziali sul rimborso spese troppo basso.Finite le 100 ore di lezione in aula, dallo scorso settembre i partecipanti hanno iniziato la seconda fase, che durerà fino al giugno di quest’anno e che li vede occupati in attività di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale presso soprintendenze, biblioteche e archivi di stato e poli museali. Ma ad oggi questi circa 500 – che in realtà con i mesi sono andati via via diminuendo, per le molte rinunce – da gennaio 2016 non hanno più visto un euro del proprio compenso, 456 euro al mese.Oltre alla questione pecuniaria, c'è anche da chiedersi che fine faranno questi giovani, nel frattempo costituiti nel comitato «500 giovani per la cultura», alla fine dei 12 mesi previsti. Sono stati selezionati dal ministero, che ha affinato le loro competenze: ma quando andrà in scadenza il “programma di formazione”, che ne sarà di loro? Si troverà un modo per inserire almeno i più meritevoli in organico in quegli stessi uffici dove da tempo il personale è carente?Alla Repubblica degli Stagisti sono arrivate numerose testimonianze di questi tirocinanti non tirocinanti – una definizione che deriva da una circolare dell'ottobre dell'anno scorso, in cui il direttore generale Caterina Bon Valsassina aveva scritto che «il programma “500 giovani per la cultura” non rientra nelle casistiche indicate […] in quanto non si tratta di forma di lavoro né di tirocinio di formazione e orientamento». Questi presunti “ibridi” con il tempo hanno cominciato ad accumulare sfiducia e rabbia, che hanno raccontato alla RdS: c’è chi la definisce una «letterale presa per i fondelli», un «concorso andato a male», chi si lamenta della mancanza di comunicazione tra la direzione generale Mibact e le segreterie regionali. Insomma gli animi sono accesi e pronti ad alzare la voce.In primo luogo perché mancano tre mesi almeno di indennità di partecipazione. Un ritardo dovuto al cambiamento delle modalità di accreditamento ed emissione passato da NoiPa, il sistema informativo che si occupa del trattamento economico del personale centrale e periferico della Pubblica amministrazione, ai segretariati regionali. Decisione annunciata con una circolare del 29 gennaio, quando invece i partecipanti al programma speravano di trovare l’accreditamento della somma come gli altri mesi il giorno 23. E che pure fa riflettere: se questi soggetti non sono stagisti e non sono equiparabili a nessuna forma di lavoro dipendente non si capisce perché all’inizio siano stati pagati dal sistema informativo che gestisce «la presa in carico del trattamento economico del personale centrale e periferico della Pubblica amministrazione».  Purtroppo il problema del mancato pagamento non si è limitato al mese di gennaio, ma si è trascinato anche per febbraio e marzo ed è tuttora in corso: e alla fine al danno economico i 500 giovani per la cultura hanno visto aggiungersi anche la beffa. Recentemente è, infatti, uscito un decreto ministeriale per un nuovo concorso pubblico per l’assunzione di 500 funzionari. Decreto che annuncia la pubblicazione dei concorsi per le varie figure professionali entro il 30 aprile, quindi prima della fine del percorso per questi 500 giovani.«Una bella mazzata perché significherebbe che quel piccolo barlume che oggi mi consente di andare avanti in questo progetto, ossia ottenere punteggio utile per i prossimi concorsi ministeriali, si spegne del tutto. Anche perché quando uscirà nuovamente un concorso per 500 funzionari? Forse tra 10 anni», scrive sconfortata alla Repubblica degli Stagisti una partecipante al progetto che preferisce mantenere l’anonimato.Se questi giovani, per quanto ormai con poca fiducia, sperano che il concorso slitti nel tempo e prenda in considerazione le competenze sviluppate fino ad oggi, resta sullo sfondo la domanda sulla ratio dietro ai ragionamenti ministeriali. A cosa serve far iniziare un percorso senza poi definirne nel tempo la sua realizzazione?Anche perché le richieste di questi giovani, ovvero di trovare uno sbocco al loro programma ormai in dirittura d’arrivo, non sono poi tanto campate per aria. L’allora ministro Bray nel novembre 2013, davanti alle commissioni beni culturali di Camera e Senato, poco prima della pubblicazione del bando, aveva ammesso che nella pianta organica del ministero mancavano all’appello 600 persone, aggiungendo che con il progetto “cinquecento giovani per la cultura” si attuava un programma straordinario che avrebbe dovuto portare a incrementare «la pubblica fruizione del patrimonio». Il ministro non lasciava dubbi sulle possibilità future dei partecipanti, affermando che «al termine del percorso formativo e della collaborazione nell’attività che andranno a svolgere, i laureati che abbiano conseguito un giudizio favorevole secondo le modalità definite con decreto ministeriale saranno immessi nei ruoli del ministero con il corrispondente profilo professionale».Se la domanda legittima, all’epoca, era come fosse possibile per un ministero assumere senza una procedura concorsuale, oggi invece è capire come mai stia per essere pubblicato un bando che non sembra voler valorizzare quei laureati che stanno già prestando servizio. Quando invece il bando che aveva reclutato i 500, all’ultimo comma dell’articolo 5, prometteva il rilascio «a coloro che lo abbiano portato a termine un apposito attestato di partecipazione, valutabile ai fini di eventuali successive procedure selettive del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e degli istituti da esso vigilati». Non solo: anche il sottosegretario al ministero dei beni culturali, Ilaria Borletti Buitoni, in uno scambio mail con alcuni tirocinanti aveva risposto che avrebbe appoggiato eventuali opportunità lavorative pur non rientrando l’argomento tra le sue deleghe.Eppure oggi non solo non ci sono notizie certe su quando e se verranno liquidate le somme spettanti a questi giovani, ma nemmeno si capisce quali siano gli sbocchi di questo programma formativo straordinario che si concluderà nel giugno 2016. In una lettera alla Repubblica degli Stagisti alcuni partecipanti evidenziano tutti i punti anomali del loro progetto: ad esempio la continuità del rapporto di lavoro, obbligatoria ogni settimana, che non consente di prestare servizio presso altri datori di lavoro; un concorso, sostenuto dopo una prima fase di scrematura attraverso la valutazione per titoli, che non solo ha visto l’impiego di consistente denaro pubblico ma che non avrebbe senso per un “programma formativo” e che in aggiunta oggi non viene nemmeno considerato come requisito preferenziale di assunzione; nessun concorso previsto che consideri le graduatorie pubbliche in cui sono stati inseriti. E il nuovo decreto ministeriale che annuncia il concorso per 500 funzionari senza utilizzare i “500 giovani” «già sostenitori di concorso pubblico» appare ai diretti interessati come una beffa. I tirocinanti ora chiedono «un prolungamento della nostra attività o una trasformazione della stessa in concrete opportunità lavorative, per migliorare non solo la qualità dei servizi e la sicurezza dei beni culturali per le utenze ma anche per impiegare il bagaglio di conoscenze acquisito in questo anno  di formazione».Cosa succederà in futuro? Si procederà con nuove selezioni simili? «Come associazione confermiamo la nostra più ferma contrarietà a progetti ambigui come questi, che non sono né formazione né lavoro», dichiara alla Repubblica degli Stagisti Salvo Barrano*, appena rieletto presidente dell'Associazione nazionale archeologi. «Rischiano di essere un inganno per chi partecipa e una provocazione per chi da anni si forma negli istituti e nei luoghi deputati alla formazione, ovvero nelle università e nelle scuole di specializzazione o di dottorato».«Ho la presunzione di credere che né il ministro Franceschini né altri ministri replicheranno iniziative simili, peraltro volute dal governo precedente guidato da Enrico Letta» prosegue Barrano: «Oggi mi pare che il ministro abbia già invertito la rotta, promuovendo con la legge di stabilità approvata a dicembre un concorso per 500 posti a tempo indeterminato presso il Mibact. Il bando uscirà nei prossimi giorni mentre un bando per 60 funzionari a tempo determinato è già uscito a marzo. Potremmo sintetizzare dicendo che nel 2014 sono state promosse due manifestazioni per chiedere buona occupazione: quella dell'11 gennaio, 500 No al Mibact, e del 29 novembre, Cultura è Lavoro. La bella notizia è che la politica ha compreso il messaggio, la brutta è che ci abbia messo due anni».I partecipanti al programma “500 giovani per la cultura” potrebbero comunque iscriversi al bando; la questione è quella della valorizzazione, in quella sede, del punteggio corrispondente a questo percorso: «Probabilmente basterebbe presentare al ministero una richiesta per poter integrare i titoli limitatamente al percorso formativo, quando questo percorso sarà completato. Non mi sembra una richiesta irragionevole» suggerisce Barrano: «Ma gli uffici del ministero hanno urgente bisogno di nuovo personale, anche per dare attuazione alla riforma appena avviata, e non possono certo aspettare le micro-istanze dei singoli partecipanti al concorso. Anche perché ci sono tantissimi altri casi di criticità per quanto riguarda l'attribuzione dei punteggi o la valutazione dei titoli: su questo come Ana faremo pervenire a breve al ministero le nostre osservazioni»Resta una amara certezza: che l’Italia, che ospita ben 44 dei 911 siti tutelati dall’Unesco in tutto il mondo – il che vuol dire che detiene quasi il 5% del patrimonio artistico-archeologico di tutto il mondo, pur avendo una superficie che non si avvicina nemmeno lontanamente a quella percentuale rispetto all’intera superficie terrestre – in questi anni ha dimostrato una scarsa attenzione verso chi per quei siti, quei monumenti, quei palazzi, nutre invece passione e potrebbe portarvi un valore aggiunto. Ci sarà davvero una inversione di tendenza?Marianna Lepore*la foto di Salvo Barrano è di Salvatore Agizza

L'azienda in cui gli italiani sognano di lavorare? È Ferrero: nuova vittoria al Randstad Award

Se chiedi “Dove vorresti lavorare?” a una persona, in Italia, la risposta è: “In Ferrero”. L'azienda piemontese, produttrice della mitica Nutella e di una miriade di altri prodotti del food & beverage, è stata consacrata qualche giorno fa anche dal Randstad Award, il riconoscimento - giunto alla sua sesta edizione - assegnato ogni anno dall’agenzia per il lavoro Randstad. Gli intervistati, oltre 7mila in età lavorativa (cioè tra i 18 e i 65 anni), è stata sottoposta  una lista di 150 aziende con oltre mille dipendenti con sede in Italia attive in vari settori. E Ferrero si è piazzata lì, al top, come già l'anno scorso. Una bella soddisfazione, ma certo non una sorpresa considerando come l'azienda tratta i suoi dipendenti e anche gli stagisti: Ferrero fa infatti parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti fin dalla fondazione del sito, ottenendo anno dopo anno il “Bollino OK Stage” per le ottime condizioni offerte sia in termini di rimborso spese (750 euro al mese che diventano 1000 per chi arriva da lontano, i “fuorisede”) sia in termini di probabilità di assunzione post stage. E sia nel 2014 sia nel 2015 Ferrero ha anche vinto l'“Award Speciale Candidati RdS”, il premio della Repubblica degli Stagisti per il suo modo efficace gestire il contatto con chi invia il proprio cv.Il Randstad Award, condotto su oltre 200mila persone in 25 Paesi, registra quanto e per quali fattori le imprese sono capaci di attirare chi cerca lavoro o chi vuole cambiarlo. Dopo Ferrero, le altre aziende sul podio sono…Continua a leggere su Linkiesta

Crescere in Digitale, 50mila iscritti e 150 stage già attivati: tutti i dettagli su come funziona il progetto

Crescere in Digitale, iniziativa promossa dal ministero del Lavoro, Google e Unioncamere con l’obiettivo di favorire l’occupabilità dei più giovani, tocca un’altra tappa importante: sono in fase di avvio gli stage previsti dal progetto. A oggi sono 150 quelli già attivati.  Facciamo però qualche passo indietro: la Repubblica degli Stagisti aveva già parlato di Crescere in Digitaleal momento del suo debutto. Il progetto per il 2016 prevede l'attivazione di 3mila tirocini della durata di sei mesi, per un importo mensile di 500 euro, presso aziende «prevalentemente di medie e piccole dimensioni, ma anche molte agenzie web», spiega Diego Ciulli, public policy manager di Google. Per le imprese che poi assumono i giovani tirocinanti è previsto un bonus fino a 12mila euro. Per aspirare al tirocinio è necessario essere iscritti a Garanzia Giovani e svolgere un corso di formazione a tema digital, che si chiude con un test.A conclusione del percorso formativo, i giovani che superano il test vengono selezionati per accedere ai laboratori sul territorio,  coordinati da Unioncamere e dal sistema delle Camere di commercio. I laboratori, 29 in tutta Italia, sono organizzati secondo le disponibilità di tirocini offerti dalle imprese e la numerosità dei giovani che nelle diverse realtà territoriali hanno superato il test a conclusione del percorso formativo,  su base provinciale o regionale e prevedono la partecipazione di 50 ragazzi a laboratorio. «Allo stato attuale, a fronte di oltre 50mila iscritti 3.200 persone hanno già superato il test», spiega Ciulli. Un numero sicuramente non enorme a fronte degli iscritti, dovuto anche al fatto che «il corso dura in totale 50 ore ed è impegnativo. È positivo che molti seguano i primi moduli perché arricchisce la loro formazione ed è abbastanza normale che ci sia una selezione durante il corso». Età media 25 anni, quasi la metà defli iscritti (47%) sono donne e il 54% proviene dal sud Italia. Qualora l’elenco dei potenziali partecipanti superi il numero di 50, viene predisposta una lista in ordine decrescente per punteggio. A parità di punteggio, vengono applicati i criteri di anzianità di iscrizione a Garanzia Giovani, anzianità anagrafica (avvantaggiando il meno giovane) e sesso (femminile). Nel corso dei laboratori si svolgono gli incontri con le imprese per i tirocini formativi, organizzati anche in collaborazione con il mondo delle associazioni di categoria. Il numero dei candidati selezionati complessivamente per gli stage non può superare il tetto dei 3mila tirocini fissati da Garanzia Giovani. A ogni impresa, come riportato sul sito del progetto, vengono associati tramite un sistema automatico cinque giovani tra quelli convocati, cioè i ragazzi che hanno ottenuto i punteggi più alti al test online e con le caratteristiche più vicine alla potenziale impresa ospitante. Di questi cinque ragazzi il team di Crescere in Digitale invia all’azienda i curricula e le schede di presentazione per una prima conoscenza del profilo dei ragazzi.Durante i laboratori sul territorio le imprese raccontano brevemente ai giovani la propria attività, con specifico riferimento al web, ed effettuano i cinque colloqui conoscitivi. Le aziende dopo i colloqui possono indicare tre preferenze. Quelle che non prendono parte al laboratorio e conoscere i candidati di persona, possono comunque ospitare un tirocinante, indicando le proprie preferenze sulla base dei curricula condivisi. Sono 2253 le imprese che hanno dato la disponibulità a ospitare tirocinanti.In questo momento, dopo i laboratori e i test, sta partendo con gli stage la terza fase. Nel corso degli stage i tirocinanti dovranno necessariamente svolgere «attività digitali, durante le quali lo stagista non è mai abbandonato a se stesso ma supportato da un team. I ragazzi sono infatti assistiti da una community online e da un tutor presso la Camera di Commercio, proprio per aiutare nel digitale anche le imprese più piccole».Al di là del rimborso spese e della rilevanza dell’esperienza formativa ci sono in concreto prospettive di assunzione?: «C’è il bonus per le imprese che assumono, ma non possiamo già identificare delle prospettive concrete. Sicuramente figure esperte di digital sono indispensabili in aziende del genere, il nostro impegno è in ogni caso quello di portare valore aggiunto» conclude Ciulli. In caso di successiva assunzione del tirocinante, infatti, le aziende possono beneficiare di incentivi fino a un massimo di 12mila euro.Sarà ora interessante seguire gli sviluppi dei percorsi formativi dei partecipanti al progetto per valutare quante imprese avranno poi successivamente inserito e fornito una concreta opportunità lavorativa ai tirocinanti. Chiara Del Priore

Stage alla Nato: 800 euro al mese di indennità, candidature aperte fino all'11 aprile

Rimangono ancora pochi giorni per candidarsi al prestigioso programma di stage 2017 della Nato. La quattordicesima call ha aperto a marzo e chiuderà l’11 aprile. Il percorso di formazione, offerto a ragazzi con almeno 21 anni residenti in uno dei paesi membri dell’alleanza che siano studenti in corso (o che hanno appena concluso i propri studi), si svolge all'interno dell’istituzione internazionale e va distinto da quelli offerti grazie al contributo di altre organizzazioni. Lo stage dura 6 mesi e  si svolge principalmente nel quartiere generale Nato a Bruxelles, o in alternativa là dove hanno sede le differenti sezioni.L’organizzazione offre opportunità a studenti di varie facoltà: oltre a studi legati alle facoltà di scienze politiche o relazioni internazionali interessano infatti laureandi di materie tecniche come ingegneria o areonautica e studi economici come economia, risorse umane e finanza. Le aree da coprire non finiscono qui: il sito invita a fare domanda anche a laureandi in informatica, web design, grafica e giornalismo, offrendo una più ampia gamma di possibilità. Anche le lingue richieste sono varie: il candidato ideale non solo conosce una delle lingue tradizionali dell’istituzione – inglese e francese – ma anche lingue meno frequentemente richieste come russo, ucraino e arabo.L’application form va completata online e mandata entro mezzanotte dell’11 aprile insieme al curriculum vitae e alla lettera di motivazione, indicando a quale divisione della Nato si è interessati. Qualora il candidato sia in possesso delle qualità necessarie viene informato dell’accettazione della sua candidatura e entro agosto 2016 riceve la notifica di essere stato ammesso alla preselezione. I candidati della selezione finale verranno informati sul successo o meno della loro richiesta entro ottobre 2016 e in base a quando vengano verificati i requisiti di sicurezza inizia il programma di stage (marzo o settembre 2017). Il nulla osta sulla sicurezza viene dato dall’autorità nazionale del paese dell’applicante ed è l’ultimo scoglio per il candidato, oltre all’assicurazione sanitaria.Ma quali possono essere i compiti degli stagisti? Tutto dipende dalle proprie conoscenze e da quale divisione si viene assegnati: in generale si parla di «aiutare nella scrittura e preparazione dei documenti ufficiali, la presenza e redazione di riassunti delle riunioni e delle conferenze», ma si legge sul sito anche di ricerca di informazioni, compiti di pubbliche relazioni,analisi dei media e servizi amministrativi. L’iter non è semplice o breve, ma senza dubbio la fatica del candidato viene premiata: lo stagista infatti ha diritto a 800 euro mensili e fino a 1200 euro di rimborso per spese di viaggio fino alla base dove svolgerà i propri compiti.Ben 15 diverse divisioni dell’alleanza offrono opportunità: dalla difesa alla comunicazione, dalla diplomazia alla sicurezza informatica, dal management alla comunicazione: qui si trova l'elenco completo. Stupiscono varietà e innovazione di alcuni ruoli: aiutare la creazione del nuovo quartiere generale, lavorare sul piano “shared service” per creare spazi di lavoro collaborativo tra finanza, HR e informatica per tutti i lavoratori dell’organizzazione. Uno stagista racconta sul sito la sua esperienza nel servizio traduzione: «La mia internship è stata un ottimo modo per completare lo studio dell’interpretariato che ho iniziato in università: ho capito come funziona un servizio di tradizione di alto livello e ho avuto l’opportunità di lavorare con traduttori professionisti che mi hanno guidato, aiutato e passato la loro esperienza. In sei mesi ho perfezionato le mie capacità e mi sono sentito parte del corpo: infatti alla fine del contratto mi è stata offerta una collaborazione temporanea e ho lavorato regolarmente per la Nato da quel periodo».La Repubblica degli Stagisti aveva già parlato dei tirocini Nato nelle precedenti call: negli ultimi anni una media di 5mila candidati si sono fatti avanti per gli 80 posti - divisi in due tranche - offerti annualmente. Non sono pochi i giovani italiani che si fanno avanti ogni anno (quasi 1900 candidati nel 2014 e circa 1300 rispettivamente nel 2012 e 2013) e di solito l’età media è superiore ai 21 anni richiesti dalla offerta, attestandosi intorno ai 25-26 anni. Tuttavia la grande richiesta non deve scoraggiare gli aspiranti stagisti: un’esperienza di questo tipo vale sicuramente un po' di sana competizione.L'immagine in testa all'articolo è di Gac - Amc in modalità Creative CommonsL'immagine all'interno dell'articolo è di European Parlament in modalità Creative Commons

Garanzia Giovani, 124 milioni per il SELFIEmployment: ecco perché richiedere la misura autoimpiego conviene oggi più che mai

In questi giorni Garanzia Giovani, il grande programma di matrice europea pensato per supportare i giovani al di fuori di percorsi di studio e senza lavoro, ha tagliato il traguardo del milione di iscritti (la possibilità di iscriversi continua anche adesso): ora più che mai ministero del Lavoro e Regioni hanno sulle spalle l'onere di soddisfarne le aspettative. Alcuni sono stati già “serviti”: più o meno 300mila giovani hanno potuto scegliere in una rosa – spesso più ristretta del previsto – di azioni, dai corsi di formazione agli stage, dal supporto per esperienze all'estero al servizio civile. Una è rimasta invece a lungo sottoutilizzata: quella del supporto all'autoimpiego. Cioè la misura che dovrebbe fornire una formazione specifica per mettersi in proprio, per esempio aprendo una startup.Da metà gennaio è partita una iniezione di fondi proprio su questo filone: si chiama “SELFIEmployment” e ha una dotazione finanziaria di 124 milioni di euro. Invitalia ha messo a punto i dispositivi attuativi - cioè i destinatari, i requisiti formali di accesso, le attività finanziabili, le agevolazioni concedibili, il tutoraggio - e online ci sono una serie di FAQ molto dettagliate che rispondono a ogni dubbio degli aspiranti beneficiari.Il Fondo è destinato in prima battuta a 4.200 iscritti a Garanzia Giovani che abbiano usufruito di un percorso di accompagnamento all'avvio di un'impresa, che potranno presentare domanda di finanziamento al Fondo e otterranno prestiti a tasso zero (da 5mila a 50mila euro) senza garanzie personali e con un piano di ammortamento fino a 7 anni.  «La misura sarà totalmente paperless e “a sportello”, cioè aperta fino a esaurimento delle risorse disponibili» specificano da Invitalia: «Le istruttorie dei business plan prevedono una prima fase che stabilisce l’ammissibilità del progetto, che di fatto verifica il possesso dei requisiti formali e la regolarità della documentazione inviata, e una seconda fase che ne dà una valutazione di merito, fondata sulla sostenibilità economico-finanziaria e la coerenza interna. I tempi di erogazione delle agevolazioni dovrebbero corrispondere a 30 giorni dalla presentazione del progetto».Ma esistono, quantomeno sulla carta, 4.200 iscritti a Garanzia Giovani che abbiano già usufruito di un percorso di accompagnamento all'autoimpiego? Macché: «il numero di 4.200 destinatari è una stima indicativa della capienza dello strumento finanziario, considerando un importo medio dei prestiti erogati pari a 30mila euro circa» spiega il ministero del Lavoro alla Repubblica degli Stagisti. In realtà la situazione attuale del numero di persone che hanno completato i percorsi di accompagnamento all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità (in termini tecnici: «a valere sulla Misura 7.1 del Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani») è sideralmente al di sotto di 4.200. A fine 2015, infatti, solamente 459 giovani avevano usufruito in tutta Italia di questa misura, nella maggior parte dei casi in Friuli (159), in Toscana (87), in Sardegna (86) e in Molise (77). Intere Regioni - tra cui anche Puglia, Veneto, Campania, Piemonte! - stando alla documentazione dello staff di Poletti non avevano attivato nemmeno uno di questi percorsi. Ma adesso, giura il ministero, si corre per mettersi in pari: «Di concerto con Unioncamere stiamo predisponendo ulteriori percorsi di accompagnamento all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità da erogarsi con modalità uniformi su tutto il territorio nazionale». Dunque “SELFIEmployment” sarebbe capace di soddisfare 4.200 giovani, ma attualmente esistono in Italia solamente poche centinaia di persone che rispondono ai requisiti per fare richiesta di questi finanziamenti. Da qui, un consiglio spassionato a chi è iscritto a Garanzia Giovani: se avete anche un minimo di propensione al lavoro autonomo vi conviene fare richiesta della misura «autoimpiego». Nei prossimi mesi, sembra proprio essere quella che metterà a disposizione più opportunità e sulla quale ci sarà meno competizione. Non sarà certo questo a “salvare” Garanzia Giovani, ma certamente potrà soddisfare qualche migliaio di iscritti.Eleonora Voltolina

20 anni di Sve, finora 100mila partecipanti: così si promuove «il dialogo tra culture»

Vent'anni di servizio volontario europeo, due decenni di partenze di giovani tra i 18 e i 30 anni per esperienze di volontariato in tutto il mondo. «Centomila viaggi registrati finora» dice Luigi Bobba, sottosegretario al Lavoro, all'evento di celebrazione del ventennale organizzato a Roma dall'Agenzia giovani, l'ente incaricato di distribuire i fondi europei destinati a progetti legati alla mobilità delle nuove generazioni. In primis Erasmus+, in cui è confluito lo stesso Sve, che garantisce un anno all'estero tra i più formativi, di quelli che possono cambiare la vita. Con differenze marcate rispetto al più classico e conosciuto Erasmus («che ha visto in trent'anni tre milioni di partenze» ha ricordato ancora Bobba).Lo si capisce dal racconto di alcuni dei partecipanti intervenuti all'incontro – che ha visto tra i relatori anche Silvia Costa [nella foto a destra], parlamentare europea, Cinzia Zaccaria del dipartimento Gioventù e servizio civile, il presidente dell'Agenzia Giovani Giacomo D'Arrigo. «Ho conosciuto tante persone diverse e le ho potute aiutare» racconta Emiliano Marega, 32enne con problemi di disabilità, impegnato per nove mesi a Alvines, in Spagna, con l'associazione Anfass di Pordenone, che tutela i diritti dei disabili. Marega si è occupato di insegnamento non formale dell'inglese e dell'italiano, «cosa che mi ha permesso di mettere a frutto i miei studi». Ma sono sopratutto i risvolti umani ad aver segnato il suo soggiorno spagnolo, al fianco di altre persone in difficoltà, come la volontaria italiana che «accompagnavo a fare la spesa».Helena Chamier, 22enne polacca, sta invece svolgendo i suoi dodici mesi di percorso a Treviolo, vicino Bergamo, con la cooperativa Aeper. Qui aiuta i bambini che provengono da famiglie in condizioni di disagio sociale e economico e li affianca nelle attività quotidiane: «preparazione dei pasti, aiuto dei compiti, laboratori pomeridiani» per esempio. Un momento cruciale del suo cammino di vita per lei che – come tanti partecipanti allo Sve – non poteva permettersi il più classico Erasmus. Lo Sve si caratterizza infatti per la copertura totale delle spese che si devono sostenere dal momento in cui si parte. Se negli scambi internazionali si riceve di solito una borsa mensile piuttosto contenuta, per il volontariato le condizioni prevedono invece di norma vitto e alloggio gratuito all'interno della struttura ospitante, oltre a un piccolo rimborso per gli extra e alla copertura delle spese di viaggio (per il 2016 sono oltre dodici milioni i fondi a disposizione, tutti stanziati sul pacchetto Erasmus+).Il contesto non è però quello dei party universitari da studente Erasmus. È il senso di appartenenza a una comunità l'insegnamento che questi giovani portano a casa: a Marco Meloni, 26enne di Cagliari, è successo per esempio di andare a Rosario in Argentina come cooperante per l'associazione no profit TDM 2000 della sua città, e collaborare così alla riqualificazione di uno dei quartiei più popolari del centro urbano e alla creazione di percorsi di inserimento per famiglie svantaggiate.«È un'emozione ascoltare questi ragazzi»: per Cinzia Zaccaria «il significato di questa esperienza è la creazione di un modello diverso che alla solitudine e all'emarginazione contrappone la forza delle relazioni umane». L'effetto è che «si matura nella personalità, si impara a dare il giusto valore ai problemi che tendiamo a ingigantire quando ci troviamo chiusi in un ambiente». E si creano «ponti interculturali».Su questo aspetto ha molto insistito anche Silvia Costa: «La solidarietà e la fiducia reciproca sono le fondamenta su cui l'Europa si deve tenere» ha detto. Nell'intervento della Costa – tra i più appassionati – anche il riferimento all'emergenza profughi («le misure per la sicurezza senza il dialogo interculturale non bastano» ha ricordato sottolineando il ruolo dello Sve in questa direzione) e alla necessità di dare risalto all'attività dei giovani che operano in questo contesto: «Ci vorrebbe una striscia quotidiana in tv di ragazzi che parlano delle loro esperienze in Europa, è una ricchezza che stiamo sprecando». Anche perché non si tratta di una minoranza, se è vero «come dicono alcune statistiche che un giovane su quattro in Europa svolge o è interessato a iniziare attività di volontariato». Una visibilità su cui è al lavoro anche Ang, ha chiarito D'Arrigo [nella foto a sinistra], grazie «alla collaborazione con Mtv e alla nascita di una web tv».Lo sve è anche alternativa ai tradizionali canali di ricerca del lavoro. Per chi sente la vocazione del sociale, cimentarsi in un'organizzazione no profit all'estero può significare trovare la propria strada anche professionale. Così è stato per i tre "testimonial": Marco Meloni oggi lavora come project manager per un'azienda di comunicazione e per una società di progetti formativi; Helena Chamier vorrebbe restare in Italia e dare un futuro alle capacità che sta affinando; e Emiliano Marega è diventato insegnante abilitato di lingua inglese. L'evento stesso è stato occasione per «puntare i riflettori sull'importanza dello Sve, che arricchisce il bagaglio dei giovani da un punto di vista sociale, culturale e professionale perché consente di acquisire competenze spenidibili sul mercato del lavoro». Ilaria Mariotti 

Servizio civile in un altro Paese europeo: parte la sperimentazione con le prime 50 opportunità

Si chiama servizio civile nazionale ma si può svolgere anche all’estero. E, da quest’anno, con un’opportunità in più: si potrà partire e mettersi in gioco in un altro Paese dell’Unione europea. Sono 50, infatti, i volontari che verranno selezionati per l’iniziativa sperimentale europea “International Volunteering Opportunities for All” (da cui l'acronimo: Ivo4All). La scadenza, meglio dirlo subito, è molto stretta: le candidature si chiudono mercoledì 16 marzo alle ore 14. Ma in ballo c’è l’offerta per un’esperienza di formazione internazionale: sei mesi complessivi di servizio civile, di cui quattro effettivi all’estero e due di formazione in Italia per cimentarsi in vari settori della cittadinanza attiva, in un contesto europeo, coperti da una retribuzione mensile pari a 433,80 euro (che viene considerata un compenso a tutti gli effetti ai fini del reddito imponibile, con successiva possibilità di riscatto dei contributi), più un’indennità di 15 euro per ogni giorno di effettiva permanenza all’estero, il rimborso delle spese di viaggio e vitto e alloggio assicurati. La possibilità di svolgere il servizio civile nazionale oltreconfine non è nuova, anche se forse poco conosciuta: nel 2014, stando ai dati del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale della Presidenza del Consiglio, sono partiti in 477 (su oltre 15mila volontari), verso tutti i continenti. La particolarità dell’iniziativa Ivo4All sta nel target a cui è rivolta: le candidature sono sì aperte a tutti i giovani tra i 18 e i 28 anni, ma hanno un occhio di riguardo per coloro che hanno minori opportunità sociali: «L’intento è di suscitare l’interesse per l’esperienza del servizio civile nei giovani che ad oggi non la considerano appetibile» spiega alla Repubblica degli Stagisti Patrizia De Bernardis, dirigente del Servizio Accreditamento e Progetti del Dipartimento della Gioventù e Servizio civile nazionale: «Spesso, ad esempio, chi sceglie il servizio civile ha una buona istruzione e buone conoscenze linguistiche. Questo progetto è sperimentale perché mette il focus sull’inclusione: per la prima volta vuole raggiungere e offrire un’opportunità a chi magari ha un livello di istruzione meno elevato, una conoscenza linguistica meno buona o si trova nella cosiddetta categoria dei Neet», gli under 30 non impegnati nello studio, né in esperienze di lavoro né di formazione.L'opportunità è aperta a tutti i cittadini Ue e a quelli non comunitari regolarmente soggiornanti. I criteri di selezione, però, come specificato nell’allegato 7 del bando, prevedono l’attribuzione di un punteggio in più in presenza di alcune condizioni, comunque non obbligatorie, relative al livello di reddito (a seconda della certificazione Isee), alla residenza in una delle cosiddette Regioni a “obiettivo convergenza” e cioè Calabria, Campania, Puglia e Sicilia; e infine, l’iscrizione al programma Garanzia Giovani. «Abbiamo deciso di limitare l’esperienza a sei mesi e di mantenere le destinazioni all’interno dei confini europei» aggiunge De Bernardis «proprio per cercare di facilitare al massimo chi magari non è mai stato all’estero prima d’ora».Espandere a livello europeo gli orizzonti del servizio civile è un concetto che piace agli Stati. Ivo4All parte ora come progetto europeo sperimentale dentro Erasmus+, con la Francia come capofila e Italia, Lituania, Lussemburgo e Regno Unito tra i partner. Ma sarà anche l'apripista ideale per un altro progetto più ambizioso, questa volta solo tra Italia e Francia. La firma l'hanno messa direttamente i presidenti Renzi e Hollande nel vertice di questi giorni a Venezia. La dichiarazione d'intenti darà il via alla definizione di un progetto pilota italo-francese per permettere a 100 giovani volontari tra italiani e francesi in servizio civile di effettuare un'esperienza di mobilità. Con la speranza, ha rimarcato Luigi Bobba, sottosegretario al lavoro con delega alle politiche giovanili, che diventi «un primo passo verso un sorta di  Erasmus del Servizio civile». Ma come funziona il progetto Ivo4All? I 50 posti messi a disposizione in Italia sono distribuiti in sei progetti di altrettante organizzazioni: “Mobilità senza frontiere” e “L’Europa siamo noi” delle Acli (rispettivamente 6 e 4 posti); “Europa Trasmontana” di Cesc Project (8 posti); “Young Action” di Amesci (16 posti); “NOI (Nuove Opportunità Internazionali)" della Provincia di Foggia (4 posti) e, infine, il progetto “GIVE (Giovani Volontari Internazionali in Europa – 2015)” di Focsiv (12 posti). La selezione viene effettuata sulla base di titoli (che attribuisce fino a 30 punti) e di un colloquio motivazionale attitudinale (altri 30 punti). La candidatura può essere inviata per un solo progetto e va indirizzata direttamente all’ente che promuove l’iniziativa, con tre modalità: via mail da un indirizzo di posta elettronica certificata, con i documenti allegati in pdf; a mezzo raccomandata a/r; oppure consegnata a mano. Non può candidarsi chi sta svolgendo o ha già svolto in passato il servizio civile nazionale, anche all’interno di Garanzia Giovani, o chi lo abbia interrotto prima della scadenza prevista. Escluso anche chi ha rapporti o collaborazioni lavorative con l’ente che realizza il progetto. Tutta la documentazione è disponibile online, sul sito del Dipartimento della Gioventù e del Servizio civile nazionale: alla domanda (allegato 2) va allegata la fotocopia di un documento di identità e una scheda (allegato 3) con l’elenco dei titoli (di studio, di esperienze e tirocini) e requisiti (di reddito, residenza e/o inquadramento nel programma Garanzia Giovani) di cui si è in possesso. Titoli e requisiti devono essere poi presentati entro e non oltre il colloquio orale di selezione. Il colloquio sarà svolto dall’ente a cui è stata inviata la candidatura e mira ad accertare le motivazioni alla partecipazione e l’interesse nel progetto, oltre ad approfondire studi ed esperienze lavorative e di volontariato del candidato, l’interesse nello svolgere esperienze all’estero, la conoscenza delle lingue straniere e le caratteristiche del nucleo familiare, cioè studi e reddito degli altri componenti della famiglia. Il punteggio minimo per essere ritenuti idonei è pari a 18/30. Sarà poi il Dipartimento Gioventù e Servizio civile a predisporre i contratti, sulla base delle graduatorie inviate dagli enti stessi. La partenza dei volontari è fissata a partire dall’11 aprile prossimo, a seconda dei tempi di selezione e di inizio dei progetti. Ciò vuol dire che potrebbe essere possibile uno slittamento in avanti delle partenze. Una volta selezionato il gruppo di volontari, i quattro mesi all’estero saranno preceduti da una formazione pre-partenza in Italia, che comprende, come spiega il bando, «un periodo di formazione generale non inferiore a 30 ore, un corso di lingua straniera (inglese, francese, spagnolo o portoghese, a seconda del Paese dove si realizza il progetto) della durata di tre settimane che si svolgerà a Roma, e un periodo di formazione specifica inerente le attività previste nel progetto, da effettuare presso l’ente titolare del progetto prescelto». In questo modo «vogliamo seguire nel modo più completo possibile i ragazzi, che saranno divisi in piccoli gruppi e affiancati da un tutor», precisa De Bernardis. Resta ferma l’intenzione di avvicinare al servizio europeo chi forse non ci avrebbe nemmeno mai pensato, favorendo così l’inclusione sociale: «L’obiettivo fondamentale del progetto» secondo il sottosegretario Bobba «è lo sviluppo  di esperienze  che consentano di ampliare la dimensione europea del servizio civile. L’analisi e la valutazione dei risultati ci consentiranno di comprendere quali siano i principali ostacoli ad una maggiore mobilità dei giovani con minori opportunità e, di conseguenza, di come favorirli,  nell’accesso alle opportunità dell’Unione europea».Maura Bertanzon@maura07 Foto di copertina e prima immagine in alto a destra da: serviziocivile.provincia.foggia.it 

Il lavoro si cerca online e sui social network, ma le aziende faticano a capirlo: con qualche bella eccezione

Alcuni passi in avanti verso le nuove tecnologie ma ancora poco coraggio per le aziende italiane nell'utilizzo di strumenti innovativi per la ricerca di personale: questa la sintesi dell’ultimo studio annuale OTaC – Online talent communication per l’Italia, ad opera di Potentialpark, istituto di ricerca con sede a Stoccolma specializzato nello studio delle esigenze dei candidati nella ricerca online di lavoro. I risultati dell'indagine – condotta dal settembre 2015 al gennaio di quest’anno – sono stati presentati alla stampa pochi giorni fa e mostrano che in generale le aziende hanno fatto progressi rispetto agli anni precedenti, cercando di avvicinarsi ai comportamenti dei giovani, ma senza crederci fino in fondo. Non realizzando, quindi, vera innovazione nel recruitment. Allo studio quest’anno hanno partecipato quasi 24mila studenti e neolaureati di tutto il mondo; l’Italia, con oltre 5mila partecipanti, si è attestata come primo paese al mondo per numero di risposte. E proprio in riferimento specificamente all'italia Potentialpark rileva che nel 2015 c’è stato un generale investimento delle imprese italiane nell’attuazione di strategie di miglioramento della loro comunicazione e selezione online. E se le aziende investono di più sulle piattaforme digitali, le risposte non tardano ad arrivare. Le pagine “Lavora con noi” continuano a essere il centro delle strategie di comunicazione delle aziende e ben l’80% dei candidati utilizza proprio la sezione career come fonte primaria per acquisire informazioni. Con un piccolo incremento rispetto al 2014 sull’affidabilità rispetto a quello che viene pubblicato. Al primo posto, quindi, c’è proprio internet, seguita dagli eventi in campus e dai contatti sui professional network come Linkedin.E proprio il social network professionale per eccellenza sembra subire un calo: rispetto all’anno precedente una persona su dieci ha deciso di non usarlo per candidarsi a una posizione di lavoro, facendo scendere dalla terza alla quarta posizione questo canale a favore dei portali di lavoro online.Nonostante i miglioramenti, le aziende, però, sono ancora timide e poco innovative nello sfruttare internet, preferendo non prendere in considerazione i nuovi comportamenti social dei giovani. Se, infatti, il 53% dei candidati italiani usa Instagram regolarmente, solo il 19% delle aziende è disposto a utilizzare questo canale per il recruitment. Perdendo quindi la possibilità di intercettare quella percentuale di candidati. Altro tema: gli smartphone usati anche per la ricerca di lavoro. In un anno è salito di quasi dieci punti percentuali il dato di quanti usano proprio un dispositivo mobile per accedere a un sito carriera. Questo spiega perché il numero di aziende (79 in totale quelle studiate in Italia) che hanno lavorato per rendere mobile-friendly le loro pagine web sia quasi raddoppiato. Fermandosi, però, a poco più della metà del campione.Lo studio OTaC fornisce alle aziende tre suggerimenti per cercare di colmare il gap con i candidati. Per prima cosa, arricchire gli annunci di lavoro pubblicati sui siti aziendali. Spesso e volentieri, infatti, manca la parte dedicata all’esperienza del candidato, che è invece presente sui siti di lavoro dedicati alle candidature online. Ed è qui che le aziende dovrebbero intervenire, proponendo testimonianze che aiutino nel processo decisionale. Ricordandosi che i form online sono utilizzati dal 75% del campione, in crescita di quasi dieci punti rispetto all’anno precedente. Poi accelerare il cambiamento: quindi rassegnarsi al fatto che lo smartphone è sempre più utilizzato ed è impensabile che la sezione career non sia accessibile dal cellulare o che lo sia ma con meccanismi lunghi. Infine, accettare di fare campagna sui social network di moda: Instagram ma anche Twitter e soprattutto Whatsapp, usata dal 96% degli intervistati.  Ma qual è la realtà che quest’anno ha osato di più ed attratto i giovani? Su tutte vince Accenture, che ha adattato il proprio sito carriera per un uso tramite smartphone e rinforzato la presenza sui social media. Seguita da Roche e L’Oreal, che mette ben in evidenza anche le testimonianze di chi ha avuto esperienze lavorative in azienda. Nella classifica di Potentialpark trovano posto anche alcune aziende che aderiscono all’RdS network, e che quindi offrono agli stagisti un buon rimborso spese e delle ottime chance di assunzione a fine stage. Sono EY, Nestlé, Elica e PwC, rispettivamente al 12, 15, 16 e 19° posto.«Non si può più fare a meno dei social: il mondo evolve, e così anche il modo di fare selezioni. Perciò siamo presenti sui principali social network e abbiamo deciso di aprire altri canali come Instagram, Twitter, Pinterest e una piattaforma Linkedin che a livello Hr è il principale strumento grazie al quale negli ultimi due anni abbiamo chiuso una decina di selezioni» spiega Julia Sciuto, education ed employer branding manager di Elica. «Senza dimenticare il nostro sito dedicato alle risorse umane, che resta la prima piattaforma grazie alla quale facciamo molte selezioni».I social «facilitano tantissimo nella comunicazione immediata: se siamo presenti a un career day un tweet diventa molto immediato. Ed è il connubio tra tutti i social che fa la differenza. Per esempio noi usiamo molto Instagram per gli eventi o per far vedere com’è la nostra azienda, per far conoscere il nostro mondo anche da un punto di vista di clima lavorativo». E investire sui social, come lo studio OTaC dimostra, conviene. «Grazie ai social abbiamo molte più informazioni a disposizione. Se mi arriva un curriculum posso trovare subito su Linkedin o Facebook un riscontro. E succede anche per i ragazzi. Quando li accolgo al centralino vedo subito che anche senza presentarmi mi hanno riconosciuta, perché è evidente che anche loro fanno ricerche per esempio su Linkedin. Per noi la ricerca dei curriculum adatti è molto facilitata. E i candidati grazie ai tanti canali social riescono ad avere subito un vero e proprio storytelling dell’azienda».É la dimostrazione che i consigli dello studio OTaC, sopratutto quello di fare campagne sui social, hanno effetti positivi anche nella selezione del personale. Da un punto di vista di employer branding, quindi di come l’azienda viene percepita dai potenziali lavoratori, ormai i social network sono fondamentali per trasmettere l’idea che quel posto di lavoro sia il migliore per fare carriera.  Marianna Lepore[nella foto in alto, il team internazionale di Potentialpark presente alla conferenza: da sinistra Elisabeth Wicklin, Guillame Caramalli, Marco Del Canale, Viola Baldoni, Antoine Lhosmot, Ulrike Weiter]