Categoria: Approfondimenti

Normativa sui tirocini, le novità da Liguria, Veneto e provincia di Trento

Congrua indennità per gli stagisti? Il governo la promette, ma per ora le Regioni sembrano fare orecchie da mercante. Con l'eccezione di Toscana ed Abruzzo, infatti, tutte le altre faticano ad intervenire in maniera decisa sui tirocini. La Repubblica degli Stagisti si è già occupata nel dettaglio degli indirizzi emessi tre mesi fa dalla giunta regionale della Lombardia, la cui normativa è stata ridefinita in base - ma non solo - a quanto previsto dalla legge 148/2011 e dalla circolare del ministero del lavoro 24/2011. Negli ultimi mesi si sono aggiunti altri tre provvedimenti emanati da Liguria, Veneto e dalla provincia autonoma di Trento che definiscono in modo organico la durata, il numero dei tirocinanti per unità produttiva, gli obblighi del datore di lavoro e le modalità di monitoraggio dell’esperienza formativa, stabilendo nel dettaglio un insieme di punti che possano garantire la qualità della formazione del tirocinante. La regione Liguria si è espressa a metà maggio (legge regionale 555/2012) approvando la «Disciplina regionale in materia di tirocini formativi e di orientamento, tirocini di inserimento e reinserimento lavorativo e tirocini estivi». Già dal titolo si evince che la Liguria ha voluto recepire la classificazione degli stage introdotta dalla gestione Sacconi del ministero del Lavoro, poco prima che cadesse il governo Berlusconi. In particolare la prima tipologia di stage - la più diffusa - definita di «orientamento» è indirizzata ai diplomati e laureati che non abbiano conseguito il titolo di studio da più di 12 mesi; ci sono poi i tirocini di «inserimento e reinserimento lavorativo» che possono essere svolti da soggetti inoccupati o disoccupati, senza limiti di età e infine i cosiddetti «tirocini estivi» che possono essere svolti esclusivamente nel periodo di sospensione previsto dal calendario scolastico regionale.Ad esclusione dei tirocini curriculari e dei periodi di praticantato per l’accesso alle professioni per cui è richiesta l’iscrizione ad un ordine, per tutte le altre tipologie di stage la giunta ligure ha previsto, all’articolo 13, in modo generico che «I soggetti promotori o i datori di lavoro ospitanti riconoscono di norma in favore dei tirocinanti un’indennità di partecipazione», al finanziamento della quale può contribuire anche la Regione con fondi propri. Nessuna obbligatorietà però, e nessun divieto di prevedere stage gratuiti. La durata va da un minimo di due mesi ad un massimo di sei mesi per i tirocini formativi e di orientamento e addirittura fino a dodici mesi per gli stage di inserimento e reinserimento lavorativo. Per quanto riguarda il numero di stagisti che ogni azienda può ospitare, per imprese che hanno in forza fino a sei lavoratori a tempo indeterminato ci può essere solo uno stagista; da sette a diciannove dipendenti sono previsti massimo due stagisti e oltre i lavoratori i tirocinanti non devono essere più del 10% del personale in servizio. Compiti delle aziende restano la comunicazione obbligatoria di assunzione e cessazione dello stagista, nonché l’assicurazione Inail e la scelta di un ente promotore – anche privato - che certifichi la fattibilità del tirocinio e attesti la nomina di un tutor aziendale incaricato di seguire il giovane nello svolgimento del progetto formativo.E anche la direttiva 337/2012 del 6 marzo 2012 emanata dalla regione Veneto e in vigore da fine marzo, pur sforzandosi di definire un quadro normativo di riferimento più specifico per enti promotori e soggetti interessati, non prevede alcuna forma di compenso per i tirocinanti. Tuttavia l’obiettivo di scongiurare l’ambiguità degli stage extracurriculari rispetto ad un normale rapporto di lavoro ha portato il Veneto ad ammettere facilitazioni - non meglio chiarite dalle faq presenti sul sito della regione, quali borse lavoro, buoni pasto o rimborsi spese -escludendo però l’obbligo di corrispondere allo stagista un’indennità. Infine la delibera più recente in materia l’ha pubblicata la provincia di Trento, a metà giugno. Come spiegato a Repubblica degli Stagisti  da Sergio Vergari, dirigente del Servizio Lavoro della provincia autonoma, la titolarità al ruolo di enti promotori per la gestione delle procedure di attivazione degli stage, al fine di evitare abusi, resta in capo ai soggetti cardine come ad esempio i centri per l'impiego o le università. La maggiore novità introdotta, pur ribadendo che il tirocinio non costituisce un rapporto di lavoro, è la possibilità di riconoscere allo stagista una borsa di studio utile come rimborso spese. Questa disposizione scaturisce dalla volontà della provincia di affidare all’Agenzia del lavoro, struttura che realizza gli interventi di politica attiva del lavoro, il ruolo di partner principale nell’amministrazione delle indennità da corrispondere agli stagisti. L’Agenzia al termine del tirocinio eroga una borsa di studio di 70 euro settimanali (se l'orario è inferiore alle 30 ore settimanali l'importo è dimezzato) per massimo otto settimane. Requisito previsto per ottenere questo rimborso è lo svolgimento di un tirocinio a carattere prevalentemente orientativo, indirizzato a disoccupati o inoccupati iscritti da almeno un mese in un Centro per l'impiego della provincia di Trento. Anche i neodiplomati e neolaureati devono essere iscritti nelle liste di disoccupazione per poter avere accesso a tale rimborso. Tutte le regioni, anche quelle che ancora non hanno recepito le novità introdotte dalla legge 148/2011, sono ora chiamate a sedersi al tavolo – hanno sei mesi di tempo dallo scorso 18 luglio – del ministero del Lavoro, per elaborare le linee guida preannunciate dalla riforma Fornero ai commi 34-36 del suo articolo 1. Lorenza MargheritaPer saperne di più, leggi anche:- Mai più stage gratis: parte in Toscana il progetto per pagare gli stagisti almeno 400 euro al mese- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio- Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in Lombardia

Da Viterbo a Parigi passando per l'India, anche la moda fa start-up

Nel 2007 Benedetta Bruzziches ha vinto il concorso Riccione Moda Italia per la categoria accessori,  è stata decretata «Best Italian Talent» dalla Camera della Moda e da Alta Roma ed ha iniziato a lavorare, prima da stagista e poi con un contratto a tempo determinato, come assistente personale di Romeo Gigli per la collezione «Io Ipse Idem». Eppure l'anno che le ha cambiato la vita è stato il 2008. Nel novembre di quell'anno ha deciso di 'mollare tutto' accettando un'offerta di lavoro in India, dove ha cominciato a disegnare quelle borse che ora produce con la sua azienda. Un'attività di consulente che l'ha portata spesso in giro per il mondo e soprattutto le ha permesso di mettere da parte 30mila euro, somma che ha poi investito dando vita alla sua start-up.Diplomata con lode all'Istituto Europeo di Design di Roma nel 2006, questa viterbese di 27 anni è un vulcano di creatività. Nel luglio del 2009, dopo appena un anno e mezzo trascorso in India, ha deciso di tornare in Italia. «Volevo realizzare una collezione mia, ci ho lavorato tutta l'estate e a settembre l'ho presentata». I primi passi non sono stati facili: «Non ho fatto una vera e propria ricerca di mercato, sono partita all'avventura. Giravo per Milano, mostrando le mie borse che piacevano a tutti. Ma non le comprava nessuno». All'epoca Benedetta aveva 24 anni: «Capivano che non avevo idea dei tempi di vendita, delle consegne». E dunque nessuno si fidava ad inserire nel proprio catalogo i suoi prodotti.È stato allora che ha deciso di provare a venderseli da sola. Primo passo, uno spazio all'interno delle fiere che accompagnano la settimana della moda di Milano e di Parigi, ottenuto nonostante la sua richiesta fosse arrivata parecchio in ritardo rispetto alle normali scadenze. «Il tempo di un biscotto per la nostra collezione»: era questo lo slogan che accompagnava lo spazio espositivo insieme a un vassoio di dolcetti realizzati appositamente dalla madre. «In questo modo attiravo le persone all'interno del mio stand e in 50 secondi spiegavo tutto quello che riguardava le mie borse». Una strategia di marketing tanto golosa quanto efficace, che le ha permesso di portare a casa i primi 25 clienti. «In realtà ero un po' delusa, me ne aspettavo molti di più. Poi ho capito che era un ottimo risultato».Così è nata l'impresa che porta il suo nome. Dopo essere partita con i risparmi del lavoro in India, Benedetta ha chiesto un fido ad una banca, sostenuta in questo dalla madre che ha un'azienda di produzione di olio e nocciole. Al momento la start-up, che ha sede a Viterbo, è una ditta individuale: «Dovrò darmi una struttura più articolata. Stavo pensando alla ssrl, vogliamo abbattere i costi». Ci sarà da aspettare però, visto che la società semplificata a responsabilità limitata sembra essersi incagliata nelle secche della burocrazia. Intanto la «Benedetta Bruzziches» continua ad occuparsi dell'ideazione della collezione di borse, che poi fa realizzare ad aziende esterne, generando un fatturato che ha raggiunto i 400mila euro l'anno. «Questo risultato nasce dalla mia filosofia di voler realizzare i prodotti in Italia, coinvolgendo il paese nelle nostre lavorazioni. La mia zona era un punto di riferimento per la maglieria fatta a mano ma ora queste abilità, come tante altre, si stanno perdendo. Per questo ho deciso di introdurre una linea di pelle intrecciata [nella foto, un esemplare della collezione], così da conservare questa forma di artigianato».E magari creare qualche posto di lavoro nell'indotto, offrendo delle possibilità di occupazione ai suoi coetanei. «Le cose da fare ci sono, l'importante è aprire gli occhi: invece di lamentarsi della disoccupazione, chi vieta di inventare qualcosa di nuovo?». E mentre mentre disegna borse Benedetta pensa già a nuove attività: «Magari un'azienda di trasformazione dei prodotti del territorio». Un cambio radicale rispetto all'alta moda: «Quel che mi interessa è riuscire a raccontare storie, non essere definita un'imprenditrice. Anzi questo è l'aspetto che mi annoia di più: sono la disperazione del mio commercialista». Ci pensa il fratello Agostino, studente universitario 25enne, a ricordarle le scadenze fiscali. «L'idea di un contratto a tempo indeterminato mi mette ansia. Trovo il posto fisso monotono: non mi sono scandalizzata quando il premier Mario Monti l'ha definito noioso, io ne morirei» aggiunge Benedetta: «Mi rendo conto che per tante persone rappresenta un'entrata sicura ogni mese, ma non è quello che voglio, le mie priorità sono altre».Ad esempio «avere un lavoro che mi piace», come appunto quello che svolge oggi: «Le mie borse vengono disegnate per delle donne che pensano, che vogliono leggerci una storia. Oggi le donne non si vestono più per essere belle, mentre le nostre nonne erano bellissime: la bellezza è una decisione». Come quella di partire, di punto in bianco, per l'India. O di tornare, altrettanto all'improvviso, in Italia per fondare una casa di moda.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- I video virali partono da Palermo: la storia di Mosaicoon, start-up dell'anno 2012- Quando «l'arte del bere» si fa start-up per tradizione di famiglia- Yalla Yalla, la start-up che fa viaggiare tutta la Rete- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Troppi voti alti a scuola e all'università, a rimetterci è il merito

È davvero così importante nella vita avere dei buoni voti a scuola o all'università? Non tutti sono d'accordo. Una cosa però è certa: se i voti alti sono elargiti con facilità, e invece di premiare chi ottiene i risultati migliori diventano una meta alla portata un po' di tutti, perdono completamente significato. Non è la prima volta che la Repubblica degli Stagisti si occupa della questione della media crescente di punteggi di laurea (e il discorso si estende anche alla scuola superiore), per denunciare come il rischio sia quello di far scadere il valore reale delle votazioni più alte. Il fenomeno in effetti sembra in continua crescita. Per farsi un'idea della situazione basta prendere i dati di Almalaurea degli ultimi anni e analizzare i voti medi di laurea negli atenei soggetti a rilevazione. Senza soffermarsi sulle differenti facoltà, perché è noto che ad alcuni rami di studio  –  come quelli legati alle lettere – sono associate medie più alte rispetto a facoltà scientifiche, come ingegneria, o più tecniche (benchè formalmente «umanistiche») come giurisprudenza o economia. Anno 2006, il record: dal database di Almalaurea emerge che su 61 atenei presi in considerazione il voto medio di laurea magistrale arriva a 109,3, a un soffio dal punteggio massimo. Il 2007 e il 2008 si equivalgono più o meno con rispettivamente 108,8 e 108,7 di media. Fino a poi scemare via via fino allo 'scarsissimo' 107,8 del 2011 – che fa quasi pensare a un ravvedimento dei professori, forse improvvisamente consci che dei 110 assegnati con troppa leggerezza non portano molto lontano. La media dei voti degli esami poi non si sposta mai dal 27, quello che un tempo era considerato un voto da festeggiare. Stesso discorso per le lauree magistrali a ciclo unico, analizzate dal 2006 al 2011: qui si parte da un voto medio di 106 di sei anni fa per arrivare al 104,4 dell'anno scorso. A onor del vero fanno eccezione gli studenti del «vecchio ordinamento». A loro voti ben più miseri: per i veterani si oscilla infatti dal 99 al 102 negli ultimi sei anni. Certo, non si può tralasciare una considerazione: quelli che si laureano oggi con il vecchio ordinamento sono probabilmente studenti-lavoratori, persone magari non più giovanissime iscritte all'università da prima del 2001 (quando entrò in vigore la riforma del sistema universitario), e che presumibilmente non hanno dedicato tutto il proprio tempo agli studi. A differenza delle nuove leve uscite dalla riforma post 2001, sicuramente più giovani e impegnati nella carriera accademica: ma ciò non può giustificare un'impennata di questa portata nei punteggi finali, a meno che si voglia ipotizzare una generazione di superdotati. La politica della 'manica larga' colpisce trasversalmente le università italiane da nord a sud e sta creando un paradosso: invece di allineare gli studenti italiani agli standard europei e rendere i loro titoli di studio più competitivi, finisce col penalizzarli appiattendoli tutti su un 110 che poco dice sugli effettivi meriti e capacità. Va comunque sottolineato che le differenze tra atenei ci sono, a volte anche in una sola città: è il caso di Milano, dove allo Iulm nel 2011 la media di voto è di 97, mentre schizza di dieci punti, fino a 107, per il San Raffaele. Così come Foggia e Bari distanziano il Politecnico di Torino di ben 5 punti: la media è 100 al nord, 105 nei primi due atenei. Ma è il trend generale, dato dalla somma di tutte le università italiane, quello che va considerato e che suscita preoccupazione. Per il voto di diploma la situazione non si discosta di molto: i dati del Miur, affiancati a quelli di Almadiploma, dimostrano però che i 100 sono infatti variati in negativo tra il 2004 e il 2008 (l'arco temporale analizzato dal Miur), passando dai 43mila di otto anni fa e ai 28mila del 2008. Qui fa scalpore la concentrazione del punteggio massimo al Sud: se per esempio nel 2005 in Lombardia è stato il 7% dei maturandi a diplomarsi con 100, in Campania la percentuale già saliva a 9%, e in Calabria arrivava all'11%. Il che significa oltre uno studente su dieci diplomato col punteggio massimo: e i maligni pensano che spesso i prof siano di manica larga per garantire ai loro allievi quella riduzione delle tasse universitarie di cui possono usufruire le «matricole» uscite dalla scuola superiore con il massimo dei voti. Di recente il governo Monti ha aperto la strada a una discussione in merito allo spinoso tema dell'abolizione del valore legale del titolo di studio, ipotesi che spacca a metà detrattori (che vedono in ciò un colpo inferto al diritto allo studio) e sostenitori a cui sembra buona l'idea di non far equivalere gli istituti universitari tra loro ma farli competere per migliorarli. Anche perché le ricadute sul mondo del lavoro non sarebbero da poco. Il 110 di un 'diplomificio' non spianerebbe la strada allo stesso modo che a un candidato laureato con il massimo in un'università prestigiosa e difficile. Così come un capo delle risorse umane saprebbe davvero chi ha davanti se gli si presentasse un soggetto  che ha ottenuto un sudatissimo 110 in una facoltà dove il punteggio massimo è dato solo a chi davvero si distingue dagli altri, e non «a pioggia». Ma la questione del merito è complessa, e chissà perché continua a far storcere il naso a molti.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Tutti geni i neolaureati italiani? Nuovi dati Almalaurea: alla specialistica il voto medio è 108, con punte di 111 per le facoltà letterarie - Quanto vale la laurea nei concorsi? Bandi poco chiari sulle equipollenze tra i titoli, arriva una guida dal ministero E anche:- Abolizione del valore legale dei titoli di studio, i pro e i contro- Abolire il valore legale del titolo di studio? Il ministero lancia un sondaggio

Come cambia lo stage in Europa: viaggio in Francia e Belgio

Prosegue il viaggio virtuale in giro per l'Europa allo scoperta della tante facce dello stage. Guidata dal report pubblicato il mese scorso dalla Commissione Ue, questa volta la Repubblica degli Stagisti va in Francia e Belgio. La Francia, è stato detto più volte su questo sito, ha ispirato molte leggi e disegni di legge - in Italia, il ddl Damiano e la normativa regionale da poco adottata dalla Toscana. Merito soprattutto di una base normativa solida e chiara, uniformata nel testo unico Code de l'éducation, di controlli e del riconoscimento di sempre maggiori diritti. Soprattutto a partire dal 2006, anno di approvazione della Carta degli stage di formazione nelle imprese, che tra le altre cose ha sancito la netta distinzione tra stagista e lavoratore e istituito l'obbligo di convenzione (anche se il tirocinio è all'estero). L'ultimo traguardo in ordine di tempo è rappresentato dalla legge Cherpion, dell'estate 2011, che ha fissato un altro paletto importante: l'obbligo di versare almeno 430 euro di rimborso - un terzo dello Smic, il salario minimo garantito - per tutti i tirocini superiori a due mesi. Oltralpe i tirocini possono essere divisi in due macroaree: i percorsi di orientamento e inserimento lavorativo e quelli che si potrebbe definire di inclusione o reinserimento, legati alle Politiche attive per il lavoro, ma sempre riservati ai giovani. Nel primo gruppo rientrano gli stage svolti durante la formazione secondaria e terziaria, obbligatori e non, e le misure di formation en alternance, come il praticantato. Qui insieme alle tutele, cresce anche la retribuzione, che nel caso del Contract de professionnalisation oscilla tra l'85 e il 100% del salario minimo garantito. Anche l'apprendistato, che in Francia come in Italia costituisce un vero e proprio contratto di lavoro (il Piano d'urgenza per l'impiego giovanile del 2009 ha puntato ad aumentare di 500mila unità in un anno), nel report viene inserito in questa prima categoria. Nel secondo gruppo di stage invece rientrano i tanti programmi per le categorie svantaggiate. Ad esempio il Deuxième Chance, per i giovani tra i 16 e 25 anni che non hanno un diploma (circa 10mila nel 2010); o il Contract d'Autonomie, che garantisce 300 euro mensili, e «supporto personale», ai giovani svantaggiati che mirano ad una qualifica o addirittura ad avviare un'impresa (circa 36mila gli inquadramenti di questo tipo, con un tasso di assunzione del 65%). A garantire il buon funzionamento dello stage in Francia c'è però anche un sistema di controllo articolato. Oltre alle istituzioni formative e agli Ispettorati, nazionali e regionali, ci sono almeno altre due importanti organismi che si incaricano di valutare la qualità degli stage: l'Haut conseil de l'education, che pubblica annualmente i risultati del monitoraggio, e l'agenzia indipendente Aeres, che però segue solo gli stagisti con una formazione superiore - un po' come la nostra Almalaurea. Alcuni percorsi hanno acquisito anche la certificazione ISO. Ad uno sguardo più ampio comunque, a fronte di un approccio allo stage mediamente più virtuoso del resto d'Europa, oltralpe la condizione giovanile rimane comunque problematica, con un tasso di disoccupazione al 23% e il dilagare di contratti precari una volta finito il seppur virtuoso stage.  Francia e Belgio sono Paesi di cultura affina ma, strano a dirsi, in fatto di stage e lavoro la patria dell'Unione europea sembra essere molto più simile all'Italia. Intanto la disoccupazione giovanile, seppure con forti disomogeneità territoriali, raggiunge il 22%, tre volte quella del resto della popolazione e molto al di sopra della media europea. Già prima della crisi l'Ocse aveva evidenziato la necessità di azioni rapide, ma ancora nel 2010 l'Eurostat calcolava che un terzo dei giovani disoccupati erano di lungo termine - e che gli under 30 rappresentavano il 65% di tutti i lavoratori precari. Dati che secondo l'autrice si spiegano in gran parte con l'alto costo del lavoro e la mancanza di flessibilità. Le transizioni scuola-lavoro poi sono tutt'altro che agevoli e i datori di lavoro lamentano fortemente la mancanza di orientamento al lavoro durante gli anni di formazione. Uno schiacciante 80% di loro pensa che i giovani in uscita dalle scuole - a prescindere dal livello - sia impreparato al mondo del lavoro, ma anche che lo stage rappresenti uno strumento prezioso per assumere. In pochi però lo usano, stando all'indagine Youth on the Move della Commissione europea citata dall'autrice (nessuna menzione invece per lo Youth Forum, che proprio da Bruxelles coordina varie organizzazioni internazionali per la lotta dei diritti giovanili e promuove la Carta europea dei diritti di stagisti e praticanti). Solo il 14% dei giovani in stage viene poi assunto, in linea con la media italiana nelle grandi aziende.La stessa indagine però evidenzia che «il Belgio ha il tasso più basso di tirocini non pagati»: il 59% - che pure non è poco. Come un po' ovunque, infatti, anche qui gli stagisti non sono considerati lavoratori, e pertanto non hanno diritto ad uno stipendio ma solo, e non sempre, ad un rimborso spese. Ferie e malattie però ci sono, ed esiste anche l'obbligo di superare una visita medica preliminare. Ma sulla convenzione scritta si può soprassedere.A complicare il panorama stage in Belgio è l'organizzazione federale del Paese, che divide le varie competenze tra governo centrale, regioni e comunità. Il primo decide in materia di lavoro e politiche sociali; le seconde in materia di formazione e politiche di impiego, originando a volte conflitti di competenze e normative "multistrato". E molte tipologie di tirocinio. Quelli per studenti minorenni, che dal 2008 ricevono un rimborso tra i 500 e i 700 euro una tantum (a seconda dell'anno scolastico di attivazione) se fanno uno stage di almeno quattro mesi, e che sono comunque incoraggiati a fare esperienze dalle due alle otto settimane - cosa che nel 2008 hanno fatto in 50mila under 18. Ci sono poi le Conventiones d'immersion professionnelle, destinate a studenti (anche universitari) di corsi con momenti di alternanza studio lavoro, che godono dei finanziamenti del Fse; motivo per cui i ragazzi percepiscono una cifra dai 470 ai 720 euro mensili e le aziende che assumono un bonus monetario, secondo il modello della Convention premier emploi. Il programma Activa invece è una novità recente pensata per gli under 26, che rende applicabili i benefits anti disoccupazione anche agli stagisti. Ed esistono naturalmente anche i tirocini non pagati, quasi solo in ambito scolastico ed universitario. Sui numeri per ciascuna categoria, l'autrice riprende un leitmotiv ricorrente in tutto il report della Commissione: mancano i dati, per cui evidentemente lo studio non è riuscito a scovarli. Quelli già presenti sono comunque sufficienti per far concludere che «date le circostanze, c'è il rischio che l'indiscriminato uso di tirocini alimento la già alta stabilità che si registra in Belgio. Sarebbero auspicabili delle misure; ad esempio l'obbligo di garantire un certo tasso di assunzione». Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - In Francia molte tutele per gli stagisti, a cominciare dai soldi: come funziona lo stage oltralpe- Francia, stagisti retribuiti almeno 400 euro al mese: da oggi anche negli enti pubblici- Nuova risoluzione Ue, regolamento sugli stage più vicino- Diritti degli stagisti: le lezioni dell'Europa

Studiare costa, ma in Italia i prestiti d'onore ancora non decollano

Secondo il Rapporto sugli atenei italiani, pubblicato da Federconsumatori lo scorso ottobre, uno studentefuori sede spende mediamente tra i 7mila e i 9mila euro l’anno per l’università, che scendono tra i 1.600 e i 1.300 per chi continua a vivere con i propri genitori. Di queste cifre, un importo calcolato tra i 500 e gli 800 euro va via solo per il pagamento della tassa di iscrizione all’università. Ma di soldi per il diritto allo studio, per borse di studio e alloggi universitari, ce ne sono sempre meno. Basti pensare che il cosiddetto «ddl stabilità», approvato dal governo Berlusconi con l'obiettivo di effettuare tagli alla spesa pubblica, prevedeva una drastica riduzione di questi fondi: dai 246 milioni stanziati inizialmente per il 2012 dovevano esserne tagliati 220 (di conseguenza il fondo per quest'anno sarebbe rimasto di 26 milioni). Il governo Monti ha moderato il taglio, prevedendolo per 210 milioni di euro ma spalmati nei tre anni 2012-2014: nel dettaglio, 33 milioni verranno tagliati nel 2012, e poi 88 milioni nei due anni successivi. Ma aiutare le famiglie a fronteggiare le ingenti spese per l'istruzione di gigli e nipoti è urgente: per questo negli ultimi mesi alcuni atenei stanno scommettendo sul prestito d’onore. Si tratta di un finanziamento erogato dall’università, in collaborazione con le singole banche, agli studenti universitari senza alcuna garanzia accessoria, per pagare un corso di laurea o un master, a determinate condizioni.In Italia questa pratica è introdotta dalla legge 390 del 1991, che stabilisce requisiti precisi per accedere al prestito – come ad esempio rientrare tra gli studenti aventi diritto alla borsa di studio. Inoltre la restituzione del prestito avviene a rate e solo dopo l’inizio di una qualsiasi attività lavorativa, e la rata del rimborso non può superare il 20% del reddito del beneficiario. I prestiti però non sono partiti, perché il decreto che doveva fissare i criteri di concessione delle garanzie e degli interessi non è mai stato emanato.Una decina d’anni dopo, vengono istituiti il Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità tra gli studenti (decreto 198 dell'ottobre 2003), in cui rientra la «concessione agli studenti di prestiti d’onore», e, con la legge finanziaria del 2004, un fondo una tantum di 10 milioni di euro per la «costituzione di garanzie sul rimborso dei prestiti fiduciari e per la corresponsione di contributi i  conto interessi a capaci e meritevoli privi di mezzi». Nel 2008 e nel 2010 è la volta rispettivamente dei progetti «Diamogli credito» e «Diamogli futuro», promossi entrambi dal ministero delle Politiche giovanili, poi ministero della Gioventù: nel primo caso il fondo stanziato è di 33 milioni di euro per tre anni, a garanzia delle somme prestate agli studenti dalle banche aderenti all’iniziativa; nel secondo progetto i 19 milioni di euro stabiliti servono a garantire il finanziamento degli studi a giovani meritevoli, per un tetto massimo di 5mila euro l’anno. L’ultimo provvedimento legislativo in ordine di tempo è la legge 240 del dicembre 2010 che istituisce il Fondo per il merito per l’erogazione di premi di studio e la fornitura di buoni studio, che prevedono una quota – fissata sulla base dei propri risultati accademici – da restituire al termine degli studi secondo tempi variabili sulla base del reddito percepito.Ma quanto è stato applicato finora il prestito d’onore? Stando ai dati Miur, poco. Dal 2003 a oggi sono stati concessi mediamente circa 660 prestiti l’anno, su un totale di iscritti all'università pari a poco meno di un milione e 800mila iscritti. Attualmente gli atenei stanno dando vita a una serie di progetti per incentivare il ricorso al prestito d’onore. L’iniziativa più recente è quella dell’università Ca’ Foscari di Venezia: gli studenti dell’ateneo (iscritti alle lauree triennali, magistrali, master e dottorati) hanno la possibilità di chiedere un prestito di 2mila euro a un tasso agevolato (1%) per pagare le tasse, grazie a una convenzione con le banche ci credito cooperativo della Marca e di Monastier e del Sile. L’iniziativa partirà dal prossimo anno: l'accordo prevede l'erogazione di 63 prestiti a giovani poco abbienti ma ritenuti meritevoli in base ad alcuni parametri (voto di laurea o di maturità, numero di esami sostenuti in un determinato periodo). La restituzione del prestito avverrà quando lo studente avrà trovato un lavoro – e nel caso di laurea con il massimo dei voti è prevista l’estinzione del debito.L’ateneo di Urbino ha stipulato una convenzione con Banca Marche per concedere un finanziamento rivolto a studenti iscritti a lauree specialistiche, master, dottorati o corsi di specializzazione, di importo annuo massimo variabile: 6mila euro nel primo caso per un periodo-limite di due anni; 12mila euro nel caso di master con durata pari o inferiore a un anno o di dottorati. Il periodo massimo di erogazione è rispettivamente di uno e tre anni. Lo studente ha diritto a un conto corrente gratuito, con tutta una serie di vantaggi in termini di flessibilità: pagamento degli interessi solo sulle somme effettivamente utilizzate, versamenti sul conto corrente per ripristinare la disponibilità e abbattere gli oneri finanziari, organizzazione dei tempi e delle modalità di rimborso dei finanziamenti, possibilità di estinguere il finanziamento in qualsiasi momento senza penali. Per determinati corsi di studio sono richiesti agli studenti specifici requisiti in termini di conseguimento di crediti formativi universitari (cfu). Non possono beneficiare del finanziamento gli studenti che siano contemporaneamente anche imprenditori, liberi professionisti o comunque svolgano un’attività lavorativa diversa da quella di «lavoratore dipendente» o simile.Dal 15 dicembre 2011 fino al 30 aprile 2015 la Regione Toscana stanzia prestiti d’onore, sempre attraverso convenzioni con alcuni istituti di credito, a favore di giovani dai 22 ai 35 anni in possesso di laurea magistrale, anche conseguita all’estero, con voto non inferiore a 100/110,  residenti o domiciliati in Toscana da almeno due anni al momento della presentazione della domanda e che abbiano conseguito la laurea magistrale non oltre un anno dalla durata legale del corso di studi.I prestiti possono essere richiesti per compiere percorsi di formazione come dottorati di ricerca, corsi di specializzazione post laurea magistrale, master di II livello realizzati in Italia e all’estero presso università pubbliche statali o private, istituti o scuole di alta formazione riconosciute dal Miur o dall’autorità competente dello stato estero. Il prestito può avere un importo massimo pari a 50mila euro. Il rimborso inizierà entro 12 mesi dall’ingresso nel mercato del lavoro del beneficiario e in ogni caso entro 24 mesi dalla conclusione del programma di studi per il quale si è richiesto il finanziamento. Il prestito d’onore ha durata massima di 20 anni: in caso di abbandono del corso di studio, il rimborso dovrà iniziare nei sei mesi successivi alla sospensione degli studi. Altre università, come quelle dell’Insubria e di Macerata, hanno attivato lo scorso anno accademico prestiti d’onore a favore dei propri studenti e non è da escludere che possano rinnovare quest’iniziativa anche per il prossimo.In ultima analisi quello dei prestiti d'onore non è ancora uno strumento particolarmente gettonato nel nostro Paese. Sarà interessante verificare se, in corrispondenza di eventuali aumenti delle tasse universitarie, anche il ricorso a questa forma di finanziamento registrerà una crescita.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'osso- Università come agenzie per il lavoro a costo zero: una deriva da scongiurare- La Regione Toscana presenta il progetto «Giovani Sì!» per sostenere studenti, stagisti e precari: 300 milioni di euro in tre anni

Trovare lavoro in Europa, per i giovani c'è Eures

Secondo l’Unione Europea, oltre cinque milioni di giovani dei 27 stati Ue cercano un posto di lavoro, su un totale di una popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni pari a 94 milioni di persone. Più della metà degli under 29 residenti in uno dei paesi europei è disposta a lavorare all’estero o vorrebbe trasferirsi per lavoro in un altro stato comunitario, ma è frenata dalla mancanza di sostegno nella ricerca di un impiego o dalla scarsità di risorse economiche. Nel 2010 è stato lanciato Youth on the Move, un pacchetto di iniziative, volute dalla Commissione europea per fronteggiare il problema della disoccupazione giovanile e favorire la mobilità professionale. In quest’ottica si inserisce Eures (European employment services – servizi europei per l’impiego), rete di cooperazione, istituita nel 1993, tra la Commissione Europea e servizi pubblici dell’occupazione degli stati membri del See (ossia Unione Europea più Norvegia, Islanda e Liechtenstein) e della Svizzera, sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro. Eures ha tre principali obiettivi: informare e orientare chi è interessato a spostarsi sulle possibilità di impiego e sulle condizioni di vita e lavorative; assistere i datori di lavoro, che intendono assumere lavoratori di altri paesi; fornire assistenza a chi offre e cerca lavoro nelle regioni transfrontaliere, ossia con un numero notevole di pendolari transfrontalieri. Per svolgere questi compiti, Eures si affida a un portale, che rientra nel finanziamento di 550mila euro, stanziato dall’Unione europea per  i servizi Eures, per il periodo dal primo giugno 2012 al 31 maggio 2013. La sezione «candidati» permette di cercare le offerte di lavoro disponibili, e creare un proprio account, dove inserire informazioni personali e pubblicare a aggiornare il cv. C'è poi una parte del sito dedicata ai datori di lavoro, che guida chi intende assumere personale all’estero individuando tutti i passaggi necessari da compiere prima (ad esempio l’inserimento di un annuncio), durante (fase di reclutamento) e dopo – ossia tutte le iniziative legate all’inserimento del lavoratore appena assunto. Anche le aziende possono creare un proprio account sul sito. La sezione «vita e lavoro» prende invece in considerazione gli aspetti rilevanti da un punto di vista pratico, giuridico e amministrativo di ciascun Paese, fondamentali per chi intende spostarsi all’estero. L’area «apprendimento» infine presenta tutte le informazioni utili sulle opportunità di studio e di lavoro in Europa: siti degli istituti di istruzione superiore, banche dati di corsi di formazione, scuole e così via.Come spiega alla Repubblica degli Stagisti Daniele Lunetta, funzionario del ministero del Lavoro e responsabile del coordinamento nazionale di Eures, questa realtà conta su tutto il territorio italiano 65 advisor, presenti nei principali centri per l’impiego, le cui attività sono coordinate a livello nazionale. Attualmente il portale ha 62.500 utenti attivi, di cui oltre 56mila cittadini, 3.500 aziende, 3mila agenzie. Nella prima metà di luglio il sito ha registrato un traffico medio di 8mila visitatori unici al giorno. A oggi sono pubblicate 6.700 vacancies, per un totale di oltre 11mila posti di lavoro. Tutti i servizi sono gratuiti. Di recente Eures ha diffuso anche una guida che spiega obiettivi e modalità di partecipazione dell’iniziativa «Il tuo primo lavoro Eures», partita per ora in Italia, Germania, Danimarca e Spagna, che punta a favorire l’ingresso nel mercato del lavoro e a ridurre gli ostacoli alla mobilità professionale. Obiettivo per il 2012-2013 è iniziare con 5mila assunzioni. Destinatari dell'iniziativa giovani tra i 18 e i 30 anni, cittadini di uno dei 27 stati membri dell’Ue e datori di lavoro. La Commissione europea offre un sostegno finanziario, variabile a seconda dal paese di destinazione e stabilito in specifiche tabelle, che consiste in un contributo alle spese di viaggio e di sussistenza per effettuare colloqui e trasferirsi in un altro paese per prendere servizio. Quanto ai requisiti, è sufficiente avere non più di trent’anni (il limite si riferisce al momento di presentazione della candidatura) e voler lavorare in un paese diverso da quello di residenza – a prescindere dal livello di qualifica, dall’esperienza di lavoro o dal contesto economico e sociale. I contributi sono erogati dalla Commissione europea e sono versati prima di partecipare a un colloquio di lavoro in un altro paese Ue o di traferirsi al nuovo posto di lavoro nel paese di destinazione. Le indennità per il colloquio all'estero vanno dai 200 euro netti – se la distanza dal proprio luogo di residenza è inferiore a 500 km – ai 300 euro nel caso di distanza maggiore. L’assegnazione richiede una dichiarazione firmata dal candidato. Il contributo alle spese di viaggio e sussistenza varia a seconda del Paese di destinazione: il più alto è quello della Danimarca (1.200 euro netti), i più bassi quelli di Bulgaria e Romania (600 euro). Per la Francia, ad esempio, il contributo ammonta a 990, per il Regno Unito a 1.000, per la Spagna a 840 euro. Tutti gli importi sono indicati nelle tabelle allegate alla guida. Il progetto sarà un importante banco di prova per Eures – che in futuro potrebbe anche passare a essere, da rete dei servizi per l'impiego europei, un unico strumento paneuropeo a favore dell'occupazione.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Centri per l'impiego, la riforma del lavoro riuscirà a rilanciarli? Per ora servono solo al 3% dei disoccupati- A Ichino piacciono i Jobrumors: «I siti che riportano le occasioni di lavoro sono preziosi per il mercato e lo rendono trasparente»-Basta davvero un clic per trovare lavoro? Il ministero investe 400mila euro in un nuovo portale per l'impiego

I video virali partono da Palermo: la storia di Mosaicoon, start-up dell'anno 2012

«Abbiamo appena compiuto due anni: essere già riusciti a farci notare è stata una bellissima soddisfazione». Ugo Parodi, 30enne palermitano, commenta così il premio come start-up dell'anno che PNICube, l'associazione che riunisce gli incubatori universitari, ha consegnato a fine maggio a Mosaicoon, l'azienda che ha fondato all'inizio del 2010. L'anno successivo era già finita tra le 36 finaliste del Premio nazionale dell'innovazione, senza però riuscire a vincere. Nel 2012 ha invece sbaragliato la concorrenza ottenendo il riconoscimento che viene assegnato «all'azienda che, tra quelle che hanno partecipato l'anno precedente al Pni, ha avuto la maggior crescita».Per arrivare a ottenere risultati di questo livello questo startupper palermitano è partito da lontano. Con una laurea in cinema al Dams, ottenuta nel 2004 dopo aver studiato tra Bologna, Barcellona e Palermo, e un master di otto mesi in cinema digitale e promozionale, ha cominciato a lavorare realizzando documentari e piccole pubblicità. Per due anni si è mosso sul mercato ottenendo solo «delle prestazioni occasionali». Fino a che nel 2007 non ha deciso di mettere a frutto i contenuti della sua tesi di laurea.«Avevo svolto una ricerca sui video virali e da questo progetto ho costituito nel 2007 la mia prima azienda che si chiamava Belsito media». Una società a responsabilità limitata il cui capitale sociale - messo insieme grazie ai risparmi di Parodi - ammontava a 10mila euro, costituita a Mondello, borgo marinaro di Palermo. La start-up si occupava «dello sviluppo di campagne virali on-line, dalla fase di produzione passando per la distribuzione fino ad arrivare al monitoraggio finale». Così da dimostrare al cliente quanto i contenuti realizzati avessero trovato diffusione in rete.Nonostante le forti radici siciliane, per riuscire a crescere la Belsito media ha dovuto muoversi da subito a livello nazionale. «La parte commerciale è senza dubbio quella che ci ha creato le maggiori difficoltà. A Palermo non era facile trovare clienti, così andavo a Milano e a Roma per proporre una doppia novità: un'azienda nuova che si occupava di un prodotto inedito». E forse è stato proprio «il servizio innovativo» ad aiutare questa start-up a crescere. Sempre nel 2007 l'azienda inizia una sinergia con Arca, incubatore d'impresa dell'università di Palermo. «Abbiamo partecipato al bando Start Cup, arrivando terzi. Questa è stata l'occasione per partecipare al premio nazionale dell'innovazione». Nessun premio in quell'occasione, se non l'avvio di una collaborazione con Arca: Belsito media non viene incubata, ma comincia a usufruire di alcuni dei servizi messi a disposizione.Ed è su queste basi che dopo due anni, nel dicembre del 2009, Parodi dà vita alla prima operazione di venture capital, ovvero una ricerca di finanziatori disposti a sostenere l'azienda. «Abbiamo trovato come socio di capitale la Vertis Venture, che ha investito 650mila euro». Un finanziamento che ha cambiato molte cose, a cominciare dal nome: «All'inizio del 2010 è nata Mosaicoon, una società per azioni con un capitale sociale di 200mila euro». Già alla fine del 2011, forte di un fatturato che ha raggiunto il milione di euro, la start-up ha raggiunto gli equilibri di bilancio. Oggi alla sede palermitana affianca due uffici commerciali, uno a Roma l'altro a Milano, e impiega 25 dipendenti: «La maggior parte a tempo indeterminato, per gli altri abbiamo scelto l'apprendistato». E i tirocini? «Non crediamo tanto in questo tipo di percorso». Dunque Mosaicoon accoglie stagisti ma solo «per il periodo che serve all'università. Gli ingressi in azienda sono sempre finalizzati all'assunzione: prima di tutto svolgiamo un colloquio e se riteniamo valida la persona che si è proposta allora accettiamo». L'assunzione arriva solo al termine del periodo previsto dall'università per il percorso formativo. Nel frattempo «garantiamo un rimborso spese che dipende però da diversi fattori, come la durata del progetto e l'orario svolto». E per stagisti e dipendenti non è da poco poter fare un'esperienza all'interno della start-up dell'anno 2012.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Quando «l'arte del bere» si fa start-up per tradizione di famiglia- Yalla Yalla, la start-up che fa viaggiare tutta la Rete- Liber Aria, in Puglia una start-up sfida il mercato editoriale- Sardex, la start-up con la valuta virtuale che fa girare l'economia- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Neolaureati e stage, ecco il punto di vista delle aziende

Le aziende si dicono favorevoli allo stage, e lo sono ancor di più in tempo di crisi. Lo dimostrano i dati emersi dalla 13esima indagine condotta da Gidp/Hrda - gruppo che riunisce oltre duemila dirigenti e direttori del personale- presentati a luglio presso la sede di Assolombarda a Milano. Le aziende coinvolte nella ricerca sono state 130 di cui poco meno della metà con più di 500 dipendenti: si tratta per lo più di multinazionali, collocate prevalentemente al nord-ovest [oltre la metà] e appartenenti in misura maggiore al settore metalmeccanico e terziario.I numeri snocciolati da Paolo Citterio, presidente di Gidp/Hrda e membro del consiglio direttivo di Assolombarda, presentano un approccio decisamente favorevole agli stage da parte delle aziende: quasi l’88% di queste ritiene il tirocinio propedeutico all’assunzione e la metà esatta risulta aver inserito nel corso del 2011 in organico da uno a tre giovani al termine del periodo di formazione, stipulando in un terzo dei casi un contratto di apprendistato, per un altro 30% un tempo determinato, nel 12% dei casi collaborazioni a progetto e solo per il 11% un contratto a tempo indeterminato. Tuttavia quasi un sesto delle grandi aziende intervistate ha deciso di non assumere gli stagisti al termine della loro esperienza.Ma in che modo le aziende entrano in contatto con gli aspiranti stagisti, quali sono le figure più ricercate, quali criteri sono presi più in considerazione nelle fasi di recruitment e quali vantaggi sono promessi dallo svolgimento di un tirocinio?Secondo l’indagine un terzo delle aziende impiega circa un mese per trovare un neolaureato da inserire come stagista, la ricerca avviene sui siti di placement delle università o all’interno dell’area candidature del proprio sito. A farla da padrone però sono i motori di ricerca più conosciuti per l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro: oltre il la metà degli H.R. manager va a caccia di candidature su Monster.it, il 7,69% si affida a Jobrapido.com e buoni spunti sono offerti anche dai social media come Linkedin.com e H2Biz.eu. I più ricercati sono gli ingegneri, quasi il 28,48%, meglio se gestionali, seguono i laureati in economia [24%] e gli informatici [6,33%]. Come lo stesso Citterio conferma: «le lauree umanistiche non sono neanche prese in considerazione», dettaglio triste che dimostra la scarsa capacità delle aziende italiane di immaginare un’organizzazione più flessibile e in grado di valutare le risorse effettivamente possedute dai candidati. In generale aver conseguito in corso il titolo di laurea conta meno della motivazione che il candidato deve dimostrare in sede di colloquio [6,32% contro il 20%]; altri fattori tenuti in considerazione sono la conoscenza di più lingue straniere come il sempre più richiesto cinese [un quarto], l’aver avuto altre esperienze lavorative durante gli studi [un sesto] e la disponibilità a spostarsi dal luogo di residenza. In cambio le aziende offrono il loro prestigio in termini di internazionalità [il 26% delle intervistate punta su questo aspetto] e di notorietà del proprio brand. Ma le aziende sanno che questi aspetti non posso bastare e per incentivare lo stagista meno della metà di queste riconosce buoni pasto e rimborsi spese, il 29% un rimborso spese tra i 500 e i 600 euro mensili e addirittura c’è chi «paga» il tirocinio tra i 900 e i 1000 euro: ma si tratta solo del 2,17% delle grandi imprese, che per giunta dedica questo trattamento particolare principalmente agli ingegneri. «Lo stage è un’occasione importante per i giovani» secondo Massimo Bottelli, direttore del settore sindacale e sociale di Assolombarda,che durante il convegno di presentazione dei dati ha citato un articolo di Gustavo Piga pubblicato dal Financial Times: «Come ha scritto recentemente il professor Piga, docente di economia presso l’università di Tor Vergata di Roma, quando la crisi economica sarà finita corriamo il rischio di perdere dal mercato del lavoro la generazione che attualmente ha tra i 25 e i 34 anni. Lo stage diventa quindi uno strumento per non rimanere esclusi dal mercato del lavoro». Della stessa opinione è Laura Mengoni, responsabile area formazione, scuola, università e ricerca di Assolombarda, che aggiunge: «La crisi del ’92 fu peggiore di quella attuale perché all’epoca, non esistendo lo stage, chi rimase fuori dal mercato del lavoro - spesso senza esserci neanche mai entrato - vide letteralmente sparire molte possibilità di ricollocarsi». L’utilizzo di tirocini è suffragato dall’impressione che le aziende - quasi un quarto di queste - hanno nei confronti dei neolaureati,  percepiti come poco informati sulle dinamiche del mercato del lavoro, difetto che si aggiunge a inadeguate competenze e alta indecisione personale sulle scelte professionali e i progetti futuri. Di sicuro anche gli stessi stage hanno contribuito a generare questo scenario, come ammette Bottelli: «La realtà aziendale italiana è costituta per lo più da micro imprese che purtroppo hanno spesso abusato degli stage e dei ragazzi, coinvolgendoli in attività ripetitive e poco formative. Purtroppo la retorica della meritocrazia che piace molto in questi ultimi tempi rischia di rivolgersi solo alla fascia alta tanto aziendale quanto delle skills richieste ai giovani, lasciando in ombra i contesti più piccoli e contribuendo alla perdita di ampi settori del mercato del lavoro». Proprio con la preoccupazione di arginare gli abusi che si perpetuano da troppo tempo proprio in queste realtà minori, la riforma del lavoro appena entrata in vigore ha messo mano ai tirocini, introducendo [anche se bisognerà attendere entro i prossimi sei mesi la definizione delle linee guida del Ministero del lavoro e della Conferenza Stato-Regioni] il principio del riconoscimento obbligatorio di una congrua indennità per la prestazione svolta.Su questo punto lancia l’allarme Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro all’università Bocconi di Milano: «Attribuire un compenso obbligatorio per lo svolgimento di un tirocinio rischia di snaturare questo strumento il cui fine è solo ed unicamente formativo. Se un datore di lavoro deve riconoscere un compenso si sentirà autorizzato a richiedere una prestazione lavorativa allo stagista, che privo di esperienza, verrà collocato allo svolgimento delle mansioni più ripetitive e banali perdendo l’occasione di imparare e fare esperienza». Eppure in Francia, dove per gli stage presso aziende private con una durata maggiore di due mesi è riconosciuto un rimborso spese fissato con una legge, non sembra abbiano corso il rischio di confondere il lavoro con la formazione. Valorizzare il tempo e l’impegno durante il periodo di stage significa incentivare i giovani, farli sentire utili nella struttura che li ospita, ma è un ottimo investimento anche per le aziende nella ricerca di nuove risorse. Lo stage non è lavoro e un compenso obbligatorio e forfettariamente stabilito per legge non sostituirà uno stipendio: se il pericolo è snaturare lo «strumento stage» - più di quanto non sia già stato fatto in questi anni - chiariti questi due punti, potrà considerarsi scampato. Lorenza Margherita Per saperne di più leggi anche:- Stagisti a zero euro, no grazie: ecco perché vietare il rimborso spese per legge sarebbe ingiusto e controproducente- I tirocini nel mezzo del cammin della riforma- Toscana, con le regole sulla qualità degli stage gli assunti passano dal 10% al 40%- Regioni e riforma del lavoro, è guerra al governo sull'articolo sui tirocini

Quando «l'arte del bere» si fa start-up per tradizione di famiglia

«Sono nata in una famiglia in cui il vino fa parte della quotidianità. Mio nonno è stato uno dei primi imprenditori ad aprire un'enoteca a Pisa». Era il 1972 e, quasi quarant'anni più tardi, Elena Tridenti ha deciso di ripercorrere le tradizioni aprendo a San Giuliano Terme «L'arte del bere». Un'enoteca dove si possono comprare bottiglie di vino di produttori locali e non, ma anche un winebar: senza alcuna maggiorazione sul prezzo è possibile consumare all'interno del locale, accompagnando rossi e bianchi ad alcuni stuzzichini. Il modello, lo si legge anche sul sito, è quello del cicchetto veneto – Elena infatti vive e lavora a Venezia: «Mi occupo soprattutto dell'organizzazione di eventi durante la settimana, mentre nei week-end scendo a Pisa».Laureata nel 2003 in Scienze politiche, dopo diversi corsi dedicati alle risorse umane e un tirocinio semestrale nell'ambito della segreteria di direzione e gestione del personale, Elena ha lavorato fino al 2007 in un'ente di promozione turistica con contratti a tempo determinato. Nel 2008 ha deciso di seguire il marito a Venezia, trovando lavoro in un agenzia per il lavoro come responsabile di selezione – questa volta con contratto di inserimento. Il tempo indeterminato è arrivato l'anno successivo, quando è diventata responsabile delle risorse umane in un'azienda che si occupa di organizzazione di eventi.Il dna, però, non mente e così, quando nel 2011 si è presentata l'occasione ha capito che avere anche qualcosa di suo l'avrebbe fatta sentire «più libera e autonoma, oltre che più gratificata». E così è nata l'Arte del Bere: una società in accomandita semplice, la formula burocraticamente più snella e che non richiede il versamento di un capitale sociale. «Siamo partiti veramente da zero: l'immobile che abbiamo preso in affitto era un magazzino di motociclette, quindi abbiamo iniziato dalla ristrutturazione». Per ottenere i fondi Elena ha chiesto un finanziamento ad una banca, aprendo un mutuo a sostegno della sua attività imprenditoriale. Nei primi mesi ha dovuto scontrarsi con la burocrazia, «le mille leggi che dicono tutto e il contrario di tutto». Risolte queste problematiche, e completato un corso di enologia per essere pronta al 100%, la startupper pisana ha avviato l'attività vera e propria affiancando alla ricerca dei vini e dei prodotti locali anche l'organizzazione di attività per attirare potenziali clienti – non solo privati, ma anche imprese interessate ad utilizzare «L'arte del bere» per ospitare eventi aziendali. A due anni dall'apertura, nonostante un fatturato annuo che si aggira intorno ai 100mila euro, «ancora non siamo riusciti a raggiungere il pareggio di bilancio». Anche perché i costi fissi non sono indifferenti: due persone lavorano all'interno dell'enoteca con un contratto di apprendistato. Di queste, una ha iniziato come stagista, svolgendo un tirocinio semestrale con un rimborso spese di 500 euro al mese, al termine del quale c'è stato l'assunzione. Un'attenzione verso i tirocinanti che Elena ha confermato anche aderendo al progetto Stagisti Card, offrendo cioè particolari sconti ai possessori della tessera lanciata dalla Repubblica degli Stagisti.L'inserimento dei tirocinanti in azienda è però un percorso che ora, dopo che la Regione Toscana ha promulgato una tra le leggi più avanzate in materia, sarebbe impossibile: «Purtroppo la normativa prevede che coloro che hanno solo apprendisti non possano ospitare tirocinanti». Mentre Elena sarebbe interessata ad accoglierne di nuovi: «Non solo per l'attività operativa in enoteca, ma anche per l'organizzazione di eventi e per le attività volte alla promozione del marchio aziendale». Fino a che non avrà trasformato almeno uno dei due apprendisti in un tempo indeterminato, però, non le sarà possibile farlo. E lei continuerà a fare la startupper pendolare, muovendosi ogni fine settimana da Venezia a Pisa.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Yalla Yalla, la start-up che fa viaggiare tutta la Rete- Liber Aria, in Puglia una start-up sfida il mercato editoriale- Sardex, la start-up con la valuta virtuale che fa girare l'economia- Timbuktu: è italiano il magazine per bambini più scaricato dall'Apple Store- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Tirocini Crui, anche l'Agenzia del Demanio li sospende per non dover pagare rimborsi agli stagisti

L'obbligo di riconoscere una congrua indennità agli stagisti non ha fermato solo gli stage organizzati dal ministero degli Esteri, ma anche quelli promossi dall'Agenzia del Demanio. Ma se la sospensione di quelli del Mae è poi rientrata quasi subito, complici anche le proteste dei 555 ragazzi che rischiavano di veder saltare la partenza fissata per i primi di settembre e alcune iniziative a livello parlamentare, l'ente che fa capo al dicastero delle Finanze ha deciso di rinunciare tout-court ai tirocini. Sicuramente per il 2012, ma molto probabilmente anche per gli anni a venire.A raccontare la vicenda alla Repubblica degli Stagisti è Maurizio Massa, 27enne laureato con lode e dignità di stampa in Architettura all'università di Genova nel marzo scorso. «Questa primavera ho presentato domanda per uno dei 35 tirocini promossi dal Demanio, percorsi della durata di sei mesi e senza alcun rimborso spese fatta eccezione per un buono pasto di sette euro e mezzo». Originario di Chiavari, il giovane aveva chiesto di poter svolgere l'esperienza formativa nel capoluogo ligure. «Ho sostenuto due colloqui telefonici, uno con la sede di Roma e l'altro con quella genovese. Il 18 maggio mi hanno comunicato che avevo vinto il bando: lo sportello lavoro del mio ateneo mi ha inviato via email il modulo di accettazione da restituire compilato entro due giorni, pena la perdita del diritto allo stage».Non c'era in effetti tempo da perdere: il programma prevedeva che il percorso formativo iniziasse il 4 giugno, per concludersi poi il 3 dicembre. Ma il 28 maggio «mi hanno telefonato dall'università per dirmi che forse il tirocinio sarebbe stato sospeso». Una possibilità diventata quasi subito certezza, a poche ore dall'avvio dello stage: «In una comunicazione urgente l'ateneo ha trasmesso una nota ufficiale dell'Agenzia del Demanio che diceva che le attività di stage erano sospese per tutelarsi da eventuali disagi economici». È stato in effetti Antonio Ronza, direttore delle risorse umane dell'AdD, ad inviare alla Fondazione Crui,  – l'ente che fa da tramite tra le università e gli enti che ospitano i tirocini – una comunicazione in questo senso lo scorso venerdì 1° giugno: solo tre giorni prima dell'avvio dei percorsi formativi all'interno delle diverse sedi locali coinvolte.«L'Agenzia del Demanio, tenuto conto delle subentrate normative regionali disciplinanti gli stage e degli annunciati interventi legislativi in materia di sviluppo del mercato del lavoro, che impattano negativamente sulle politiche gestionali interne, ha assunto la decisione di sospendere il programma di tirocinio deliberato per il 2012». Poche righe che hanno infranto il desiderio di 35 ragazzi di poter svolgere un'esperienza formativa all'interno dell'ente che si occupa di amministrare i beni immobiliari dello Stato. Eppure l'obbligo di riconoscere una congrua indennità, previsto dalla riforma, non entrerà in vigore se non dopo che il governo e le Regioni avranno approvato delle linee guida che definiscano modalità e importi minimi. Un compito che dovrà essere portato a termine entro 180 giorni dall'entrata in vigore della norma, quindi indicativamente entro la metà di gennaio – ovvero quando i tirocini AdD-Crui sarebbero terminati da oltre un mese.La questione però, come spiegano dall'ufficio stampa del Demanio, non riguarda solo la riforma Fornero. «Nelle more dell'entrata in vigore di questa normativa, alcune regioni hanno deliberato in merito alla disciplina dei tirocini». Due in particolare i casi che, secondo quanto reso noto dall'Agenzia, hanno portato alla sospensione dei percorsi formativi promossi con la Fondazione Crui: l'Abruzzo, che ha introdotto un rimborso mensile obbligatorio di 600 euro, e la Toscana, che ha fissato l'indennità in 500 euro mensili. Ospitando tirocini in tutta Italia, il Demanio avrebbe dovuto tener conto di queste indicazioni nelle regioni interessate. Rapportato ai sei mesi di durata, si tratta di un costo che oscilla tra i 3mila ed i 3.600 euro per ciascun tirocinante, che però l'AdD dichiara di non essere in grado di sostenere. «Abbiamo i budget bloccati sia per l'acquisto di beni e servizi che per le risorse umane: non possiamo permetterci di pagare queste somme». Un blocco legato alle misure di contenimento della spesa decise dal governo e che si estende a tutto il 2014, mettendo quindi a rischio il proseguimento del programma di stage. A meno che le pressioni di chi spinge per escludere la pubblica amministrazione dall'obbligo di garantire una congrua indennità agli stagisti riescano ad avere la meglio.Nel frattempo rimane l'amarezza di chi, come Maurizio, aveva puntato su un percorso di questo tipo: «Mi interessava quest'esperienza. La mia tesi riguardava la gestione immobiliare dei beni culturali e credo sia stato uno degli elementi che mi hanno permesso di essere selezionato» racconta il giovane architetto: «Ho visto cosa è successo ai tirocini del Mae, spero possa accadere qualcosa di simile anche per il Demanio. Altrimenti, trascorsi 12 mesi dalla laurea, perderò la possibilità di svolgere un tirocinio come questo».Riccardo SaporitiSe ha trovato interessante questo articolo leggi anche:- Ministero degli Esteri, 555 stage Mae-Crui bloccati e non si capisce il perché- Mae-Crui, il ministero revoca la sospensione: «I tirocini si svolgeranno regolarmente»- Mae-Crui, i deputati al governo: trovate i fondi per l'indennità agli stagistiE anche:- Ministero degli Esteri, ancora niente rimborso per i tirocini malgrado i buoni propositi della riforma- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio- Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in Lombardia