Categoria: Interviste

I sindacati rispondono alla Regione Lombardia: «Nella proporzione numerica tra stagisti e dipendenti non si devono contare anche i precari»

La Regione Lombardia sta in queste settimane lavorando su una bozza di regolamento regionale in materia di stage, di cui la Repubblica degli Stagisti ha anticipato i punti centrali lanciando quattro proposte per migliorarla e rendere più efficace il contrasto degli abusi. Anche i sindacati naturalmente sono attenti alla questione, e all'inizio di novembre hanno fatto avere all'assessorato regionale al Lavoro una loro contro-proposta con alcuni emendamenti. Li racconta alla Repubblica degli Stagisti Fulvia Colombini, segretaria regionale della Cgil Lombardia - che è la regione più rappresentativa e importante per l'universo stage, dato che ogni anno qui ha luogo circa un sesto degli stage di tutta Italia (oltre 60mila solo nelle imprese private, a cui ne vanno aggiunti 20-30mila stimati negli enti pubblici e organizzazioni non profit).A che punto è la Regione Lombardia con la bozza di regolamento regionale sul tema tirocini?C’è stato il seminario dell’11 novembre e poi come parti sociali siamo stati chiamati in Regione proprio un paio di settimane fa. L’assessore Rossoni ci ha detto che per mettere a punto la bozza definitiva e "chiudere" bisognerà aspettare la fine di gennaio. Noi siamo un po’ preoccupati: abbiamo mandato una serie di modifiche significative e ci terremmo ad avere un riscontro, per evitare di arrivare a gennaio e trovarci di fronte a un testo da prendere o lasciare. Quali sono gli emendamenti più importanti che avete proposto?Uno sul punto della durata dei tirocini. Rifacendoci alla circolare del ministero del lavoro, noi diciamo che quelli di inserimento / reinserimento lavorativo dovrebbero durare al massimo 6 mesi proroghe comprese, e non 12 come propone l’assessore.  Per quanto riguarda i limiti numerici, l'aspetto che ci preoccupa è che la Regione vorrebbe contare nella proporzione tra stagisti e dipendenti non solo gli assunti a tempo indeterminato, ma tutti quanti: anche i precari, addirittura i collaboratori a progetto che formalmente non sono nemmeno dipendenti, ma lavoratori autonomi! Secondo noi non è legittimo: quindi noi abbiamo riportato questa proporzione ai dipendenti con contratto stabile.Qual è la vostra posizione sui tirocini presso aziende che non hanno nemmeno un dipendente subordinato?Nella sua formulazione la Regione propone la dicitura «da 0 a 5 dipendenti, un tirocinante»: nella nostra controproposta abbiamo invece scritto «fino a 5», perché secondo noi non dovrebbero essere permessi stage in aziende che non abbiano almeno un dipendente.E per quanto riguarda il rimborso spese?Lì abbiamo scritto che va previsto un rimborso a carico delle aziende, «congruo e proporzionale alle spese sostenute dal tirocinante».Non avete però introdotto una cifra.No. Il documento è unitario di Cgil Cisl e Uil: la nostra valutazione, come sindacati, è stata che un documento unitario sarebbe stato più forte di fronte alla Regione. Però questo ha significato anche mediare tra differenti visioni: come Cgil avremmo preferito indicare una cifra minima, ma alla fine non l’abbiamo spuntata.Vi aspettate che la Regione Lombardia allochi dei fondi, così come ha fatto la Toscana, per sostenere i tirocini di qualità?Noi pensiamo che il rimborso spese debba essere a carico dell’azienda ospitante, quindi non chiederemmo alla Regione di impegnarsi nel cofinanziamento. Però invece un aspetto molto importante su cui la Regione dovrebbe investire denaro è quello degli incentivi all'assunzione.Nella vostra bozza non avete emendato nulla rispetto a chi potrà fare da soggetto promotore. Eppure la proposta regionale si discosta significativamente dal dm 142/1998, prevedendo che per svolgere questo ruolo basti essere «istituzioni accreditate ai servizi di istruzione e formazione professionale e ai servizi del lavoro».È vero, nella bozza si "largheggia" rispetto ai criteri più stringenti che sono finora elencati nel decreto 142. Questo perché la Lombardia ha messo in piedi in questi anni, esercitando il principio di sussidiarietà, un sistema di accreditamento. Nel caso specifico si tratta di circa 200 enti accreditati, di cui una quarantina veramente attivi sul territorio. Sul sito della Regione c'è un lungo elenco dei soggetti che hanno un accreditamento: bisogna scremare per individuare quelli che sono accreditati alla formazione professionale, alla formazione continua e ai servizi al lavoro. In ogni caso per fare da soggetto promotore di tirocini bisognerà che un dato ente sia accreditato sia per i servizi di istruzione e formazione sia per i servizi al lavoro.Non siete preoccupati che questa apertura a tanti soggetti promotori possa parcellizzare la situazione e renderla ancor meno controllabile e trasparente? Almeno adesso vi sono una serie di promotori "principali" di stage, le università e i centri per l'impiego. Domani in Lombardia potrebbe non essere più così.La paura c'è. Noi vorremmo almeno che la Regione facesse un rating, per esempio conteggiando gli esiti: se tu mi prendi in carico in un anno 100 persone, a cui fai fare un tirocinio, io vorrei poter sapere quanti di questi sono stati trasformati in rapporto di lavoro. Così il sistema sarebbe trasparente e le persone potrebbero rivolgersi a un soggetto piuttosto che a un altro in base alle sue performance. Finora c'è stata invece molta opacità. Questa nostra proposta in realtà è stata già inserita in un accordo dell'anno scorso sulle politiche attive: la Regione ci aveva detto di sì, ma al momento ancora non si è attrezzata. Come valutate le quattro proposte lanciate dalla Repubblica degli Stagisti alla Regione Lombardia per migliorare il regolamento?Molto positivamente. Siamo com'è naturale d'accordo con la prima proposta, quella del rimborso spese minimo obbligatorio. Condividiamo anche l'idea del database sul sito della Regione: avevamo proposto una cosa analoga chiamandola "cabina di regia" per monitorare tutti questi percorsi. Quindi la vostra idea potrebbe integrare la nostra, prevedendo che le informazioni raccolte vengano messe in rete e consultabili sul web. Come Cgil teniamo molto alla questione della trasparenza.Per quanto riguarda la nostra idea di vietare gli stage per mansioni di troppo basso profilo?Al nostro interno abbiamo una discussione aperta. Alcune categorie, come quella del commercio, ci dicono che effettivamente lo stage può essere utile. Bisognerebbe stabilire però che per queste mansioni molto basse - il barista, la receptionist - lo stage possa durare solo 1-2 mesi. E sarebbe importante poter definire attraverso i contratti nazionali le mansioni dei tirocinanti,  individuando dei profili con durate adeguate alla professionalità.L'ultima proposta della Repubblica degli Stagisti, la più innovativa, è quella di legare il numero massimo di stagisti ospitabili al numero di contratti di apprendistato attivi in una data azienda.In linea teorica l'idea è interessante. Purtroppo però in Lombardia l'anno scorso il contratto di apprendistato ha rappresentato solamente il 2,7% degli accessi al mercato del lavoro. In pratica nessun giovane viene assunto così. Basti pensare che gli apprendistati avviati nel I° trimestre 2011 sono stati solamente 3.800 - a fronte di 33.600 contratti a tempo indeterminato, 66mila contratti a termine, 18mila contratti di collaborazione a progetto, 19mila contratti di somministrazione attivati nello stesso periodo. Insomma il numero di apprendisti in Lombardia è residuale: questa tipologia viene peraltro utilizzata sopratutto nelle imprese di tipo artigianale, e pochissimo nei settori del terziario e industriale. Insomma la Cgil dice: se si riuscisse a far aumentare il numero di apprendisti si potrebbe anche pensare di legarlo al numero degli stagisti, ma allo stato attuale no. Eppure introdurre un vincolo di questo tipo non sarebbe un incentivo shock per le imprese per fare finalmente contratti di apprendistato? Forse sì. Però ci sono anche aziende che decidono di non usare questa tipologia contrattuale. Prima della crisi infatti c'era un numero abbastanza consistente di imprese che dopo una fase di stage e una fase di contratto a termine stabilizzava con l'indeterminato, senza passare per l'apprendistato. Dire "se non hai apprendisti non puoi prendere stagisti" rischierebbe quindi di togliere qualche opportunità a qualcuno. L'importante però è che la proporzione tra dipendenti e tirocinanti non venga stravolta inserendo nel conteggio anche tutti i precari.Cosa faranno la Cgil e gli altri sindacati se la Regione manterrà questo punto, permettendo quindi per ipotesi a un'impresa con pochissimi dipendenti a tempo indeterminato ma decine di collaboratori a termine o parasubordinati di prendere parecchi stagisti alla volta?Noi faremo sicuramente opposizione, spero anche con Cisl e Uil. Comunicheremo in tutti i modi ai giovani che ci siamo battuti per loro, creeremo mobilitazione. Il problema vero è che una volta sentito il nostro parere, nulla vieta a Rossoni di non recepire i nostri emendamenti e procedere di testa sua. Il regolamento viene adottato dall'assessorato e diventa immediatamente operativo. Comunque sia, non ha una validità pari a una legge regionale. Quindi se proprio dovesse essere pessimo, noi potremo lavorare nei prossimi mesi per spingere a introdurre modifiche, o a farne un altro, o a elaborare una vera e propria legge regionale in merito.intervista di Eleonora Voltolinaper saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage in Lombardia, i punti controversi della bozza del regolamento regionale: niente rimborso spese obbligatorio, di nuovo 12 mesi di durata e apertura alle aziende senza dipendenti- La Repubblica degli Stagisti lancia quattro proposte alla Regione Lombardia per regolamentare i tirocini in maniera innovativaE anche:- Nuova normativa, i chiarimenti ufficiali del ministero: «Niente tirocini dopo i master, e limite di 6 mesi di durata da applicare al singolo stage»- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli Stagisti

A Parigi la conferenza internazionale sull'occupazione giovanile promossa dallo European Youth Forum: intervista al vicepresidente Luca Scarpiello

Domani e dopodomani l'European Youth Forum sarà a Parigi, ospitato dall'Oecd - Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, per mettere insieme nuove idee e progetti che ridiano futuro ai giovani. La Repubblica degli Stagisti, che interviene alla conferenza internazionale nel panel "Internview" in cui verrà presentata la Quality Charter of Internships and Apprenticeships, ha intervistato Luca Scarpiello, ventisettenne vicepresidente del Forum e unico italiano nel board, per avere gli ultimi aggiornamenti sullo stato dei lavori in materia di stage e occupazione giovanile.Il tema del lavoro è al centro del seminario di Parigi. Quali sono i principali linee d'azione del Forum su questo fronte?  Innanzitutto lotta alla gerontocrazia: se sei giovane devi avere gli stessi diritti e lo stesso trattamento dei lavoratori più anziani. La riforma del welfare e la riduzione del precariato sono altre due priorità; serve un'armonizzazione delle misure a livello europeo. C'è poi la questione del reddito minimo: già un anno fa il Parlamento europeo ha sollecitato l'approvazione di una direttiva quadro; alcuni Paesi, come l'Italia, sono del tutto sprovvisti di una legge in materia. Il reddito può essere percepito anche sotto forma di servizi, non solo in moneta; ma deve essere slegato dai contributi versati, secondo un principio di solidarietà. Le transizioni poi sono un altro nodo centrale, in particolare quella tra istruzione e mondo del lavoro. Parliamo quindi di stage, che non è una tortura cinese: serve, ma solo se fatto con criterio. Troppo spesso invece è sottoprecariato.L'EYF è appunto promotore della Carta europea dei diritti dello Stagista, sottoscritta dalla Rds. A che punto sono i lavori? Sì, è un'iniziativa del 2008. Allora non c'erano dati, sensibilizzazione al problema, o volontà politica di occuparsene. Dopo due anni di dialogo con le organizzazioni internazionali siamo arrivati a una bozza legislativa condivisa, che attinge al meglio delle singole normative nazionali. Il testo è stato sottoscritto anche dalla Repubblica degli Stagisti, da Generation Praktikum, Précaire anonyme, Génération précaire ed è ora aperto all'adesione dell'intera società civile. A gennaio era prevista la presentazione della base legislativa da parte della Commissione europea, ma l'impegno a occuparsi degli internships è venuto meno proprio in questi giorni; il 15 dicembre incontreremo il commissario Andor per capire le ragioni della scelta e agire di conseguenza. Intanto a Parigi presenteremo ufficialmente la Carta; puntiamo all'adozione anche da parte del Parlamento europeo, con cui siamo già in contatto [sotto, la pagina tramite cui tutti i cittadini possono aderire alla campagna].Può riassumere le linee fondamentali della carta?Intanto distinguiamo tra stage svolti all'interno dei percorsi formativi - in prospettiva, gli unici che per noi dovrebbero esistere - e stage post studi. Prevediamo l'obbligatorietà del rimborso, che non deve essere inferiore al salario minimo, se previsto, e che deve comunque permettere di vivere al di sopra della soglia di povertà relativa. Il progetto formativo deve essere chiaro, flessibile - ad esempio non deve intralciare gli studi - e concordato con lo stagista. E la durata massima deve essere ragionevole, in base agli obiettivi del progetto formativo: se ad esempio sono raggiungibili in tre mesi, non ha senso far durare di più lo stage. In tempi in cui il budget sono più importanti delle persone è scomodo prendere queste posizioni. Ma cerchiamo un cambiamento concreto e non  ci aspettiamo che qualcuno ce lo dia:  cerchiamo di prendercelo, con strumenti democratici. Lei ha stage all'attivo? Io sono uno stagista. Del Parlamento europeo, dal quale ricevo un contributo di circa mille euro al mese. Alla base di quello che facciamo c'è la passione, la voglia di cambiare le cose; non lo facciamo certo per soldi, ma nemmeno ci rimettiamo di nostro: sarebbe contrario ai principi della nostra lotta. Poi ho fatto uno stage nella direzione Comunicazione istituzionale della Regione Puglia, nel 2007. E ancora prima sono stato nell'ufficio Europa della Cgil, per quasi tutto il 2005 - poco più che ventenne. Erano stage non retribuiti, che però mi sono tornati utili nel gestire una responsabilità così grande come la vicepresidenza della più importante organizzazione giovanile europea. A proposito, come ci è arrivato un italiano alla vicepresidenza dello Youth Forum?Faccio politica da quando avevo 17 anni. Ho iniziato nelle organizzazioni studentesche, prima dell'Unione degli studenti e poi dell'Obessu, la rete europea che riunisce tutte le associazioni giovanili nazionali. Mi è sempre piaciuta l'idea di poter incidere sui processi reali. Poi nel 2006 sono entrato nel Forum nazionale dei giovani, allora appena nato, che mi chiese di occuparmi del settore estero - e che adesso è una delle nostre 98 organizzazioni membre. E nel 2009 sono stato candidato nel board dell'European Youth Forum; mi sono occupato di lavoro e politiche sociali - ancora lo faccio, ormai mi chiamano il crisis board man! - e l'anno mi hanno proposto come vicepresidente. In tutto ciò sono anche iscritto a Scienza politiche all'università di Bari, la mia città d'origine. Pensa di tornarci, o comunque di spendere le sue competenze in Italia?Mi piacerebbe, certo, ma non è semplice. Sento che quello che facciamo nel Forum non è riconosciuto in Italia. Il mio futuro è incerto come quello di qualsiasi giovane. Intanto sarò a Bruxelles fino a tutto il 2012, poi sarà il momento di passare il testimone. Vedremo: cammino domandando, come ho imparato a fare in questi anni.Intervista di Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Diritti dello stagista: se non ci pensa lo Stato, dal blog di Eleonora Voltolina sul Fatto quotidiano- Un sondaggio dello European Youth Forum svela il prototipo dello stagista europeo: giovane, fiducioso e squattrinato- Lo Youth Forum: «Gli stage gratuiti e senza prospettive ci sono in tutta Europa, e spesso sono sacrifici inutili»E anche: - Il presidente della Commissione Lavoro della Camera consegna a Mario Monti i risultati dell'indagine sul precariato - l'audizione di Eleonora Voltolina In Italia si guadagna troppo poco: per rendere dignitose le retribuzioni dei giovani bisogna passare dal «minimo sindacale» al «salario minimo»- Parlamento europeo, risoluzione contro i tirocini gratis e le aziende che sfruttano gli stagisti

Stage all'università di Torino, la rappresentante del Rettore: «Vogliamo solo proteggere i giovani. Se la nostra interpretazione è sbagliata, il ministero lo dica»

All'indomani della pubblicazione dell'articolo «Università di Torino, la «telenovela» sulle nuove linee guida super restrittive per la gestione dei tirocini», la redazione della Repubblica degli Stagisti è stata contattata da Adriana Luciano, rappresentante del Rettore per i rapporti con il mondo del lavoro. Docente ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro, 66 anni, Luciano è anche dal 2007 delegata per i servizi di Job placement dell’ateneo. All'interno del Corep - Consorzio per la ricerca e l’educazione permanente - è direttrice del Laboratorio Frame per la ricerca nel campo della formazione permanente e delle politiche del lavoro e  direttrice del master universitario per il management del Welfare locale. Fa inoltre parte dei comitati scientifici di Fondazione Gramsci, Ires Piemonte e Isfol.Eccoci, professoressa.Innanzitutto desidero scusarmi per non essere riuscita a rispondere alla vostra giornalista Giulia Cimpanelli: proprio in quei giorni ero fuori Torino, impegnata in un convegno internazionale. Però ci terrei a fare il punto della situazione rispetto alle problematiche emerse.Prego.Innanzitutto rispetto ai tirocini curriculari. Voi avete notato che la nostra definizione è differente rispetto a quella fornita dal ministero nella circolare del 12 settembre. È vero. Ma voglio rassicurare tutti: con la frase, «saranno considerati tirocini curriculari esclusivamente quelli previsti nel curriculum, salvo eventuali ed ulteriori provvedimenti specifici dei corsi di laurea», intendiamo dire che tutti i corsi di laurea, compresi quelli che in passato non prevedevano crediti formativi universitari - i cfu - dedicati ai tirocini, hanno la possibilità di definire e gestire in autonomia i tirocini curriculari. In virtù di questo chiarimento, ad  esempio, la nostra facoltà di Giurisprudenza che non prevedere cfu per i tirocini sta definendo una nuova normativa per rendere possibili i  curriculari. Quindi gli studenti non avranno problemi e potranno farsi attivare tirocini «curriculari» anche senza una diretta connessione con cfu.Il problema è anche il limite di tempo. Inizialmente sembrava che la vostra università avesse deciso di limitare il «monte stage» massimo a 6 mesi curriculari e 6 mesi extra.E su questo ha già risposto il collega Angelo Saccà: in realtà il «monte» a disposizione di ciascun nostro studente è di 6 mesi curriculari e 6 mesi extracurriculari durante gli studi, più ulteriori 6 mesi extracurriculari utilizzabili dopo la laurea. Diciotto mesi complessivi: ci sembra un tempo congruo. In quanto pubblica istituzione, ogni università ha il dovere di dare interpretazioni corrette e univoche a disposizioni che provengano da altre istituzioni pubbliche. Le nostre linee guida rappresentano un’interpretazione della norma tesa a salvaguardare contemporaneamente l’esigenza dei giovani di cogliere buone opportunità di tirocinio e il dovere dell’ateneo di  impedire abusi, nonché di dare a tutti gli uffici Job placement dell’università la possibilità di adottare comportamenti univoci.Ma perchè limitare a 6 mesi? Né nella legge né nella circolare del ministero tale limite è applicato alla persona: il limite è inteso sempre come applicato al singolo stage.Direi che invece la legge e la circolare non sono affatto chiare in merito. E personalmente propendo per l’ipotesi che l’interpretazione corretta sia di applicare il limite dei 6 mesi alla persona, una volta conseguita la laurea. Perchè altrimenti, scusi, vorrebbe dire che la legge permette a un neolaureato di fare ben dodici o addirittura diciotto mesi di stage post laurea.È un’ipotesi molto remota: implicherebbe che un ragazzo riuscisse a farsi attivare un primo stage di 6 mesi esattamente il giorno della sua laurea, poi un secondo stage esattamente allo scadere del primo, e addirittura un terzo stage a un anno meno un giorno dalla sua laurea. Improbabile forse, ma possibile – stando all’interpretazione dei 6 mesi applicati allo stage e non alla persona. Quindi noi reputiamo che il ministero non volesse dire questo. Naturalmente poi siamo pronti a modificare le nostre linee guida, in caso ci arrivi notizia ufficiale che la volontà del Ministero è diversa. Altre università hanno interpretato la norma e la circolare in maniera molto diversa rispetto a voi.In effetti sappiamo che, in assenza di chiarimenti univoci da parte del ministero, alcuni atenei  hanno interpretato la norma in maniera più estensiva, applicando il vincolo dei sei mesi ad ogni tirocinio post lauream. Difficile dire chi abbia torto o ragione e quale delle due soluzioni tuteli meglio i laureati. In ogni caso, il quesito è stato posto al ministero e, non appena otterremo risposta, ci adegueremo.Quindi le vostre linee guida non cambieranno fino a che il ministero non chiarirà.Esatto. In ogni caso vorrei che fosse chiaro un messaggio: tutte queste nostre decisioni sono state prese con l’unico obiettivo, comune del resto al vostro, di proteggere il più possibile i giovani. Tutti ovviamente auspichiamo che al più presto l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro avvenga attraverso forme contrattuali adeguate, come i contratti di apprendistato. Ma tutti sappiamo anche che a tutt’oggi il tirocinio è lo strumento più usato dalle aziende, e che si tratta di uno strumento di cui spesso si abusa, tanto da produrre vere e proprie distorsioni nel mercato del lavoro. In questo senso bene ha fatto il ministero a intervenire per ridurne la durata e per limitare il periodo entro il quale può essere utilizzato dopo la fine degli studi. Ancor meglio farà se darà tempestivamente risposta ai numerosi quesiti rimasti aperti, compreso quello dei tirocini per i dottori di ricerca e i titolari di master.Intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Università di Torino, la «telenovela» sulle nuove linee guida super restrittive per la gestione dei tirocini- Manovra, la riforma della normativa sugli stage getta gli enti promotori nel caos: e scatta l'anarchia interpretativaE anche:- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli Stagisti- Laureato da più di 12 mesi? Non ci interessi. Il meccanismo perverso che rischia di escludere un'intera generazione dal mercato del lavoro

La responsabile didattica del master della Cattolica: «Aziende selezionate sulla base di criteri di serietà della formazione»

Dopo la segnalazione di Bernardo Bassoli, la Repubblica degli Stagisti ha voluto vederci più chiaro sulle modalità di organizzazione degli stage e gestione dei contatti con le aziende, nell’ambito del master in cinema digitale e produzione televisiva dell’università Cattolica. Per questo ha contattato Benedetta Mincarini, uno dei responsabili per la parte didattica del master.Dottoressa Mincarini, a occuparsi degli stage è lo stesso ufficio stage and placement dell’università?L’organizzazione degli stage avviene in due fasi: nella prima i tutor del master si occupano fattivamente della ricerca, del contatto con le strutture, dell’organizzazione dei colloqui e della preparazione della documentazione finale per l’apertura dello stage. L’ultima fase, quella prettamente amministrativa, che consiste nella firma dei progetti formativi individuali e nell’apertura della copertura assicurativa, è portata avanti dall’ufficio stage and placement dell’università Cattolica in contatto con i tutor, che tengono le fila dei rapporti tra università, struttura ospitante e studente.Nella scelta delle aziende da destinare allo stage, si fa una selezione tenendo conto soprattutto di quelle che potrebbero garantire futuri sbocchi occupazionali agli allievi del master?Le aziende ospitanti sono selezionate sulla base di criteri di serietà della formazione. Si tratta di strutture che hanno da anni relazioni con il nostro master o di docenti del master che sono a capo di gruppi di lavoro o di società che agevolano l'inserimento degli studenti. Ogni anno si aggiungono poi nuove sedi, sulla base di annunci trovati sulla rete, e verificati, o di chiamate dirette ai tutor da parte di produttori e autori.Se una struttura ospitante dichiarasse preventivamente l'assenza di qualsiasi possibilità di assunzione al termine dello stage, mandereste comunque uno stagista a fare questa esperienza?Partendo dal presupposto che quasi tutte le strutture in questi ultimi anni dichiarano scarse possibilità di assunzione, cerchiamo - come detto - di selezionare società serie che almeno diano l'opportunità di chiudere la formazione e di far fare incontri proficui allo studente per lavori futuri. Molto spesso lo studente non si ferma alla prima esperienza ma, attraverso conoscenze fatte durante lo stage, si muove su altre produzioni. Il campo audiovisivo è per costituzione così strutturato: le produzioni - su set piuttosto che televisive - iniziano e finiscono, quindi per forza di cose ci si trova a doversi reinserire in nuove opportunità. Su questo punto siamo sempre molto chiari fin dai colloqui di selezione per il master.Una volta che un ragazzo è idoneo per uno stage, è costretto ad accettarlo? In caso di rifiuto, è il master che ne trova un altro, oppure si è costretti a provvedere autonomamente? I tutor del master organizzano negli ultimi mesi di aula dei colloqui di orientamento e confronto molto dettagliati. Lo studente ha la possibilità di indicare non solo l'ambito d'elezione per il suo stage, ma anche le strutture e i programmi di riferimento. Naturalmente i tutor cercano poi di creare l'incrocio tra questi desiderata e le esigenze del mercato del lavoro. Se la struttura indicata dallo studente in quel momento non è alla ricerca, il tutor ne cercherà un’altra il più vicino possibile all'indicazione ricevuta. Una volta trovata una sede confacente, lo studente viene avvisato della possibilità e si verifica il suo interesse a partecipare ai colloqui. Se l’allievo, dopo i colloqui di selezione, che pur ci sono anche per uno stage, a volte con decine di candidati, viene considerato idoneo può naturalmente rifiutare portando le sue motivazioni, ma gli viene chiesto di fare una ricerca specifica rispetto alle sue esigenze. Chiaro che i tutor proseguono la ricerca, ma a quel punto danno la priorità agli altri studenti che non hanno ancora avuto una possibilità di colloquio.Quindi se un allievo rifiuta un'opportunità di stage viene messo «in coda» ed è costretto ad aspettare che tutti gli altri siano collocati. Secondo lei corretto verso chi fa un master e investe seimila euro? La procedura è questa, ma non da considerarsi una «punizione». Una classe di 20 persone ha le sue dinamiche e bisogna mantenere gli equilibri delicati che la regolano. Se uno studente ha già avuto 2, 3, 4 opportunità di colloquio e addirittura ha aperto uno stage e rifiuta l'opportunità, siamo sicuri che si leveranno le proteste di coloro che sono ancora in attesa. Non possiamo quindi - a meno che, come le dicevo, non si apra casualmente un’opportunità adatta allo studente in questione - continuare a dare nuove prospettive solo a lui/lei. Cerchiamo quindi prima di  far fare colloqui agli altri e aprire altri stage, continuando parallelamente a cercare per lo studente suddetto. Chiediamo anche a lui/lei di aiutarci a trovare una collocazione più adatta, visto che probabilmente non sono stati centrati i suoi desiderata. Il fatto che uno studente paghi 6.000 euro per noi è sacrosanto. Nel senso che portiamo avanti con la massima serietà e il massimo impegno il lavoro didattico. La stessa serietà e impegno sono però richiesti a chi i 6.000 euro li ha pagati e investiti.La fase di apertura degli stage è molto delicata, perché si porta dietro le aspettative e le paure dei ragazzi e delle loro famiglie. Cerchiamo quindi di fare sempre tesoro degli avvenimenti pregressi per poter gestire con la massima cura le delicatezza che possono sorgere e sempre sorgono.Se un ragazzo dichiarasse di non aver fatto nulla durante il suo stage, come reagirebbe l'ufficio master nei confronti della struttura ospitante, responsabile della formazione dello stagista?Abbiamo negli anni selezionato strutture con un approccio formativo serio. Se dovesse verificarsi il caso di scarsa attività durante lo stage, o perché la segnalazione sia arrivata dal masterista o perché trattasi di struttura nuova, cerchiamo di confrontarci con lo studente in itinere, non a fine stage, e di interloquire con il tutor interno alla struttura. Naturalmente, una volta iniziato lo stage, è più il tutor interno alla struttura a «vegliare» sulla buona riuscita dello stage e, a meno di coinvolgimento nostro da parte dello studente, non riusciamo a monitorare tutto quello che accade, o non accade,nel quotidiano.Nel caso in cui un ragazzo non trovi spazio durante il proprio stage, cosa deve fare? Può essere libero di andarsene per cercarne un altro in cui abbia possibilità di lavorare di più?Premettendo il fatto che la ricerca stage comporti sempre anche una verifica di «garanzia formativa» della struttura, nel caso in cui lo studente, per diversi motivi e dopo confronto con i tutor, non sia soddisfatto del suo impiego o grado di impiego, può interrompere lo stage e cercare altra soluzione per la quale sarà aperto un altro progetto formativo.Se un allievo del master volesse interrompere lo stage prima della scadenza ha diritto comunque all'attestato o perde il riconoscimento? In realtà è una questione matematica, nel senso che per chiudere lo stage, e quindi il monte-ore del master, devono essere garantite almeno 250 ore di tirocinio. Circa un mese e mezzo, calcolando otto ore al giorno. Se uno stage di tre mesi dovesse chiudersi prima, ma lo studente avesse comunque già superato le 250 ore, non ci sarebbero problemi. Lo stage si interrompe, ma il master è chiuso. Al contrario, se lo stage si interrompesse subito, o comunque sotto le 250 ore, bisogna aprire un nuovo progetto formativo con altra struttura. Questo regole non sono decise da noi, ma ci sono state indicate dall'università Cattolica, sulla base del decreto legge che regolamenta i tirocini. In tutti i casi, se il motivo di interruzione dello stage fosse grave, saremmo noi a incentivare l'uscita dello studente dalla realtà che sta vivendo, come è capitato, e ad aiutarlo a riposizionarsi.All'interno del cosiddetto placement sono considerati anche gli stage?A questa domanda posso rispondere parzialmente. Un ufficio dell'università si occupa di monitorare il placement. Il nostro monitoraggio interno, che deriva dal contatto continuo con gli ex studenti, non tiene conto dello stage, ma dei contratti, anche se atipici e su produzioni di breve durata, che gli studenti hanno firmato dopo lo stage. Non è semplice sintetizzare una fase molto delicata che è una sorta di bilancino di precisione tra esigenze del mercato e desideri degli studenti, che spesso sono confusi e spaventati davanti al futuro. Poi c'è tutto un discorso sulla tempistica: a volte consigliamo di accettare uno stage che parte subito piuttosto che attendere mesi, nell'incertezza, le risposte di strutture che tardano ad arrivare. Cerchiamo di parlare e consigliare continuamente i nostri studenti, appoggiandoli in questo periodo più che in altri. Spesso è con loro che si trovano soluzioni in un'ottica di trasparenza e dialogo. intervista di Chiara Del PriorePer saperne di più su quest'argomento, leggi anche:- La delusione di un lettore dopo un master: «Perché le aziende prendono stagisti se non ne hanno bisogno?» - L'help di Luca M.: «Con il Wea della Cattolica buoni rimborsi stage solo agli studenti. Ed io, appena laureato, ho dovuto rinunciare ad un'occasione». Ecco spiegato il paradosso- Identikit degli stagisti italiani, ecco i risultati: troppo spesso i tirocini disattendono le aspettative

Sempre più numerosi i giovani che aprono la partita Iva: i consigli dell'esperto Dario Banfi a tutti gli aspiranti freelance

Dalla ricerca «Specula» di Formaper, l'agenzia speciale della camera di commercio di Milano, emerge che un numero sempre più consistente di laureati lombardi a un anno dalla fine degli studi ha aperto una partita Iva. Un dato che fa capire quanto il lavoro autonomo, spontaneo o spintaneo che sia, stia diventando comune per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Dario Banfi, classe 1971, è un freelance espertissimo di partite Iva: non solo perchè in prima persona è giornalista professionista, copywriter e consulente in comunicazione, ma anche perché è attivo nell'associazione Acta (l'associazione Consulenti terziario avanzato) e insieme a Sergio Bologna ha pubblicato pochi mesi fa con Feltrinelli il bel saggio Vita da freelance, sottotitolo «I lavoratori della conoscenza e il loro futuro». Alla vigilia del Jobmeeting di Milano, dove alle 16 Banfi terrà il seminario «Partita Iva, tutto quello che i neolaureati dovrebbero sapere», la Repubblica degli Stagisti l'ha intervistato per chiedergli un'analisi della situazione e sopratutto qualche dritta per i giovani che intraprendono una professione autonoma.Dario Banfi, secondo lei i freelance possono essere considerati una «categoria»?Certamente. Sebbene appartengano a professioni differenti, hanno in comune l’indipendenza e l’assenza di vincoli di subordinazione. Sono lavoratori professionali autonomi, diversi da commercianti e artigiani, o come si dice di “seconda generazione”. Affrontano rischi legati alla discontinuità del lavoro, alla produzione,  alla ricerca di clienti. Hanno in comune l’intraprendenza e lo strumento con cui lavorano, ovvero il sapere. Non hanno capitali o mezzi di produzione, ma si affidano alle conoscenze specialistiche e alla capacità di offrire consulenza per creare innovazione.Qual è la sfida per i freelance del nuovo millennio?Da una parte coalizzarsi, dall’altra mantenere viva la capacità di offrire lavoro di alta professionalità in un mercato che punta a declassare questa categoria, abbassando costi e spostando i rischi d’impresa, togliendo spesso dignità al lavoro autonomo. Queste due priorità sono fortemente sentite con la crisi. C’è comunque una sfida più generale che riguarda i cittadini-lavoratori, ovvero la conquista di alcuni diritti sociali e di protezioni all’interno del nostro sistema di welfare che sono stati sistematicamente negati o rimossi per le nuove generazioni e il nuovo lavoro. Dalle coperture per malattia e infortunio al sostegno al reddito a una buona previdenza.Ritiene che possa essere correttamente inquadrato come freelance anche chi percepisce il 100% del suo reddito, o comunque la parte nettamente prevalente di esso, da un solo committente?Non è il numero dei committenti che definisce il vincolo di autonomia o subordinazione, ma la relazione con il datore di lavoro, l’uso dei mezzi, il vincolo della presenza e altri fattori che insieme definiscono quando un’attività può essere considerata eterodiretta. L’ha specificato più volte la Corte di Cassazione. Ma se ci pensate ogni freelance percepisce il 100% del suo reddito temporaneo da un solo committente ogni volta che lavora per lui. Un webmaster, per esempio, che crea tre siti in un anno, in maniera consecutiva, ogni 4 mesi percepisce il suo reddito da un solo committente. È soltanto il periodo d’imposta annuale che ci fa pensare al rapporto tra reddito e tempo: ma l’autonomia non c’entra con l’anno solare o con il tempo, ma con la natura del lavoro. Usare soltanto il parametro quantitativo per dedurre la dipendenza è un errore.A un freelance possono essere imposti orari e luoghi di lavoro, o queste imposizioni cozzano con l’autonomia tipica del professionista?La Corte di Cassazione lo spiega bene. La subordinazione è l’assoggettamento del prestatore d’opera al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Continuità, durata, modalità di pagamento, regolazione di un orario, imposizione della presenza sono criteri distintivi. È su questi elementi che bisogna tenere alta la testa, se si vuole rimanere indipendenti.Capita sempre più spesso che ai giovani venga proposto-imposto di aprire partita Iva per collaborare da indipendenti anziché con un classico contratto di lavoro subordinato. Quali sono in questi casi i primi consigli da dare?Stay hungry. Non sedersi su situazioni di primo impiego ma sfruttarle al massimo, facendo esperienza, ricordando che cosa consente di fare una partita Iva. A volte non c’è scelta, è vero, ma bisogna sentirsi liberi di cercare altro, trovare altre consulenze, differenti committenti. Avere una partita Iva permette di sperimentare, fare piccoli investimenti in strumenti tecnologici. Una cosa è certa: questa situazione deve essere vissuta come temporanea, lo stesso lavoratore deve cercare di cambiare. L’altra strada è aprire un contenzioso per farsi assumere come dipendenti, ma spesso è un percorso lungo e improduttivo.In quali frangenti secondo lei un giovane NON dovrebbe accettare di aprire una partita Iva?Quando è del tutto evidente che si tratta di un lavoro alle dipendenze, con mansioni strettamente vincolate al sistema di organizzazione interna. Non si lavora con partita Iva come segretaria d’azienda, fattorino o deskista in un giornale. Non dovrebbe poi aprire partita Iva se, avendo possibilità, si può inquadrare il lavoro autonomo in altro modo, risparmiando sui costi di gestione o rispetto a oneri fiscali o contributivi. Oltre alla partita Iva, quali sono gli altri inquadramenti più frequenti per i freelance e come funzionano?Sono i contratti a progetto, la cessione del diritto d’autore e le collaborazioni con ritenuta d’acconto. I primi richiedono un accordo scritto che descriva - e presupponga realmente - un progetto, un compenso e una durata. La seconda formula offre un vantaggio fiscale, ma riguarda le opere cedute secondo le norme che regolano il diritto d’autore come per esempio libri, articoli, traduzioni ecc. Il lavoro occasionale, invece, attiene i compensi che non superano i 5mila euro all’anno da parte di un medesimo committente. Nel libro si fa un accenno a una cifra-chiave, 27 euro, indicata come il limite minimo sotto al quale nessun freelance dovrebbe farsi pagare per nessuna prestazione. Come inquadra il problema della retribuzione dei freelance, spesso troppo scarsa – specie per i giovani?La capacità di quotare il lavoro autonomo si acquisisce con l’esperienza o secondo alcune regole che ho descritto in un documento disponibile gratuitamente sul sito di Acta. La scarsità dei compensi dipende da molti fattori: sul fronte della domanda, l’errata comprensione del valore e dei costi del lavoro autonomo, a cui si somma la sfrontatezza di chi cerca di fare cassa su chi è senza tutele; sul fronte dell’offerta l’eccessiva disponibilità di manodopera - si pensi al giornalisti che accettano di farsi pagare solo 4-5 euro per i loro articoli. Questo contrasta col principio che dovrebbe essere alla base del lavoro freelance: non svendere mai il proprio lavoro! Quanto alla cifra chiave di 27 euro all’ora è il ricalcolo del costo orario di un lavoratore autonomo prendendo come parametro i 1.000 euro al mese indicati da Veltroni, in passato, come stipendio minimo contro la precarietà. In realtà, però, soltanto alcuni freelance vendono prestazioni su base oraria. Molto più spesso si usano misure forfetarie, che prescindono da quantità o unità e guardano unicamente al valore dell’opera e ai vantaggi offerti al committente. A livello previdenziale c’è grande preoccupazione per non solo per i lavoratori precari ma anche per gli autonomi o «finti autonomi». Un trentenne che oggi lavora a partita Iva nel 2040 porterà a casa una pensione dignitosa?No. Con l’attuale sistema contributivo avrà magre consolazioni. È indispensabile introdurre correttivi come quelli ipotizzati, per esempio, nel disegno di legge Cazzola 1299/2008 che giace nel dimenticatoio. È indispensabile eliminare sia le situazioni di privilegio sia di apartheid, come le “Gestioni Separate”, tutte, non soltanto quella INPS. Occorre recuperare la finalità solidaristica della previdenza, prevedendo una pensione base legata al numero degli anni lavorati, indipendentemente dai contributi versati e dalla tipologia di lavoro svolto.Lei ha quarant’anni e ha scritto Vita da freelance insieme a un grande esperto di lavoro, Sergio Bologna, che ha quasi il doppio della sua età. C’è una differenza «generazionale» nel percepire e concepire questo tema? No. La cosa più interessante del lavoro svolto con Sergio Bologna è la sintonia di vedute. Abbiamo una convinzione: da soli, giovani, quarantenni o in età adulta, non importa, non ce la possiamo fare. Dobbiamo unire le forze, coalizzarci. La nostra alleanza nella scrittura è una buona metafora, che comunque da anni abbiamo rinsaldato nella partecipazione attiva ad ACTA, “sindacato” dei freelance. Non ci siamo divisi i compiti, ma mescolato la sensibilità su temi diversi. Sergio partendo dalla sua grande cultura storico-politica, per me dal mondo delle tecnologie e dalle problematiche di welfare, diritto e fisco. Alcuni capitoli sono scritti a quattro mani, senza fatica. Non è difficile intendersi tra freelance. intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- L'apartheid del lavoro italiano al vaglio della Commissione europea: le ragioni di una denuncia- Lo scandalo dei giornalisti pagati cinquanta centesimi a pezzo. Il presidente degli editori a Firenze: «La Fieg non dà sanzioni. E poi, cos’è un pezzo?»

Laureati e diplomati da più di 12 mesi, in Campania niente più tirocini. Il responsabile del centro per l'impiego di Napoli spiega perché

Il 13 agosto è stato approvato il decreto legge 138 che all’articolo 11 introduceva una limitazione nell’uso dei tirocini formativi, dedicandoli esclusivamente ai neodiplomati e neolaureati da non più di un anno. Poi a metà settembre è arrivata una circolare interpretativa del Ministero del Lavoro che per un attimo ha tranquillizzato molti laureati «extra 12 mesi», perché specificava che l’articolo 11 non riguardava disoccupati, inoccupati, immigrati e altri soggetti svantaggiati. Tutto risolto quindi? Non proprio. Un lettore della Repubblica degli Stagisti, con il nickname “agenziaformativa” ha segnalato nel forum il caso della regione Campania dove i centri per l’impiego hanno deciso di continuare nell’interpretazione ristretta del decreto, negando gli stage agli inoccupati e disoccupati. Il perché lo spiega alla Repubblica degli Stagisti Giannandrea Trombino, 42enne funzionario responsabile del cpi di Napoli Fuorigrotta, dopo aver guidato quello di Napoli Centro e quello di Scampia.Dottor Trombino, a seguito dell’approvazione del decreto 138 e alla successiva circolare ministeriale  del 12 settembre il centro per l’impiego di Napoli ha sospeso l’attivazione di tirocini per i disoccupati e inoccupati, quelli che la circolare definisce «tirocini di reinserimento – inserimento al lavoro»?Innanzitutto diciamo che la circolare ha dato adito a molti dubbi anche tra noi operatori. I miei colleghi ed io abbiamo interpretato il testo giungendo alla conclusione che, in mancanza di una normativa regionale specifica che stabilisca diversamente, si possono al momento stipulare i tirocini con soggetti che stanno uscendo dal mondo dell’istruzione, sia scolastica sia universitaria, quindi con diplomati e laureati da non più di 12 mesi. Come mai questa interpretazione restrittiva?  Penso che l’obiettivo fosse quello di evitare gli abusi del tirocinio che sono stati fatti negli anni passati, e di promuovere l’utilizzo di contratti regolari, tra cui il contratto di Apprendistato, anch’esso recentemente riformato. In questo senso, il limite a neodiplomati e neolaureati posto dal decreto, voleva evitare probabilmente l’utilizzo del tirocinio per mascherare veri e propri rapporti di lavoro - senza diritti contrattuali, retribuzione e previdenza - come è successo troppo spesso in questi ultimi anni. Se i tirocini fossero aperti a tutti i disoccupati e inoccupati allora ci sarebbero anche i quarantenni: mentre il decreto voleva evitare proprio questo.Quindi non c’è nessuna possibilità per i laureati da più di 12 mesi?Il decreto 138 e la successiva circolare ministeriale pongono dei “paletti” base in materia di tirocini, limitandolo ai soggetti neo diplomati/laureati da non più di dodici mesi, ma ribadiscono la competenza esclusiva delle Regioni in materia. I “paletti” servono  anche perchè non tutte le Regioni hanno già adottato proprie norme organiche in materia. Le Regioni che si sono già dotate di una propria normativa, o che lo faranno, potranno chiaramente estendere la platea dei tirocinanti ad ulteriori fasce di soggetti, oltre ai neo diplomati/laureati e alle altre categorie svantaggiate menzionate nel decreto 138. Analogamente, Regioni, Ministeri e Province potrebbero varare specifiche iniziative di inserimento-reinserimento rivolti ad ulteriori categorie di soggetti svantaggiati. In Campania, ad esempio, abbiamo avuto diversi progetti con tirocini aziendali rivolti a categorie differenti e target specifici negli ultimi anni.Quali sono questi progetti e chi coinvolgono?Ad esempio la Regione avviò un progetto che aveva come target gli indultati [coloro che escono prima dal carcere per effetto dell’indulto, ndr]. Nella città di Napoli abbiamo poi il progetto Quadrifoglio i cui destinatari sono i giovani tra 18 e 29 anni. Quando si attiva un tirocinio, il cpi chiede ai soggetti ospitanti delle garanzie relative all’inserimento lavorativo successivo? E nel caso in cui il soggetto ospitante non sia in grado di fornirle, il tirocinio viene ugualmente attivato? Non possiamo normalmente chiedere alcuna garanzia, perchè il tirocinio non è un rapporto di lavoro e le parti normalmente con esso non assumono impegni successivi allo stage; bisogna ricordarsi infatti che si tratta di formazione. Ci sono però dei progetti particolari, come ad esempio il progetto IN.LA, sempre della Provincia di Napoli, in cui le aziende che aderiscono al bando, ricevono contributi per ospitare un tirocinante in azienda, e si impegnano, al termine del tirocinio, a stipulare un contratto di lavoro di almeno 12 mesi.Ai giovani rimasti fuori dall’applicazione del decreto non resta quindi alcuna possibilità?Non del tutto: come detto prima, domani mattina la Regione o la Provincia potrebbero intervenire in maniera diversa, con una normativa regionale più elastica, o con progetti e misure rivolti a target diversi da quelli di cui parla il decreto 138. intervista di Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Tirocini, in Campania i centri per l'impiego ignorano la circolare e li attivano solo entro i 12 mesi dal diploma o dalla laurea.- Crollo degli stage in tutta la Provincia di Salerno: Immacolata Carillo racconta i tre mesi dopo il decreto legge 138- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli Stagisti

Crollo degli stage in tutta la Provincia di Salerno: Immacolata Carillo racconta i tre mesi dopo il decreto legge 138

Un calo vertiginoso dei tirocini attivati in tutta la Provincia di Salerno dall’11 agosto in poi, data dell’approvazione del decreto legge 138 che all’articolo 11 ha regolamentato l’uso degli stage: se fino a quel giorno erano stati 102, da allora sono stati attivati solo 5 tirocini. La colpa di questo blocco pressoché totale sta nell’interpretazione ristretta che i centri per l’impiego della provincia e di quasi tutta la regione hanno scelto di applicare al decreto. Oggi quindi i giovani campani disoccupati e inoccupati laureati o diplomati da più di 12 mesi vedono rifiutarsi ogni richiesta di attivazione di stage. La contestazione è arrivata alla Repubblica degli Stagisti da un lettore che con il nickname “agenziaformativa” ha denunciato sul forum quello che stava succedendo nella regione Campania. Così la Repubblica degli Stagisti ha intervistato Immacolata Carillo, 50 anni, referente per il settore tirocini dell’Ufficio Provinciale dei Servizi per l’Impiego (UPSI) che da 21 anni si occupa del mercato del lavoro, prima al Ministero e poi dal 1999 alla Provincia di Salerno dove dal 2001 cura il settore dei tirocini.Dottoressa Carillo, il tirocinio è utile solo ai neodiplomati e ai neolaureati?Non direi. Le faccio un esempio. Recentemente una giovane laureata, sui 33 anni, già con altre esperienze di lavoro, si era licenziata. Un’azienda molto importante era interessata al suo profilo ma non voleva farle subito un contratto perché il feedback caratteriale della donna ricevuto nella sua ultima posizione lavorativa non era proprio positivo. L’azienda era quindi titubante e ha preferito prenderla in prova per uno stage di sei mesi per vedere se si integrava nel contesto lavorativo. Stage a cui ha fatto seguire immediatamente un’assunzione a tempo indeterminato. Il tirocinio può essere, quindi, uno strumento di selezione del personale da parte delle aziende?Nella situazione attuale sia nazionale e ancora più locale del mercato del lavoro il tirocinio è sicuramente uno di quegli strumenti che consentono alla persona di fare esperienza e soprattutto mostrarsi per quello che è. Ricordiamo che l’azienda non investe a tempo perso, quindi preferisce assumere persone che ha già conosciuto, non una persona che ha un bel curriculum scritto ma non è confacente alla mission dell’azienda. A seguito dell’approvazione del decreto 138 e alla successiva circolare del 12 settembre del ministero del Lavoro, l’ufficio provinciale dei servizi per l’impiego di Salerno ha sospeso l’attivazione di tirocini per i disoccupati e inoccupati, quelli che la circolare definisce “tirocini di reinserimento – inserimento al lavoro”?La circolare ha creato non poca confusione. Noi come ufficio provinciale dei servizi per l’impiego nel periodo di reggenza della validità del decreto legge abbiamo attivato pochi tirocini e solo per neolaureati e neodiplomati da non più di 12 mesi, prendendo a target di riferimento quanto indicato dalla norma. Può essere d’aiuto al nostro ufficio, infatti la stiamo esaminando, la faq pubblicata su clicklavoro laddove dice che in assenza di regolamentazione regionale, i tirocini extra curriculari di formazione e orientamento in favore di disoccupati e inoccupati possono essere attivati dalle Province e, come espressamente previsto dall’art.11 comma 2, D.L. n.138/2011, trova applicazione l’art.18, L.n. 196/1997 e il relativo regolamento di attuazione (D.M. n. 142/1998). E qual è la regolamentazione regionale in Campania?La Regione ha una normativa, la legge 14 del 2009 che dà indirizzi a proposito delle misure di inserimento nel mercato del lavoro fra cui i tirocini e in aggiunta l’anno scorso è stato approvato il regolamento 9/2010 che dall’articolo 25 disciplina i tirocini. Il problema è che queste norme disciplinano i tirocini solo per quanto riguarda i soggetti che li possono promuovere e il numero di tirocinanti che possono entrare in azienda. Ma non dicono nulla sui destinatari del tirocinio, così, a mio avviso, ci si deve ricondurre alla norma nazionale. Il regolamento è certamente a metà ed è per questo che alcune associazioni datoriali hanno fatto degli interpelli ma al momento non hanno avuto ancora risposta. La circolare chiarificatrice comunque parlava di tirocini di reinserimento e inserimento al lavoro, allora perché non fare niente?Ma la circolare non è stata chiara. Credo ci siano degli elementi per poterli attivare, ma al momento abbiamo dovuto bloccare tutte le richieste di tirocinio di questo tipo. Tutte quelle attivate anche solo fino al giorno prima del decreto sono ancora in corso ma gli altri li abbiamo dovuti bloccare. E poi nella circolare per i tirocini di inserimento e reinserimento al lavoro si scrive che “la regolamentazione rimane interamente affidata alle Regioni”. Regolamentazione che ripeto, noi in Campania abbiamo, ma non disciplina i destinatari dei tirocini.L’ufficio provinciale dei servizi per l’impiego quindi non attiva e non attiverà più tirocini per disoccupati e inoccupati?La finalità di un servizio per l’impiego è di promuovere azioni che favoriscano l’inserimento nel mercato del lavoro nei confronti di disoccupati e inoccupati non per forza neolaureati o neodiplomati. Al momento abbiamo delle richieste di attivazione di tirocinio per disoccupati e sarà compito del responsabile, valutando la legge ed eventuali nuove normative regionali, valutare cosa fare.E da parte della Regione qualcuno si sta muovendo per cercare di risolvere questo problema?Al momento non abbiamo avuto ancora nessun tipo di indicazione. La Regione è stata interpellata dall’associazione dei consulenti e dalle associazioni datoriali perché anche loro trovano nel tirocinio uno strumento valido per la selezione delle persone. Si potrebbe per una logica intuire – ed è il pensiero di molte associazioni che operano in Campania - che in assenza di una disciplina regionale nel regolamento che individua i destinatari ci si debba rifare per forza ai destinatari indicati dalla prima norma cioè dall’articolo 18 e dal DM 142/98. Altrimenti ci sarebbero solo neodiplomati e neolaureati e sarebbe una tragedia.intervista di Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli Stagisti- Tirocini: in Campania i centri per l'impiego ignorano la circolare e li attivano solo entro i 12 mesi dal diploma o dalla laurea.- Laureati e diplomati da più di 12 mesi, in Campania niente più tirocini. Il responsabile del centro per l'impiego di Napoli spiega perché

Pietro Ichino: «Bisogna rompere i tabù e introdurre anche in Italia il salario minimo»

Come contrastare il lavoro sottopagato o gratuito, i «free jobs» (da cui anche il movimento twitter #nofreejobs) proposti in massima parte ai giovani, in totale spregio dell'articolo 36 della nostra Costituzione? La Repubblica degli Stagisti l'ha chiesto a Pietro Ichino, giuslavorista e senatore PD nonché promotore da anni di un rinnovamento del diritto del lavoro italiano denominato «progetto flexsecurity». Il disegno di legge mira a sfoltire la giungla dei troppi contratti precari garantendo a ciascun nuovo assunto una forma contrattuale stabile e a tempo indeterminato, rinunciando alle "vecchie" garanzie di illicenziabilità a fronte però di una stabilità immediata e a un congruo risarcimento economico in caso di risoluzione del contratto. Di Ichino è appena uscito nelle librerie l'ultimo libro, Inchiesta sul lavoro (Mondadori), sottotitolo «Perché non dobbiamo avere paura di una grande riforma».  Professore, come mai secondo lei l'Italia è uno dei pochi Paesi europei a non essersi dotato di un salario minimo? Due terzi dei Paesi UE ne hanno uno, noi siamo nel terzo che invece non ce l'ha.Perché ha prevalso l’orientamento giurisprudenziale tendente ad attribuire efficacia erga omnes ai minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi nazionali. Non ci si è resi conto, però, che la funzione del minimum wage è diversa da quella dei minimi tabellari. Mentre questi costituiscono degli standard sindacali di categoria, il salario minimo costituisce un minimo universale, al di sotto del quale non si può andare neanche nei rapporti di lavoro marginali, atipici, occasionali, o comunque esclusi dal campo di applicazione dei contratti collettivi.Salario minimo e reddito minimo sono due cose diverse: la prima si riferisce alla soglia di retribuzione sotto la quale nessun datore di lavoro per nessun mestiere può scendere. La seconda invece implica uno stipendio garantito dallo Stato a tutti i cittadini, per far sì che nessuno rimanga completamente scoperto. Perché sostenere un salario minimo e non il reddito minimo?Appunto, perché sono due cose diverse. La prima non costa nulla all’erario: è soltanto uno standard inderogabile imposto a tutti i rapporti di lavoro che si costituiscono, ma operante soltanto se e dove essi si costituiscono. La seconda implica una spesa ingente, che le finanze pubbliche possono non essere in grado di permettersi; inoltre perché questa sia praticabile, occorre che si attivi in modo efficace la capacità degli erogatori di controllare i requisiti, per impedire che il reddito garantito produca una riduzione della propensione delle persone a entrare nel mercato del lavoro.In Inghilterra il minimum wage ammonta a 6,08 sterline, poco meno di sette euro l’ora; in Francia lo smic a 9 euro netti. Negli Stati Uniti è in vigore uno standard orario di 7,25 dollari, al cambio attuale pari a 5,3 euro. Quali sono gli elementi da considerare nel fissare il salario minimo di un Paese?Il salario minimo, se non vuole creare disoccupazione o lavoro nero, non deve tendere a forzare verso l’alto i livelli retributivi, ma soltanto a correggere le distorsioni marginali, dovute per lo più a fenomeni di «monopsonio dinamico», cioè difetti di informazione sulle occasioni di lavoro disponibili, difficoltà di accesso ai servizi di formazione necessari, difetti di mobilità geografica.Parlando concretamente di soldi: secondo lei a quanto dovrebbe ammontare il salario minimo in Italia?In Italia, se il salario minimo fosse destinato a essere lo stesso su tutto il territorio nazionale, esso dovrebbe essere più vicino a quello statunitense che a quello francese. In ogni caso dovrebbe essere espresso in termini di retribuzione oraria.I sindacati italiani sono tendenzialmente contrari all'adozione di questa misura, perché essa ridurrebbe il potere che da decenni è dato loro dalla stipulazione dei contratti nazionali di categoria?I sindacati temono che il salario minimo, dovendo essere determinato secondo i criteri di cui si è detto e quindi dovendo collocarsi a un livello inferiore rispetto ai minimi tabellari attuali, possa in qualche modo condizionare al ribasso anche la contrattazione nazionale di settore. Per la peculiarità italiana, si potrebbe pensare a un salario minimo che coprisse solo tutti i rapporti individuali non riconducibili a contratti nazionali? Credo che sia proprio questa la soluzione a cui pensano tutti coloro che stanno lavorando a questa nuova misura di politica del lavoro.Un altro problema è che vi sono mestieri per i quali il lavoro non può essere conteggiato a ore, bensì a prestazione: si pensi sopratutto ai freelance professionisti, come un giornalista che scrive un articolo. In questi casi come si potrebbe intervenire? Sarebbe pensabile un salario minimo di prestazione accanto a un salario minimo orario?In alcuni ordinamenti la norma istitutiva del salario minimo precisa che, in questi casi, si deve fare riferimento al tempo ordinariamente necessario per la produzione della singola prestazione non divisibile e non misurabile in termini di tempo.Considerando però che in Italia la situazione occupazionale da un lato e il costo della vita dall'altro sono molto diversi da territorio a territorio, e soprattutto da nord a sud, sarebbe pensabile un salario minimo differenziato? Logica vuole che il salario minimo garantisca un potere d’acquisto reale e non un livello nominale di retribuzione. Questo imporrebbe che il salario minimo fosse determinato anche in considerazione del costo della vita rilevato al livello provinciale o regionale. Ne conseguirebbe una possibile variazione del salario minimo nella misura del 20 o anche 25 per cento tra le regioni più ricche e quelle più povere del nostro Paese. So che questo discorso è tabù per la nostra cultura sindacale; ma a furia di tabù stiamo condannando il nostro Mezzogiorno al lavoro nero e al sottosviluppo.Un salario minimo di mille euro netti per un lavoro full time era tra le proposte contenute nel programma del Partito democratico alle elezioni politiche del 2008. Al punto 6, «Stato sociale: più eguaglianza e più sostegno alla famiglia, per crescere meglio», si leggeva la promessa di una «sperimentazione di un compenso minimo legale, 1000-1100 euro netti mensili, per i precari». Quale pensa che sia al momento la posizione del PD al riguardo?Non mi risulta che la posizione ufficiale del PD su questo punto sia mai mutata.Introdurre un salario minimo sarebbe utile anche senza l'approvazione in contemporanea di una riforma del diritto del lavoro nel senso del contratto unico, o le due misure sono inscindibili?Più che di «contratto unico» io preferisco parlare di «diritto del lavoro unico». La risposta alla domanda, comunque, è sì: il salario minimo può e deve costituire uno degli strumenti di protezione universale, nel momento in cui si decide di voltar pagina rispetto alla situazione attuale di apartheid nel mercato del lavoro, fra protetti e non protetti. Questo è anche l’intendimento del mio progetto di riunificazione del diritto del lavoro, contenuto nel disegno di legge n. 1873/2009, dove infatti è prevista anche l’introduzione del salario minimo.Intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- L'apartheid del lavoro italiano al vaglio della Commissione europea: le ragioni di una denuncia- In Italia si guadagna troppo poco: per rendere dignitose le retribuzioni dei giovani bisogna passare dal «minimo sindacale» al «salario minimo»E anche:- Senza soldi non ci sono indipendenza, libertà, dignità per i giovani: guai a confondere il lavoro col volontariato- In tutta Italia manifestazioni a difesa della Costituzione. Senza dimenticare l'articolo 36, che sancisce il diritto a retribuzioni dignitose

Antonio De Napoli convocato oggi da Mario Monti in rappresentanza dei giovani italiani: «Gli porteremo l'appello di Voltolina e Rosina per chiamare anche le nuove generazioni al governo»

Antonio De Napoli, classe 1984, salirà oggi a Palazzo Giustiniani, convocato dal premier incaricato Mario Monti in rappresentanza dei giovani. De Napoli, laureato alla Luiss di Roma (di cui per due anni è stato anche rappresentante degli studenti nel Consiglio d'amministrazione), si è fatto le ossa nel Movimento Studenti Cattolici, sedendo nell'esecutivo nazionale tra il 2006 e il 2008. Dall'aprile del 2009 è portavoce del FNG, Forum Nazionale dei Giovani - piattaforma riconosciuta nel 2004 che coordina quasi cento organizzazioni giovanili italiane garantendo una rappresentanza a più o meno tre milioni e mezzo di giovani. Porterà anche al capo dell'esecutivo incaricato una copia dell'appello di Eleonora Voltolina e Alessandro Rosina per un governo al 50% non composto da maschi anziani.La Repubblica degli Stagisti lo ha intercettato prima che incontrasse Monti, per avere qualche anticipazione sui temi che porterà all'attenzione del prossimo presidente del consiglio.Quali sono i punti che pensi di presentare al prof. Monti?Gli parleremo delle nostre preoccupazioni e della nostra voglia di cambiamento. Con le proposte che abbiamo elaborato in questi anni. Al centro metteremo il ricambio generazionale. Gli altri temi che toccheremo sono occupazione giovanile e "misurabilità qualitativa" degli stage, accesso al credito, politiche familiari e sostegno allo sviluppo demografico, una agenda sostenibile, una fiscalità di vantaggio per le imprese che assumono, attenzione al Mezzogiorno Italiano, i tagli al servizio civile.Se ne dovessi scegliere uno solo, quale ritieni in assoluto prioritario?L'accesso al credito.Eleonora Voltolina e Alessandro Rosina hanno firmato un appello a Monti per formare un governa di cui almeno 50% non siano maschi anziani. Condividi questo appello? Qual è la tua posizione in merito?Basti pensare che in Danimarca c'è un ministro di 26 anni. I giovani italiani, nel silenzio dei media, hanno competenze e coraggio da vendere. Stando al totoministri l'età media è altissima: dalla società civile e dal terzo settore possono uscire degli ottimi nomi. Per capire le questioni bisogna viverle sulla propria pelle. Cosa ne sa una persona di 70 anni del sentimento di preoccupazione che abbiamo noi ragazzi di fronte a una non pensione e alla scadenza del suo contratto a progetto?Quali sono le posizioni del Forum sulle politiche del lavoro per i giovani?Sosteniamo la vostra battaglia sugli stage. Stiamo portando avanti una riflessione sulla previdenza complementare, strumento che serve poco a chi ha un contratto a progetto. SIamo per una fiscalità di vantaggio per le imprese che assumono giovani garantendo stabilità. Se la flessibilità diventa precariato, in un sistema con pochi ammortizzatori sociali, siamo bloccati. E poi c'è il sistema orientamento e formazione professionale sul quale è urgente essere omogenei fra Nord e Sud.La Repubblica degli Stagisti porta avanti una riflessione sul salario minimo: cosa ne pensi? sarebbe il caso inserirlo anche in Italia?Il salario minimo è una strada. Ma la madre di tutte le questioni è l'accesso al credito: per avere diritto a vivere la nostra vita abbiamo bisogno di un nuovo sistema di accesso al credito. Oggi è impensabile che per comprare casa un ragazzo che guadagna più di suo padre necessiti comunque della firma dei genitori per accedere ad un mutuo. Questa è la metafora di una Italia paralizzata. Se non la sblocchiamo noi ora, adesso, non la sblocca più nessuno.Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- L'appello a Mario Monti: nel prossimo governo devono esserci anche giovani e donne- Lo Youth Forum: «Gli stage gratuiti e senza prospettive ci sono in tutta Europa, e spesso sono sacrifici inutili»E anche: - Paolo Esposito: «Noi giovani dobbiamo salire sul palcoscenico». A Napoli chi vuole un'Italia diversa è invitato al barcamp "Giù al nord"- Io voto fuori sede: quando la partecipazione politica passa per la Rete

L'ex ministro Cesare Damiano: «Priorità alla totalizzazione dei contributi per lavoratori precari»

«La questione dei contributi silenti è particolarmente delicata ed è determinante per l’applicazione di giuste regole pensionistiche. Ritengo che sia necessario affrontare prima di tutto la questione delle totalizzazioni: deve essere un impegno prioritario. Non è giusto che i giovani siano doppiamente penalizzati dal sistema contributivo, che calcola la prestazione pensionistica sulla base dei contributi dell’intera vita lavorativa, mentre al tempo stesso rischia di escluderne una parte consistente». È quanto afferma Cesare Damiano, capogruppo Pd in commissione lavoro, già ministro del Lavoro nel secondo governo Prodi.Onorevole, in cosa consiste in sintesi la vostra proposta per rivedere il meccanismo della totalizzazione?La nostra proposta è di abbassare sino ad un giorno l’attuale soglia dei tre anni al di sotto della quale i contributi non possono essere totalizzati. Io stesso avevo ridotto tale soglia da sei a tre anni quando ero ministro; ora è il momento di fare un passo in più.Perché la soglia non era stata eliminata del tutto in prima battuta?Il problema è che un provvedimento simile rappresenta un costo. C’è una regola che stabilisce che qualsiasi avanzo va a copertura del debito, e questo vale anche per l’Inps. Redistribuire l’avanzo sotto forma di pensione viene computato come un costo. All’epoca ne abbiamo sostenuto una parte. Ora l’innovazione della normativa dovrà superare questo scoglio.Oggi l’attenzione principale del governo è rivolta ai tagli sulle spese e attenzione al deficit. Un cattivo tempismo per la proposta di legge?Come Partito Democratico in commissione lavoro siamo riusciti a portare la questione all’ordine del giorno. Chiaramente non è detto che la proposta verrà approvata. Ma un passetto in avanti l’abbiamo fatto.Cosa pensa delle altre proposte di legge sui contributi silenti?Distinguerei il discorso sulla totalizzazione da quello più ampio e molto più complesso dei contributi silenti. Il rischio è che accorpando le due questioni l’intera proposta di legge venga bocciata. Meglio procedere per gradi piuttosto che vedere la proposta respinta in toto. Questa è la strada che abbiamo deciso di intraprendere. di Andrea Curiat   Per saperne di più, leggi anche: - Precari sottopagati oggi, anziani sottopensionati domani? Ecco come stanno veramente le cose: meglio prepararsi al peggio E anche:- Nelle pagine del Rapporto sullo stato sociale un allarme sulla questione giovanile: e tra 15 anni la previdenza sarà al collasso;- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta;- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?