Categoria: Approfondimenti

Tasse universitarie in Europa. Spagna: la bocciatura costa

I sistemi universitari europei si muovono all’interno di due concezioni opposte. La prima considera l’università un servizio di carattere privato, per cui è lo studente che deve far fronte ai costi. Secondo un’altra concezione, invece, il fatto che una quota sempre maggiore di popolazione consegua alti titoli di studio genera vantaggi per l’intera società (in termini, ad esempio, di miglioramento del livello culturale e di promozione del’uguaglianza sociale) tali da giustificare il fatto che lo Stato si faccia carico della totalità  - o quasi - dei costi.Ci sono Paesi europei in cui studiare costa molto, come l’Inghilterra. Fino al 2011-2012 l’iscrizione annuale costava circa 4mila euro, ma da quest’anno accademico il governo ha autorizzato le università a richiedere agli studenti fino addirittura a 9mila sterline (11mila euro circa). Gli universitari possono richiedere dei prestiti per pagare le tasse e restituirli quando iniziano a lavorare con un reddito annuo minimo di 21mila sterline. Altri Paesi garantiscono, invece, un’università gratuita con ampia disponibilità di servizi, come Danimarca, Svezia, Finlandia e Norvegia (solo i master sono a pagamento), ma a costo zero sono anche le università di Austria, Repubblica Ceca, di molti Lander tedeschi (escluse Baviera e Bassa Sassonia), Scozia, Cipro, Malta e Grecia. In Croazia, Lituania e Slovenia paga solo una piccola percentuale di studenti. Pagano tutti nel Belgio fiammingo, in Bulgaria, Islanda, Olanda, Polonia, Slovacchia e Turchia. Per farsi un’idea più precisa si può leggere il rapporto, con tutti i costi e benefici per gli studenti delle università europee, realizzato da Eurydice, la rete di informazione sull’istruzione in Europa istituita dalla Commissione europea e dagli Stati membri dell’Unione. In alcune nazioni europee paga la maggior parte degli studenti in rapporto al reddito individuale o familiare: Belgio (zona vallona), Estonia, Francia, Ungheria, Italia, Lettonia e Romania. Bisogna però considerare che in alcuni Stati, soprattutto quelli federalisti, ci sono grandi variazioni di costi a seconda della regione e dell’università.Per quanto riguarda le borse di studio, Danimarca, Svezia, Cipro e Malta le assegnano a tutti gli studenti, che hanno così a disposizione un vero e proprio stipendio per studiare e per vivere autonomamente (in Danimarca è di mille euro al mese), mentre Finlandia, Olanda, Norvegia, Svizzera e Regno Unito riservano le borse alla maggior parte degli iscritti. In altri Paesi, invece, sono pochi quelli che riescono a conseguire una borsa di studio (Italia e Spagna sono tra questi).Gli aiuti familiari e i benefici fiscali sono altre formule per compensare il costo degli studi, prendendo in considerazione il reddito individuale (come nei Paesi nordici) o la situazione economica familiare. Almeno il 5 per cento degli studenti europei, infine, usufruisce di prestiti per pagarsi gli studi.Il viaggio della Repubblica degli Stagisti alla scoperta del sistema della tassazione universitaria nei diversi Paesi europei parte dalla Spagna, dove è finora prevalsa una logica di finanziamento pubblico con una partecipazione degli studenti, che consiste nel pagamento di una ‘matricola’ per gli studi e di tasse specifiche per le pratiche e i servizi offerti dalle singole università. Gli studenti spagnoli, secondo l’Osservatorio del sistema universitario spagnolo, pagano circa il 20% del costo complessivo dei loro studi, il che colloca la Spagna al sesto posto in Europa nella classifica dei Paesi più cari per studiare.Il governo centrale fissa i livelli minimo e massimo di incremento percentuale annuo delle tasse (che prende come base l’incremento dell’indice dei prezzi al consumo) e poi ogni comunità autonoma stabilisce, all’interno di un range prestabilito, i prezzi e il livello di aumento che applicherà. Anche le università possono stabilire costi aggiuntivi.  La conseguenza è una forte variabilità dei prezzi, anche per lo studio delle stesse materie, in differenti territori.  Dall’introduzione nel 2008 del sistema “Bologna” (che ha riformato i sistemi di istruzione superiore europei), in Spagna esistono gli studi di primo livello, il cosiddetto “grado”, che corrisponde alla nostra laurea triennale e che ha prezzi molto variabili da regione a regione: la carriera di Medicina costa 2371 euro all’anno in Catalogna, 1628 a Madrid e 749 in Andalucia. Giurisprudenza costa rispettivamente 1516, 1279 e 749 euro all’anno. Esistono poi i master ufficiali (laurea magistrale) e i master speciali, che arrivano a costare fino al doppio di quelli ufficiali. La situazione finanziaria delle regioni spagnole è molto grave e per l’anno accademico in corso l’aggravio dei costi è stato molto significativo, con un provvedimento del governo  che ha penalizzato soprattutto gli studenti ripetenti.Diversamente dall’Italia, dove si paga una tassa regionale e in genere due rate annuali in base al reddito, in Spagna si pagano le singole materie, ognuna delle quali ha un numero prestabilito di crediti.  Per esempio al Master in Archeologia dell’università di Granada un credito vale quasi 30 euro: per ottenere i 60 crediti dell’anno di master, infatti, gli studenti pagano 1770 euro. Un esame di 4 crediti, dunque, ne vale quasi 120.Se si è bocciati in una o più materie, i prezzi delle singole ’asignaturas’ lievitano notevolmente. Se si è bocciati per due volte nella stessa materia, per ripeterla il prezzo aumenta ulteriormente e così via, fino al 100 e al 200% in più rispetto alla tariffa base. Si può consultare la tabella delle tariffe alla Rey Juan Carlos di Madrid e il prezzo dei singoli crediti all’Autonoma di Barcellona.Eloy Alvarez, studente di Archeologia all’università di Granada, spiega alla Repubblica degli stagisti  perché essere bocciati non conviene affatto. «Alla prima iscrizione, almeno qui in Andalucia, il prezzo non è aumentato molto. Però dalla seconda immatricolazione sono saliti moltissimo i prezzi in caso di bocciatura. Un mio amico per una sola materia, alla sua quarta iscrizione, deve pagare 800 euro». Per gli spagnoli, dunque, è quasi impensabile rifiutare il voto di un esame come avviene in Italia, dove alcuni preferiscono ripetere più volte un esame fino a quando non conseguono un ottimo voto.Anche Manuel Lechuga Herrera, che ha appena terminato un master per l’insegnamento della storia a Granada, conferma il costo delle ripetizioni: «Io per fortuna ero in regola ma a un mio amico tre materie obbligatorie di 9 crediti sono costate più di 2mila euro perché si è iscritto tre volte». I costi aumentano in un contesto di tagli, che ha portato le università a contare su meno docenti (un migliaio in meno solo a Madrid), meno servizi e aule strapiene. A questa situazione bisogna aggiungere un irrigidimento dei requisiti di accesso per merito alle borse di studio: El Pais calcola che a perdere la condizione di borsista sarà una percentuale tra il 17 e il 33% degli studenti tra 2012 e 2014. La Spagna, ancora secondo El Paìs, destina lo 0,08% del Pil al finanziamento di borse di studio e aiuti contro lo 0,24% della media dei Paesi Ocse. «Noi studenti di facoltà umanistiche non capiamo perché i crediti delle materie sono così costosi visto che, oltre allo stipendio dei professori, non disponiamo di mezzi o servizi che giustifichino un sistema educativo così caro» continua Manuel Lechuga Herrera. «Torna la domanda: dove va e come si amministra tutto il denaro delle tasse universitarie? Ci è stato sempre detto che l’educazione pubblica universitaria è sovvenzionata con denaro pubblico perché è molto cara e che noi dovremmo pagare solo una piccola parte dei costi».«L’aumento delle tasse e l’irrigidimento dei requisiti per le borse di studio» conclude Eloy Alvarez  «non permetterà a molti di continuare gli studi universitari». L’università spagnola, di fronte a una crisi economica  che impone alle regioni indebitate di recuperare fondi, assiste al ridursi dell’intervento pubblico sempre più in direzione di una logica privata. Anche in Italia si assiste a un processo simile: a fronte di una percentuale bassissima di borse di studio, è anche molto alto il costo medio degli studi universitari, che ci colloca al terzo posto in Europa, dopo Regno Unito e Olanda. E per giunta in Italia la percentuale del Pil destinata all’istruzione è una delle più basse di tutti i Paesi Ocse.  Antonio Siragusa Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:  - Studiare costa, ma in Italia i prestiti d'onore ancora non decollano- Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'osso- Borse di studio, un montepremi complessivo a cinque zeri finanzia formazione e idee

Il settore dei servizi salverà i giovani dalla disoccupazione?

Secondo i dati pubblicati dall’Eurostat all’inizio di ottobre, nel 2011 quasi il 70% dei cittadini europei era impiegato nel terziario.Nella forbice tra Romania - 43% - e Lussemburgo - 85% - l’Italia si attesta dunque nella media con il 67,9% dei lavoratori attivi in questo settore. Come spiega Emilio Reyneri, docente di Sociologia del lavoro all’università Bicocca di Milano, nei servizi la produttività del lavoro è stabile o cresce molto poco (al contrario di agricoltura e industria dove la produzione può aumentare anche se non aumentano i lavoratori). Quindi se cresce la produzione deve crescere anche il numero dei lavoratori. Un’equazione semplice che innesca secondo le stime di Maurizio Ferrera, ordinario di Teoria e politica  dello stato sociale alla facoltà di Scienze politiche della Statale di Milano, un aumento dei tassi di occupazione giovanile. Nei paesi dove i servizi alle imprese, alle famiglie e ai consumatori creano più posti di lavoro, i giovani ne beneficiano non solo per le posizioni meno qualificate e meno retribuite, ma anche per incarichi ad alto contenuto di conoscenze. Ma come creare più servizi? Sicuramente una maggiore liberalizzazione dei settori a forte domanda di lavoro e scarsa offerta di candidature costituisce un incentivo non solo alla diminuzione dei prezzi ma anche alla creazione di nuovi posti.  Nonostante l’apertura dei mercati sia indicata da studiosi e politici come una strada da percorrere, non esistono soluzioni prêt-à-porter, a maggior ragione in un grave momento di recessione come quello attuale. Infatti strategie che mirino esclusivamente all'aumento di privatizzazione nella fornitura di servizi, non sembrano essere misure sufficienti per contrastare  il calo dei consumi e l'aumento del tasso di disoccupazione. Che sia il caso di associare a strategie di liberalizzazione nuove formule di organizzazione del lavoro? In Italia, ma anche all'estero, si va affermando l'idea di una flessibilità da intendersi in senso più ampio.Come intervenire quindi per garantire la crescita del settore dei servizi? Per limitare i danni da perdita del lavoro generata dal circolo vizioso tra il calo dei consumi e della produzione, è necessario affidarsi non solo alle facilitazioni in entrata e di uscita dal mercato del lavoro, ma anche alla rimodulazione dell’organizzazione e dei tempi in cui la prestazione è richiesta. Tito Boeri, docente di economia del lavoro all’università Bocconi e Herbert Bruecker collega di Boeri presso la Otto-Friedrich Universitaet di Bamberg, hanno provato a studiare ed immaginare delle “alternative”: secondo un recente studio, la riduzione degli orari di lavoro rende ottimi risultati in termini di salvaguardia dei posti – è il vecchio adagio “lavorare meno, lavorare tutti” – se applicata a periodi brevi. Eppure in Europa si continua a lavorare molto, ma a guadagnare meno e i tassi di disoccupazione si mantengono a livelli preoccupanti. Sempre secondo i dati fotografati dall’Eurostat per il 2011 [vedi tabella], la media delle ore lavorate nei ventisette paesi si attesta intorno alle quaranta settimanali. Le recenti dichiarazioni del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi aprono ad una scelta diversa: per ottenere un aumento della produttività e ridurre la pressione fiscale di almeno il 10%, rispetto al gap che il nostro paese ha con la Germania, sarebbe necessario lavorare di più.Ma allora quale strada seguire per uscire dalla crisi se liberalizzazione e maggiore flessibilità del mercato del lavoro sembrano essere poco efficaci? Anche in questo caso non è semplice dare risposte. In Italia, start-up di successo – e in particolare aziende legate al mondo di internet - sembrano dimostrare che la necessità sia quella di sperimentare nuove forme di impresa attraverso investimenti lungimiranti. D'altra parte se si chiede flessibilità ai lavoratori, la si deve anche saper ricevere ed il settore dei servizi ben si presta a tutte le sperimentazioni in termini di flessibilità, correndo tuttavia rischi ben noti. Un buon mix di sperimentazione, giovani meno choosy [letteralmente: «esigenti, pignoli, incontentabili» – non necessariamente «schizzinosi»] e flexicurity possono rappresentare la direzione verso cui guardare.Lorenza MargheritaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - I giovani sono i più colpiti dalla crisi, il Cnel: «Sempre più difficile trovare il lavoro per cui si è studiato»- Arriva DeRev, una start-up da guinness dei primati - Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa  

Arriva DeRev, una start-up da guinness dei primati

«Stiamo lavorando per trasformare le tue idee migliori in rivoluzioni». Con questo slogan che campeggia sull'homepage del sito Roberto Esposito si prepara a lanciare DeRev: «una piattaforma che offre gli strumenti per trasformare un'idea valida in un progetto reale». Un progetto così concreto che è riuscito ad ottenere, prima ancora di essere lanciato, un finanziamento di oltre un milione di euro.Merito dello spirito di iniziativa di questo 27enne salernitano che - mentre aspetta di discutere il prossimo dicembre la tesi di laurea in Ingegneria aeronautica alla Federico II di Napoli - fonda start-up, scrive libri ed entra persino nel Guinness dei primati. «Il primo sito l'ho messo in Rete a 14 anni e da allora non mi sono più fermato» ricorda «nel 2009 ho fondato crashdown.it, un blog in cui trattavo notizie di attualità in tono cinico e sarcastico: in sette mesi ha raggiunto le 150mila visualizzazioni al giorno». Costato i 50 euro necessari per la registrazione del dominio, è stato rivenduto a 15mila euro nel marzo del 2010.L'anno successivo è entrato nel Guinness World Record per aver dato origine al post più commentato su Facebook. «Il primato apparteneva alla Zynga, società che produce videogiochi: 292mila risposte ad un unico intervento». Così il giovane ha scritto una nota sul social network blu intitolandola «Questo sarà il post più commentato di Facebook», spiegando quale fosse il suo obiettivo. Risultato? «Oggi siamo a 560mila commenti». E non si è trattato soltanto di un gioco: «Dietro c'era una strategia di marketing: dimostrare che un ragazzo senza un centesimo riusciva a battere un colosso americano».Lo ha capito GreenPeace che ad aprile 2011 ha coinvolto Roberto Esposito «in una battaglia contro le aziende che lavorano su Internet perché l'energia che alimenta i loro data center è prodotta col carbone». L'obiettivo era quello di sensibilizzare queste realtà rispetto all'uso delle rinnovabili. «Abbiamo creato una pagina su Facebook, che era il paradigma di queste società, con l'obiettivo di realizzare il post più commentato in 24 ore». A fine giornata le repliche erano 80mila, in sedici lingue diverse. Così tanti che «il social network ha subito un rallentamento dei server» e a dicembre dello stesso anno ha accolto l'appello, annunciando di voler passare all'energia pulita.In questi giorni poi è in uscita per Sperling&Kupfer un libro firmato da Esposito dall'eloquente titolo «Figure di merda», una vera e propria antologia di 'figuracce' raccolte via web dai diretti protagonisti. A metà ottobre invece andrà on line DeRev, abbreviazione del latino De Revolutione, la start-up cui il futuro ingegnere sta lavorando insieme ai suoi due soci programmatori Antonio Mottola e Fulvio Sicurezza, ingegneri informatici rispettivamente di 37 e 38 anni. Si tratta di un srl con un capitale sociale di soli 10mila euro, che pure è riuscita a convincere una società di venture capital come Vertis SGR e un gruppo di business angel guidato da Giulio Valiante e Michele Casucci ad investire 1 milione e 250mila euro sul progetto. Grazie alla prima tranche di questo finanziamento, Roberto Esposito e la sua squadra hanno affittato un appartamento in un antico palazzo del centro di Napoli, installandovi la sede della start-up.Ma di che cosa si occupa DeRev? «Noi diamo a chi ha un'idea, ma manca di visibilità e di budget, gli strumenti per valorizzarla e metterla in pratica». Che ci si muova nel mondo della cultura, nella tecnologia, che riguardi la politica o una causa in particolare, poco importa. Sul sito c'è tutto ciò che serve per diffondere il proprio progetto. «Innanzitutto c'è una piattaforma di crowfunding», che permette di raccogliere il denaro necessario a sostenere l'iniziativa, quindi «uno spazio per eventuali raccolte di firme o manifestazioni di adesione ad un evento». Ancora, «un blog ed un forum dedicato a ciascun progetto, un canale di streaming live che può essere usato sia per conferenze private che per dibattiti pubblici».Il ritorno economico arriva da diverse fonti. «Intanto prendiamo una piccola commissione sulle raccolte di fondi, che varia dal 3 all'8 per cento a seconda che si scelga di ritirare l'intera somma a fine campagna o di raccogliere importi minori volta per volta». C'è poi un «sistema di pubblicità integrato»; gli inserzionisti possono scegliere di collegare il proprio messaggio ad un determinato progetto, al quale DeRev devolverà parte degli introiti. Ancora, «le aziende possono fare delle ricerche di mercato creando un sondaggio e pagando sulla base dei voti che ricevono».L'idea per un'impresa di questo tipo è nata dalla considerazione che «Internet sta diventando uno strumento virtuale che ha una ricaduta fortissima sulla realtà». Per riuscire a farsi conoscere e ad attirare investimenti Esposito ha «messo a punto una presentazione formata da 11 slide, che credo di aver rifatto in almeno 60 versioni», scrivendo poi un fiume di email «alle principali realtà di venture capital per chiedere un appuntamento» e iniziando a partecipare ad eventi pensati per le start-up, come Vulcanica-Mente a Napoli». Alla fine ha trovato delle persone disposte ad investire sul suo progetto, grazie alle quali non solo lui e i suoi soci hanno uno stipendio garantito da DeRev, ma hanno assunto a tempo indeterminato cinque persone per lavorare allo sviluppo dell'azienda. Del resto la sfida è ambiziosa: «Vogliamo diventare leader italiani entro l'estate 2013, quindi espanderci in Europa. Penso che tra un anno e mezzo chiederemo un nuovo finanziamento. Di quanto? Tra i 15 e i 20 milioni».Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Una startupper sarda negli States: «Qui conta il merito. Ma si può fare anche in Italia»- Guk Kim, il giovane coreano che suggerisce agli italiani dove andare a mangiare: con un'app- Il mouse diventa smart grazie a cinque giovani startupper mantovani- Da Viterbo a Parigi passando per l'India, anche la moda fa start-up- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Professioni sanitarie, tanti posti di lavoro: ma davvero, o solo sulla carta?

Ospedali a caccia di infermieri e operatori sanitari. O almeno così sembrerebbe, perché i dati sul fenomeno del mismatch tra domanda e offerta di lavoro, su cui la Repubblica degli Stagisti torna a indagare, sono apparentemente discordanti per quanto attiene il settore sanitario. I numeri relativi al 2011 forniti da Unioncamere, che parlano di uno stock di occasioni lavorative andate in fumo (per mancanza di risorse da inserire) pari a ben 117mila unità, attribuiscono a questo settore il 7% dei posti rimasti senza copertura. Più di 8mila tra infermieri, ausiliari, tecnici di smaltimento e altre figure (non mediche): in base alle stime dello stesso ente pubblicate a settembre le aziende intervistate avevano previsto 30mila assuzioni per il 2012, un'enormità considerando che quelle del settore media e comunicazione superano di poco le 4mila. Le cronache del resto confermano: è di qualche giorno fa la notizia dell'ospedale Grassi di Ostia, talmente in crisi di personale nel reparto di neonatologia da lanciare l'allarme per la possibile insorgenza di errori medici. In pochi anni, dal 2004 al 2011, si è passati qui da 1200 a 2mila nascite (anche grazie all'apporto dei residenti immigrati), mentre il numero di infermieri per turno è rimasto invariato: solo tre, quando ne servirebbe almeno uno o due in più a detta del sindacato Uil Flp. Le statistiche dell'impiego sono altrettanto chiare in questo senso: Almalaurea colloca il gruppo sanitario sul gradino più alto delle lauree con maggiore tasso di occupazione. Nel 2007 i laureati del settore medico-sanitario, a un anno dalla laurea, avevano un lavoro nell'84,4% dei casi, il doppio del gruppo secondo classificato - quello dell'educazione fisica (i laureati in ambito letterario o giuridico non superano invece il 20%). Nel 2010 invece i laureati del settore sanitario freschi di titolo si sono confermati leader nella classifica degli occupati, ma con un netto calo (73,5%), come probabile effetto della crisi economica. Nel 2011 comunque si è tornati a salire, raggiungendo quota 93%. Risultati davvero incoraggianti a fronte dei quali però le iscrizioni alle facoltà per professioni sanitarie (28 in totale, escluse le private) risultano in diminuzione del 3% rispetto all'anno scorso: 123mila le domande per il 2011, quasi 4mila in meno quest'anno. Nonostante poi anche le aspettativa di reddito siano di tutto rispetto: per gli infermieri si va dai 1.300 ai 1.800 euro al mese, a seconda del livello.«In Italia abbiamo circa 330mila infermieri registrati all'ordine e che risultano attivi» spiega Angelo Mastrillo dell'Osservatorio per la formazione universitaria delle professioni sanitarie del Miur  [nella foto sotto]. Gli infermieri rappresentano il 63% degli operatori del settore (i censiti nel 2011 sono 583mila, tra cui 40mila fisioterapisti, 30mila tecnici di laboratorio, 23mila tecnici radiologi, 16mila ostetriche, solo per indicarne alcuni). «Con un turn over al 3%, occorrerebbero circa 10mila nuove leve all'anno per coprire i posti che si liberano, ma in Italia si formano circa 15mila professionisti ogni anno», ragiona Mastrillo «e se prima premevo sul ministero per ampliare l'organico ospedaliero, ora me ne guardo bene vedendo i tanti ragazzi disoccupati». È evidente infatti che se il fabbisogno stimato è 10mila unità, 5mila laureati restano fuori. Eppure la richiesta di infermieri non è affatto in declino, tutt'altro. Dov'è il bandolo della matassa dunque? Tutta colpa del taglio dei posti letto. Ne è convinto Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, sindacato nazionale degli infermieri: «I piani di rientro, la trasformazione della chirurgia in day surgery e le varie riorganizzazioni ospedaliere hanno bloccato le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni». E questo benché «nel nostro paese la diffusione di infermieri per abitanti sia inferiore alla media europea, a tutto vantaggio dei medici. Che peraltro all'estero sono di meno». Per uscirne «bisogna che il sistema si assesti perché in questo modo scarseggiano i servizi sul territorio e le persone ammalate sono costrette a ricorrere a servizi privati». In buona sostanza: via il personale sanitario dagli ospedali, malgrado le esigenze di assistenza a chi si ammala siano sempre maggiori. E anche gli aspiranti infermieri o tecnici sanitari, da un lato rassicurati dalle statistiche che danno una "quasi certezza" di trovare lavoro subito dopo il titolo, sembrano voler fare marcia indietro perchè sono spaventati, dall'altro lato, dalla stretta sulle assunzioni nel pubblico. «I concorsi sono sempre strapieni» quindi non sono i candidati a mancare, «ma con una dotazione di organico stabilita in base ai posti letto», il personale assunto non può che diminuire, lascia intendere Bottega.I problemi non mancano neppure sul piano dello stipendio per chi lavora nelle cooperative, dove finisce quel 20% di infermieri - spesso immigrati - non assorbito dalle pubbliche amministrazioni. «Qui hanno gioco facile a corrispondere salari inferiori rispetto a quelli percepiti dai colleghi italiani. Inoltre in questi casi a pagare è comunque il pubblico, i cui ritardi si ripercuotono inevitabilmente sulle buste paga». Insomma il caso non sarebbe di quelli in cui il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è imputabile ai servizi (mancanti) di orientamento o alla scarsa propensione dei ragazzi a cimentarsi con professioni di questo tipo. «È un mito da sfatare valido forse anni fa, ma ora non più», assicura Mastrillo. I giovani specializzati nel settore ci sono, e la richiesta del mercato è elevata. In mezzo però ci sono il blocco del turn over e la spendig review, che sta forse presentando un conto troppo salato alla sanità.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, un problema sottovalutato- Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro?- Le aziende cercano grafici e ingegneri del web: ma non ce ne sono- Giovani e disoccupazione, binomio sempre più stretto: l'Istat traccia un quadro cupo per le nuove generazioni in cerca di lavoro E anche: - Tecnologie fisiche innovative, facoltà poco conosciuta ma molto utile per trovare lavoro

Gianluca Dettori: «Decreto start-up, un passo nella giusta direzione»

Un passo avanti, un'inversione a 'U' rispetto ad un Paese in cui al Viminale «si parlava di chiudere Facebook». Gianluca Dettori, saluta così l'approvazione del decreto Sviluppo bis e delle norme dedicate alle start-up. Classe 1967, una laurea in Economia all'università di Torino, nel 1999 ha fondato Vitaminic, primo distiributore discografico digitale in Europa. Nel 2006 ha dato vita a dPixel, società di venture capital per le internet start-up che ha nel proprio portfolio 12 giovani aziende innovative, tra le quali c'è anche Sardex, realtà della quale Startupper si è occupata in estate. Dopo la pubblicazione del decreto, Dettori ha accettato di commentarlo con Repubblica degli Stagisti.Cosa pensa dei contenuti del decreto Sviluppo bis?Mi sembra un ottimo decreto, contiene molti elementi. Ovviamente mi focalizzo sulle start-up, ma penso che anche le innovazioni introdotte per la pubblica amministrazione, se effettivamente riusciranno ad implementarle, rappresentano un piano ambizioso per la digitalizzazione. Questo è buono perché fa risparmiare dei soldi e consente maggiori efficienze sotto il profilo economico. Inoltre migliora i servizi e porta il digitale in mano a molti, che oggi nemmeno se lo immaginano. E questo potrebbe allargare il mercato digitale, cosa che indirettamente può favorire anche le start-up. Sul tema specifico, mi sembra che il decreto sia ottimo per incominciare, ci sono un paio di cose che ci si aspettava e invece non ci sono, ma nel complesso è un provvedimento con un obiettivo preciso: si è scelto focalizzarsi sulle imprese innovative e sui giovani. Una delle cose che trovo molto innovative è il fatto che sia possibile il crowdfunding, introdotto in una misura che potremmo definire come una versione ristretta di quella contenute nel Jobs act di Obama.Lei parla di focus sui giovani. Eppure non è previsto alcun limite di età per gli startupper.Andiamo a vedere l'impianto della norma: al di là del fatto che ci sia un limite di età o meno, se si guarda l'impianto è chiaro che è tipicamente indirizzato a chi deve fare nuove imprese nel campo dell'innovazione. Ci sono requisiti, come quelli legati agli incubatori, al ruolo degli investitori. E poi c'è il crowdfunding. Nel complesso è un impianto che andrà ad attecchire su larghe fasce di giovani disoccupati che, invece di cercare un posto che non trovano, possono creare un'azienda con una serie di semplificazioni all'atto della fondazione, con la possibilità di effettuare operazioni ad oggi riservate alle società per azioni, come la cessione di stock option defiscalizzate per cui persone chiave nell'organigramma diventano socie, con le agevolazioni fiscali agli investitori, un incentivo in più per far affluire capitali. Il decreto mira a costruire un mercato, interviene su un contesto che già esiste e gli affida degli strumenti non banali. Certo, resta il tema dei soldi: il crowdfunding lo risolve in parte. Resta aperta la questione del Fondo dei fondi, però si parla di un impegno da parte della Cassa depositi e prestiti.A questo proposito, pensa che la mancata introduzione del Fondo dei fondi e dell'Iva per cassa possano indebolire il provvedimento?Sono i due elementi cose che impattano sulla liquidità. Oggi le risorse dello Stato sono molto limitate e non sono riusciti a farli stare in piedi. Io dico che questo è il primo provvedimento che facciamo sul digitale: si può sempre fare di più ma è già un'ottima partenza. Realizzare in tempi ragionevoli quanto è previsto nel decreto è importante, è il primo di una serie di passi che si possono fare nel tempo. Certo, uno dei problemi oggi è che mancano i capitali per partire, il Fondo avrebbe avuto senso per far fronte a questa situazione. Ma la questione avrà i suoi sviluppi visto che c'è l'impegno della Cdp. Ad esempio in Francia succede questo, con la Caisse des Dépôts che svolge un importante ruolo di investitore istituzionale.È d'accordo con la definizione di start-up contenuta nel rapporto e ripresa nel decreto? Come giudica la scelta di limitare il campo di attività alla sola innovazione tecnologica?Mi sembra che le definizioni siano abbastanza corrette. Dare una definizione serve per non fare un intervento a pioggia, si stringe il mirino su quelle che comunemente si chiamano start-up. Per come è scritta nel decreto, mi sembra che voglia evitare che si definisca start-up qualcosa che non lo è, garantendo allo stesso tempo un set abbastanza ampio per cui rientra nel novero anche una start-up software che non ha brevetti ma investe in ricerca. Mi sembra che sia un approccio sensato nel contesto di una norma che supporta le realtà innovative. Se poi si vuole fare una start-up meccanica, questa prospettiva non è preclusa, ma questa azienda deve innovare. Chiaro che se invece si vuole fare una normale officina, in quel caso ci sono le agevolazioni per le piccole e medie imprese, c'è già una infrastruttura di sostegno esistente.Sia la iSrl, introdotta dal decreto, che la Ssrl, la società a 1 euro, praticamente non hanno capitale sociale. Non ritiene che questo rischi di bloccarne la crescita?Questa è una questione che forse crea qualche confusione. Oggi, se si vuole si fondare l'equivalente di una spa con qualche dollaro on line si guarda al Regno Unito o agli Usa. Molti dei ragazzi che vengono qui in dPixel hanno fondato con 100 sterline una Ltd in Gran Bretagna. Questo provvedimento vuole permettere di fare qualcosa di analogo, cioè consentire a chi vuole dar vita a una start-up di creare una società senza dover tirare fuori una somma elevata, ma solo un capitale limitato, che qualunque ragazzo può avere. Questo è possibile perché le società non si reggono sul capitale sociale. E ora evidentemente non ha più senso creare una Ltd a Londra perché si può fondare una iSrl in Italia.Ma senza capitale come si sopravvive?Il capitale è un fatto di bilancio, le società mica vivono di questo. Anche con la srl si versa qualche migliaio di euro, poi però si deve avere un fatturato e con quello pagare i costi.In rete si è parlato di un possibile conflitto di interessi da parte di alcuni membri della task force. Lei cosa ne pensa?Mi sembra che siano chiacchiere che lasciano il tempo che trovano. Il decreto l'ha scritto il ministro, che ha deciso di fare una consultazione aperta e pubblica, con i nomi e i cognomi delle persone a cui chiesto dei contenuti. Tra questi c'è Annibale D'Elia, che è un funzionario della Regione Puglia che ha dato vita al progetto Bollenti spiriti, c'è Selene Biffi, che è una startupper nel sociale. Poi, certo, ci sono i venture capital. Però non riesco a capire il tema di questo conflitto di interessi. Se fai consultazione di questo tipo a chi bisogna chiedere? Agli idraulici? La task force ha scritto ciò che riteneva corretto, ha compiuto delle scelte precise. In Italia è ora che si venga fuori con delle soluzioni piuttosto che con dei problemi: se si hanno idee migliori che si propongano, ma dietrologie sono solo tempo perso.Crede che grazie a questo decreto l'Italia possa davvero diventare un terreno fertile per le start-up?Il diavolo sta nei dettagli e nell'implementazione. Intanto il decreto deve essere convertito in legge,  quindi dovrà passare attraverso un dibattito in Parlamento. Diciamo che se tutti i contenuti fossero implementati in tempi rapidi, come peraltro la situazione richiede, faremmo un passo avanti notevole. Ricordo che due anni fa un ministro dell'Interno parlava di chiudere Facebook, ora abbiamo fatto un'inversione a 'U' e abbiamo imboccato la direzione giusta.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itSe hai trovato interessante questo articolo, leggi anche:- «Restart Italia», con il decreto Sviluppo bis arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up- «L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro Passera- Impresa a 1 euro, dopo otto mesi la promessa del governo è finalmente realtàE anche:- Una startupper sarda negli States: «Qui conta il merito. Ma si può fare anche in Italia»- Guk Kim, il giovane coreano che suggerisce agli italiani dove andare a mangiare: con un'app- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Indennità di maternità per le precarie, quanto danno le casse previdenziali dei professionisti

In tema di indennità di maternità per lavoratrici precarie o freelance le casse previdenziali delle professioni sono più trasparenti e spesso più generose dell’Inps Gestione separata. In primis quasi tutti i siti web degli enti previdenziali riportano chiare ed esaustive informazioni, in secondo luogo tutti garantiscono un minimo anche alle lavoratrici che non raggiungono determinati importi di guadagno e dunque contributivi. È importante anche sapere che, differenza della Gestione separata Inps, le altre casse non impongono alla donna di astenersi dall’attività lavorativa durante i mesi di gravidanza indennizzabili. E che tutte prevedono un'indennità minima pari a 4.752,80 euro. In pratica, chi non raggiunge un importo minimo reddituale riceve comunque questa cifra.L’indennità di maternità viene garantita da tutte le casse anche in caso di interruzione della gravidanza per motivi spontanei o terapeutici dopo il compimento del sesto mese (26 settimane), adozione o affidamento in pre-adozione del bambino di età non superiore ai sei anni. Per il calcolo dell’importo tutte le casse adottano lo stesso metodo: l’80% di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato nel secondo anno precedente quello dell’evento.La Repubblica degli Stagisti ha considerato le maggiori casse professionali.Enpab Ente nazionale di previdenza e assistenza a favore dei biologiÈ una delle casse previdenziali con la percentuale di donne maggiore: degli 11mila iscritti il 70% è di sesso femminile. L’indennità di maternità è corrisposta alle iscritte che attestino l’inesistenza del diritto ad altra indennità presso altri enti o istituti. L’indennità massima erogabile è pari a cinque volta la minima. La domanda va presentata a partire dal sesto mese di gravidanza entro il termine perentorio di 180 giorni dalla data del parto, dell’effettivo ingresso del bambino in famiglia, o dalla data dell’aborto. Interessante riscontrare che su 264 indennità di maternità liquidate nel 2011, in ben 149 casi (più della metà) si trattava di iscritte con redditi al di sotto della soglia minima che dunque hanno ricevuto l’indennità minima - che in quell’anno ammontava a 4.627 euro.Inpgi Istituto di previdenza giornalisti italiani L’Inpgi è dotato di una gestione separata a cui sono iscritti poco più di 32mila giornalisti freelance e precari, di cui circa 13.500 donne. La liquidazione dell'indennità è disposta in un’unica tranche a decorrere dal verificarsi dell'evento e il periodo indennizzabile comprende i due mesi precedenti il parto e i tre successivi. La spesa complessiva che l’Inpgi ha sostenuto per pagare le indennità di maternità dell’anno 2011 a lavoratrici cococo e freelance è di poco più di un milione di euro, di cui 709.663 alle libere professioniste e 312.429 alle collaboratrici coordinate e continuative. Le indennità di maternità pagate nel 2011 sono state 172 (119 a freelance e 53 a cococo), dunque l’indennità di maternità media per l’anno preso in considerazione è di 5.942 euro. I dati di bilancio relativi al 2010 dimostrano che la media dei redditi per giornalisti con cococo è di circa 9.500 euro e per freelance è di 12mila euro: dunque la maggior parte delle professioniste che richiedono la maternità accede all’indennizzo minimo.Enpacl Ente nazionale di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoroCirca la metà dei poco meno di 27mila iscritti all’Enpacl sono donne. L’indennità di maternità è corrisposta alle iscritte che attestino l’inesistenza del diritto ad altra indennità presso altri enti o istituti. La domanda va presentata a partire dal sesto mese di gravidanza entro il termine perentorio di 180 giorni dalla data del parto, dell’effettivo ingresso del bambino adottato in famiglia, o dalla data dell’aborto. Le indennità erogate dall'Enpacl nel 2011 sono state 380: solo 41 donne, dato confortante rispetto alle altre casse, hanno ricevuto l'assegno minimo.Enpaf Ente nazionale di previdenza e assistenza dei farmacisti L’indennità di maternità è corrisposta alle iscritte (poco più di 28mila su un totale di circa 74mila) che attestino l’inesistenza del diritto ad altra indennità presso altri enti o istituti e spetta in caso di gravidanza e puerperio, adozione, affidamento, aborto spontaneo o terapeutico. Nel caso di una titolare di farmacia i redditi prodotti sono redditi di impresa e, dunque, non possono essere presi a riferimento come base del calcolo dell’indennità. Hanno titolo all’indennità di maternità: le titolari, le socie, le collaboratrici di impresa familiare e le associate agli utili di farmacia o di parafarmacia; le disoccupate temporanee e involontarie iscritte ai Centri per l’impiego; coloro che svolgono attività professionale in regime di lavoro autonomo, con partita Iva; coloro che svolgono attività professionale nell’ambito di una borsa di studio; le iscritte che pur non essendo disoccupate non svolgano alcuna attività lavorativa pur non essendo iscritte alle liste di disoccupazione dei cpi; le iscritte che svolgono attività professionale in regime di collaborazione coordinata e continuativa; le iscritte che in regime di lavoro autonomo svolgano attività non professionale. L’indennità di maternità viene corrisposta per i due mesi precedenti e per i tre successivi la data del parto, l’emolumento viene erogato nella stessa misura anche in caso di aborto che sia intervenuto dopo il compimento del sesto mese di gravidanza. In caso di aborto verificatosi a partire dal terzo mese di gravidanza (dodicesima settimana) ma prima del compimento del sesto mese spetta un’indennità pari a una sola mensilità. Nel 2011 l’Enpaf ha liquidato 366 richieste di maternità di cui 361, quasi tutte, al minimo. Il caso dell’Enpaf però è particolare perché vengono calcolate in base al reddito solamente quelle richieste da farmaciste con partita iva, mentre a tutte le titolari di farmacia viene garantito l’importo minimo.Enpap Ente nazionale psicologiLe donne rappresentano ben l’80 per cento dei 45mila psicologi iscritti alla cassa. Se l'iscrizione all´Enpap ricade nel corso dei cinque mesi indennizzabili, l'importo dell'indennità viene riconosciuto solo per la frazione di periodo posteriore alla data di iscrizione stessa. L'Enpap provvede all´erogazione dell´indennità di maternità, su espressa indicazione della richiedente, tramite bonifico bancario su c/c intestato (esclusivamente o almeno cointestato al nominativo dell'iscritta). L'iscritta può anche optare per l´invio di un assegno circolare. L'importo viene versato entro fine terzo mese dalla richiesta in un’unica soluzione.Enpam Ente nazionale di previdenza e assistenza mediciPer quanto riguarda la Gestione separata dell'Enpam (più di 350mila iscritti totali, 40,2% alla gestione separata) le informazioni non sono reperibili sul sito e l’ufficio stampa ha spiegato alla Repubblica degli Stagisti che esistono tante diverse forme e regole di indennità a seconda dei diversi contratti parasubordinati, dell’attività in proprio o di quest’ultima abbinata a un impiego fisso.Le altre casse (con incidenza minima di donne iscritte)Tra queste, a distinguersi è certamente Fondazione Enasarco di previdenza, assistenza, formazione e qualificazione degli agenti e rappresentanti di commercio (quasi 265mila iscritti, di cui l'11,5% di donne) che garantisce un contributo di maternità per ogni figlio nato dal 1 gennaio 2012 di mille euro per il primo figlio, 1.250 per il secondo e 1.500 per il terzo. La Fondazione richiede anche requisiti molto restrittivi: essere un agente in attività con un conto previdenziale, incrementato esclusivamente da contributi obbligatori, che al 31 dicembre 2010, presenti un saldo attivo non inferiore a euro 1.780 e un’anzianità contributiva complessiva di almeno tre anni, di cui gli ultimi due consecutivi. Inarcassa  Cassa nazionale di previdenza e assistenza in favore degli ingegneri e architetti liberi professionisti (ingegneri iscritti 214mila, il10,3%, architetti iscritti 138mila, il 36,4%) e Cassa Commercialisti (Quasi 57mila iscritti di cui circa 17mila donne), si comportano nello stesso modo di tutte le altre casse. Va detto però che, soprattutto in quest’ultima la disparità tra reddito medio degli iscritti uomini e delle donne e enorme: 62.292,19 euro quello dei primi, 36.872,73 delle seconde.Un esempio praticoAvendo riscontrato la medesima modalità di concessione e calcolo dell’indennità in quasi tutte le casse, la Repubblica degli Stagisti ha deciso di fare degli esempi pratici.  Una professionista trentenne iscritta a una di queste casse previdenziali dal dicembre 2010 che partorisca nel 2012, avendo una soglia di stipendio nel 2012 a zero o molto bassa (che non raggiunge la soglia minima) avrà diritto all’indennità minima di 4.500 euro. Una lavoratrice che invece era già iscritta, il cui reddito 2010 ammontasse a 12mila euro lordi dovrebbe prendere 4mila euro. Ma siccome il minimo d’indennità ammonta a 4.500 otterrà comunque questa cifra. Infine una professionista il cui reddito 2010 invece ammontasse a 20mila euro lordi prenderebbe 6.666,66 euro.Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Lavoro e pensioni, cosa sono i contributi figurativi e come cambierebbero con la riforma- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggi

Ma le lavoratrici precarie hanno diritto all'assegno di maternità?

Cosa garantiscono le casse previdenziali alle precarie-freelance per la maternità? In particolare tutte le casse prevedono un’indennità di maternità per le neomamme iscritte alla gestione separata? La Repubblica degli Stagisti ha scandagliato il mare magnum della previdenza italiana per capirci qualcosa e riuscire a fare chiarezza, a beneficio delle tante giovani precarie che prevedono – o più spesso si limitano a sognare – di fare un bambino.La cassa più importante è ovviamente l'Inps, che ha una sezione esclusivamente dedicata a chi non è assunto con contratto subordinato e che comprende dunque la maggior parte dei precari, sia quelli in forza presso imprese private sia quelli del pubblico impiego. Ma chi si può iscrivere alla gestione separata dell’Inps? I cosiddetti lavoratori parasubordinati, cioè coloro che sono assunti con i cosiddetti cococo, contratti di collaborazione coordinata e continuativa, a progetto e non. E poi venditori porta a porta, liberi professionisti senza cassa, lavoratori autonomi occasionali. Ed è proprio la Gestione separata dell'Inps quella che garantisce meno alle lavoratrici: se una donna ha versato meno di 957 euro di contributi nell'anno precedente la gravidanza automaticamente non ha diritto all'indennitá.Oltre all’Inps, poi, ci sono le tante casse professionali riferite a singoli settori: qui la prima cosa utile da sapere è certamente che non tutte le casse prevedono una gestione separata. Perché molte sono costituite esclusivamente da lavoratori autonomi.E cosa garantiscono le varie casse a lavoratrici precarie e freelance che entrano in maternità?Una premessa è d’obbligo: il sito web dell’Inps è decisamente poco chiaro e in diverse pagine si riferisce in termini differenti all’indennità di maternità o al congedo per maternità per lavoratrici parasubordinate. In questo articolo verranno messe in luce e integrate solamente le informazioni certe reperite a due pagine sotto la voce “Lavoratrici e lavoratori iscritti alla Gestione separata Inps” e  sotto il titolo Congedo per maternità alle lavoratrici parasubordinate.QUALI CASSE?    La Repubblica degli Stagisti ha prevalentemente considerato casse in cui sia iscritta un’alta percentuale di donne, in particolare Gestione separata Inps (706mila donne), Enpab Ente nazionale di previdenza e assistenza a favore dei biologi (quasi 8mila donne), Enpacl Ente nazionale di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro (12mila donne), Enpaf Ente nazionale di previdenza e assistenza dei farmacisti (28mila donne), Enpam Ente nazionale di previdenza e assistenza medici (352.260 iscritti), Inpgi Istituto italiano di previdenza giornalisti italiani (13.500 donne), Enpap Ente nazionale psicologi (36mila donne) e Cassa forense (162mila iscritti). Ha poi approfondito anche alcune casse con incidenza minore di donne iscritte come la Cassa commercialisti (circa 17mila donne), Inarcassa Cassa nazionale di previdenza e assistenza in favore degli ingegneri e architetti liberi professionisti (ingegneri iscritti 214mila, architetti iscritti 139mila) e Fondazione Enasarco di previdenza, assistenza, formazione e qualificazione degli agenti e rappresentanti di commercio (30mila donne).Il primo riscontro interessante è che tutte le casse prevedono un indennizzo di maternità per lavoratrici autonome e precarie. Ma ovviamente i requisiti e gli importi garantiti cambiano da cassa a cassa. Tra le casse principali in termini di numero di iscritti l’Inpdap (che da poco è stata accorpata all’Inps) non ha mai previsto una gestione separata perché fungeva da organo previdenziale solamente per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato o indeterminato dalle amministrazioni pubbliche.COSA GARANTISCONO LE VARIE CASSE?Tutte le casse prese in considerazione garantiscono l’indennizzo di maternità per cinque mesi, indicativamente così suddivisi: i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre successivi. Quasi tutte versano però l’importo totale in un’unica soluzione tramite bonifico sul conto corrente o assegno circolare. E a quanto ammonta tale una tantum? Dipende dal reddito, nel senso che è proporzionale allo stipendio dell’iscritta. Interessante è capire a quanto hanno diritto le precarie che guadagnano poco, insomma le “milleuriste”. In questo caso, chi due anni prima della gravidanza abbia percepito un’importo pari a 10mila euro lordi percepirà comunque il minimo perché con il calcolo dell’importo, (10.000 x 5 : 12) x 80% raggiunge solo 4mila euro, importo minore a quello minimo previsto da tutte le casse. Per quanto riguarda la Gestione separata dell’Inps ai fini del computo delle indennità il reddito annuo da prendere a riferimento è quello utile ai fini contributivi nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile (due mesi precedenti la data presunta del parto) e l’importo totale dell’indennità è pari all’80% del reddito medio giornaliero moltiplicato per tutte le giornate comprese nel periodo indennizzabile. Il diritto all’indennità spetta a condizione che nei 12 mesi precedenti il mese di inizio del congedo di maternità (o paternità) risultino effettivamente accreditati alla gestione separata almeno tre contributi mensili che raggiungano un minimo stabilito. Tra le altre casse quasi tutte prevedono un’indennità minima intorno ai 4500 euro e una massima variabile da cassa a cassa. Molte conteggiano l’importo lordo dell’indennità secondo il medesimo calcolo: reddito del secondo anno precedente l´evento moltiplicato per 80%, diviso 12, moltiplicato per 5.Per tutte le casse che si comportano in questo modo è utile fare un esempio pratico. Una professionista trentenne iscritta a una di queste casse previdenziali dal dicembre 2010 che partorisca nel 2012, avendo una soglia di stipendio nel 2012 a zero o molto bassa (che non raggiunge la soglia minima) avrà diritto all’indennità minima di 4.500 euro. Una lavoratrice che invece era già iscritta, il cui reddito 2010 ammonti a 12mila euro lordi, dovrebbe prendere 4mila euro. Ma siccome il minimo d’indennità ammonta a 4.500 otterrà comunque questa cifra.La Fondazione Enasarco non si basa sul reddito ed è più “tirchia” delle altre visto che prevede un assegno di mille euro per il primo figlio, 1250 per il secondo, 1500 per terzo o successivo. Per tutte le casse che presumono una quota minima se l’importo è inferiore a questa, viene liquidata l’indennità minima.QUANTA ANZIANITA' SERVE PER POTER RICHIEDERE L’INDENNITA'?Alla Gestione separata Inps il diritto all’indennità di maternità spetta a condizione che nei 12 mesi precedenti il mese di inizio del congedo di maternità risultino effettivamente accreditati alla gestione separata almeno tre contributi mensili comprensivi dell’aliquota maggiorata. In tutte le altre casse se l'iscrizione è inferiore ai cinque mesi nel periodo indennizzabile, l'indennità viene riconosciuta in misura frazionata in base ai giorni di iscrizione maturati nel periodo oggetto di tutela.MINIMALI E MASSIMALI DA RISPETTAREIn quanto a minimali l’Inps è decisamente l’ente meno generoso: i tre contributi mensili, moltiplicati per 12, devono ragiungere il minimale preposto di 14.334 euro. Per esempio nell'anno 2010 per ogni 319,17 euro versati l'Inps accrediterà un mese e per avere accreditati tre mesi di indennizzo debbono essere stati versati almeno 957,51 euro. Per le altre casse la misura del’indennità minima è intorno ai 4.700 euro, la massima varia di caso in caso ma nella maggior parte dei casi è di circa 23mila euro.SI PUO' LAVORARE ANCHE MENTRE SI PERCEPISCE L’INDENNITA'?Mentre la gestione separata Inps impone alle lavoratrici di sospendere l’attività lavorativa attraverso qualsiasi tipologia contrattuale (per esempio una iscritta alla gestione separata Inps che avesse la partita Iva non può emettere nemmeno una fattura nel periodo tra i 2 mesi prima e i 3 mesi dopo il suo parto) nei mesi in cui è riconosciuta l’indennità, le altre casse permettono alle lavoratrici di proseguire con la propria attività freelance.Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Lavoro e pensioni, cosa sono i contributi figurativi e come cambierebbero con la riforma- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggi

Inps: la dura legge dell'indennità di maternità alle lavoratrici precarie

Per una lavoratrice iscritta alla Gestione separata Inps capire come richiedere e ottenere l’indennità di maternità è decisamente arduo. Il sito web dell’Inps, infatti, oltre a essere poco chiaro e men che meno intuitivo, è un mare magnum di informazioni, ripetute, contraddette e confuse in diverse pagine web.Per reperire indicazioni e dati sull’indennità di maternità concessa dall’Inps a lavoratrici freelance e precarie la Repubblica degli Stagisti, non riuscendo a capire quale pagina web prendere in considerazione (in particolare tra questa pagina e quest'altra pagina) ha contattato via email l’ufficio stampa Inps chiedendo informazioni e dati numerici, a partire dal numero di iscritti (e di donne iscritte) alla gestione separata. Questa è stata la risposta: «i dati richiesti sono presenti sul nostro sito internet, www.inps.it. In particolare, possono essere reperiti nella sezione Dati e bilanci, alle voci Osservatori statistici (Osservatorio sui lavoratori parasubordinati, Osservatorio sulle pensioni>Complesso delle pensioni vigenti), Rapporto annuale 2011 e Rapporto sulla coesione sociale 2011 (Tav. II.2.2)». Peccato però che nelle pagine segnalate si trovino solamente dati statistici ma nessuna informazione relativa all’indennità di maternità.Al secondo tentativo, stavolta telefonico un addetto alla comunicazione ha suggerito di sentire un «esperto del settore maternità», facendo richiesta scritta. La mail è stata inviata il 18 settembre e l’ufficio ha risposto spiegando di aver girato la richiesta agli uffici competenti. Per una decina di giorni, nonostante ripetuti solleciti, nessun’altra novità. Nel frattempo la Repubblica degli Stagisti ha studiato i documenti faticosamente reperiti sul sito, cercando di capirci qualcosa.Dal Rapporto annuale 2011 dell’Inps emerge che gli iscritti alla Gestione separata sono circa 1 milione e 700mila divisi tra 263.572 contribuenti professionisti di cui 100mila donne e 1.444.039 contribuenti collaboratori di cui 604mila lavoratrici. Quindi, quando si parla di Inps gestione separata, si parla di oltre 700mila lavoratrici: considerando che le tipologie contrattuali parasubordinate sono state introdotte solamente 15 anni fa e che riguardano prevalentemente i nuovi entranti, cioè i giovani che fanno il loro ingresso nel mercato del lavoro, si può calcolare che almeno la metà – se non due terzi – di queste 700mila iscritte sia in età fertile, e dunque potenzialmente interessata alla questione dell’indennità di maternità. Qui i dati precisi sulle fasce anagrafiche delle iscritte sarebbero stati utilissimi per definire e quantificare il fenomeno, ma come detto l’Inps non è stato finora in grado di fornirli. In ogni caso a quali condizioni l’Inps assicura questo servizio?In sostanza possono goderne tutte le lavoratrici a progetto e categorie assimilate (collaboratrici coordinate e continuative); le associate in partecipazione; le libere professioniste iscritte alla gestione separata; le lavoratrici che svolgono prestazioni occasionali (prestazioni di durata inferiore a 30 giorni nell’anno solare e con un compenso inferiore a 5mila euro con lo stesso committente); le lavoratrici riconducibili alle categorie tipiche (amministratore, sindaco, revisore di società, di associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica); le titolari di rapporti di lavoro autonomo occasionale; i venditori "porta a porta". Attenzione a un particolare: le lavoratrici autonome (tra cui la categoria di maggiore importanza numerica è costituita dalle commercianti) non possono iscriversi alla gestione separata, bensì sono iscritte all’Inps ma con servizi e modalità differenti rispetto alle lavoratrici dipendenti.Secondo i dati forniti alla Repubblica degli Stagisti dall’ufficio stampa Inps, le donne iscritte alla gestione separata che hanno usufruito dell'indennità nel 2010 sono state 7.870 – non è dato sapere quanto però abbiano percepito in media.REQUISITI PER ACCEDERE ALL’INDENNITÀ DI MATERNITÀIl diritto all’indennità prende a riferimento la data presunta del parto per i periodi di due mesi precedenti, quello intercorrente tra data presunta e data effettiva del parto e i tre mesi successivi alla nascita. Ai fini del computo delle indennità il reddito annuo da prendere a riferimento è quello utile ai fini contributivi nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile. Per i collaboratori coordinati e continuativi si considera il reddito effettivamente percepito; per i liberi professionisti il reddito annuale risultante dalla denuncia dei redditi derivanti da attività libero-professionali. Il sito dell’Inps poi in una delle sue pagine web sostiene che l’indennità di maternità spetta a condizione che nei 12 mesi precedenti il mese di inizio del congedo di maternità risultino effettivamente accreditati alla gestione separata almeno tre contributi mensili, di qualsiasi importo si tratti, mentre in un’altra parla di redditi minimi: il minimale di reddito 2010 è di 14.334 euro e il massimale di 91.507 euro. Da questa informazione sembra che chi ha guadagnato meno di 14mila euro lordi non abbia diritto all’indennizzo Per chiarire questo importantissimo dubbio, e capire se le donne iscritte all'inps Gestione separata che guadagnano meno di 14mila euro (cioè potenzialmente anche quelle che guadagnano solo poche migliaia di euro all'anno, o addirittura 0 euro) abbiano o no diritto ad un assegno di maternità minimo la Repubblica degli Stagisti ha di nuovo contattato l’ufficio stampa dell’Inps che ha precisato che minimale e massimale non si riferiscono al diritto all'indennità ma al calcolo della stessa. Le tre mensilità versate sono il requisito sine qua non per ricevere l'indennità ordinaria che l'Inps garantisce alle lavoratrici parasubordinate. Quindi sono necessari tre contributi mensili che, moltiplicati per 12, consentano di raggiungere il minimale di 14.334 euro.Per esempio per l’anno 2010 per ogni 319,17 euro versati l’Inps accrediterà un mese, per avere accreditati tre mesi devono essere stati versati almeno 957,51 euro.L’INDENNITA' SOLO A CHI RAGGIUNGE IL MINIMODopo una lunga attesa e numerosi solleciti, finalmente l’ufficio stampa ha risposto: non esiste un minimo garantito a tutte. In primis deve sussistere il requisito di aver versato almeno tre mensilità contributive nei 12 mesi precedenti la gravidanza. E questi tre contributi mensili devono avere un importo minimo tale per cui, se moltiplicato per 12 raggiunga il minimale di 14.334 euro.Per il calcolo dei mesi per i quali deve essere diviso il reddito (in caso di attività libero-professionale) vanno considerati i mesi solari interi. Per calcolare il numero dei giorni per i quali deve essere diviso il reddito totale devono essere considerati i giorni di calendario.L’indennità è pari all’80% del reddito medio giornaliero moltiplicato per tutte le giornate comprese nel periodo indennizzabile. Una lavoratrice con un cocopro da mille euro lordi al mese per esempio dovrebbe percepire un’indennità totale di 4mila euro, con 1500 euro al mese percepirebbe 6mila e con 2mila euro al mese 8mila. OBBLIGHIL’Inps 2 impone alle lavoratrici che richiedono l’indennità di maternità l’astensione dal lavoro per i cinque mesi. PROCEDURE PER RICHIEDERE L’INDENNITA'La domanda deve essere presentata alla sede Inps di residenza prima dell'inizio dell'astensione dall'attività lavorativa e comunque entro un anno dal termine del periodo indennizzabile e deve essere corredata dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata dalla lavoratrice e dal committente o dall’associante in partecipazione o dalla libera professionista attestante l’effettiva astensione dall’attività lavorativa e completa di certificato medico di gravidanza rilasciato dai medici del sevizio sanitario nazionale o dall'azienda ospedaliera da presentare prima dell’inizio del congedo- auto certificazione attestante le generalità del richiedente, del neonato, del rapporto di parentela o certificato di stato di famiglia dal quale risulti la paternità e la maternità.CHI PAGA E COMEL'indennità è pagata direttamente dall'Inps o per mezzo bonifico presso l'ufficio postale o per accredito su conto corrente bancario o postale. Per quanto riguarda i tempi l'indennità viene accreditata a seconda della tempestività e della completezza della domanda e a seconda di come si organizzano le varie sedi Inps, o mese per mese o in un'unica formula.Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Lavoro e pensioni, cosa sono i contributi figurativi e come cambierebbero con la riforma- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggi

«Restart Italia», con il decreto Sviluppo bis arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up

«Sono molto contento del decreto. È un passo importantissimo per il nostro settore: il governo è riuscito a trasformare quasi tutto quello che abbiamo suggerito in realtà ed è una cosa che nessuno di noi si poteva aspettare all'inizio di questa avventura». Predica ottimismo Riccardo Donadon, amministratore delegato dell'incubatore di impresa H-Farm ma soprattutto membro della task force che ha elaborato «Restart Italia», il rapporto contente molte proposte in tema di start-up buona parte delle quali sono entrate nel decreto Sviluppo bis approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri. «È vero», ammette, «mancano alcune cose, ma la strada è stata intrapresa con forza e sono sicuro che un po' alla volta raccoglieremo tutto».Sì, perché nonostante il gruppo di lavoro abbia specificato che le misure suggerite «produrranno una scossa solo se saranno considerate come un “pacchetto unico”», non tutte sono entrate a far parte del provvedimento passato a Palazzo Chigi. Al di là del fatto che non è stato posto alcun limite anagrafico per gli startupper, che possono così accedere alle agevolazioni fiscali e normativa a qualunque età, due degli elementi contenuti nel rapporto sono rimasti lettera morta: il cosiddetto Fondo dei fondi e l'Iva per cassa. Il primo sarebbe dovuto essere quella realtà in grado di investire da un lato a sostegno degli incubatori di impresa e dei fondi di venture capital, dall'altro di svolgere il ruolo di anchor investor, ovvero di primo investitore all'interno di progetti di start-up selezionati sulla base di una due diligence, vale a dire una valutazione delle condizioni e del valore delle singole aziende.La seconda misura avrebbe permesso alle imprese in questione di versare l'imposta sul valore aggiunto non secondo la competenza, cioè sulla base della data di emissione della fattura a prescindere dal fatto che questa sia stata o meno saldata, ma secondo la cassa. Ovvero solo dopo che il cliente ha pagato quanto dovuto. Una misura, questa, che avrebbe permesso alle aziende di mantenere una certa liquidità disponibile non dovendo anticipare il versamento delle imposte. Tolti questi due aspetti, rimane l'ossatura delle proposte contenute nel rapporto «Restart Italia». A cominciare dalla definizione di start-up che, per essere tale, non deve operare da più di 48 mesi, né fatturare più di 5 milioni l'anno. Ma soprattutto deve operare nell'innovazione tecnologica, ovvero investire in ricerca almeno il 30 per cento del fatturato, essere titolare di brevetti oppure avere tra i soci persone che abbiano conseguito dottorati di ricerca. Vengono eliminate le spese di registro, come richiesto nell'ambito della definizione della cosiddetta isrl, la formula societaria proposta per questo tipo di imprese: snella, con minimi obblighi burocratici e la possibilità, riconosciuta dal decreto, di remunerare dipendenti e fornitori con strumenti finanziari, ad esempio la cessione di quote della società.Vengono incentivati, grazie ad una detrazione Ires del 19 per cento, gli investimenti in start-up. Agevolazioni fiscali che dovrebbero avere un costo di 210 milioni di euro in due anni. Sempre in tema di finanziamenti, viene introdotta la possibilità di raccogliere fondi attraverso il crowdfunding, procedura attivabile on-line sulla regolarità della quale è chiamata a vigilare la Consob. Per quanto riguarda i rapporti lavorativi, il decreto introduce una formula di contratto a tempo determinato specifica per le aziende che rientrino nella definizione contenuta in «Restart Italia»: queste ultime potranno assumere con un contratto a tempo determinato di durata compresa tra i 6 ed i 36 mesi,  rinnovabile una sola volta senza soluzione di continuità e destinato a trasformarsi automaticamente in tempo indeterminato una volta che l'azienda abbia compiuto i 48 mesi di vita.L'Istat dovrà raccogliere ed aggiornare dati sulle start-up nate a seguito di questo decreto, così da compilare un rapporto che permetta di valutare l'impatto delle misure introdotte, in particolar modo in termini di crescita economica e di occupazione. Al ministero dello Sviluppo economico toccherà invece presentare, entro il 1 marzo di ogni anno, una relazione sullo stato di attuazione della normativa. Il primo appuntamento per un bilancio sull'impatto degli effetti di questa norma è fissato per il 2014. Fin qui la proposta del governo, ora al vaglio del Parlamento il quale, fatto salvo che venga posta la questione di fiducia, potrà intervenire per modificare il testo del decreto.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itSe hai trovato interessante questo articolo, leggi anche:- «L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro Passera- Impresa a 1 euro, dopo otto mesi la promessa del governo è finalmente realtà- Tra burocrazia e ritardi, l'impresa a 1 euro resta ferma al palo- Che fine ha fatto l'impresa a 1 euro per i giovani? Incagliata nella burocrazia- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partireE anche:- Una startupper sarda negli States: «Qui conta il merito. Ma si può fare anche in Italia»- Guk Kim, il giovane coreano che suggerisce agli italiani dove andare a mangiare: con un'app- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

A rischio i finanziamenti per l'Erasmus? Sì, con tutti quelli del Fondo sociale europeo

Decine di migliaia di universitari europei, vincitori di borse Erasmus, rischiano di veder svanire i contributi economici per  finanziare i loro studi all’estero,già a partire dall’anno accademico in corso. Il problema per l'Unione europea però non è tanto il programma Erasmus, che le costa "soli" 450 milioni di euro all'anno, ma un buco di bilancio di ben 10 miliardi di euro per il 2012 alla voce "Fondo sociale europeo", del quale fa parte (in una percentuale di meno del 5%) anche il programma di studi universitari all'estero. Il primo a lanciare l'allarme è stato martedì scorso il presidente della Commissione Bilancio del Parlamento europeo, il francese Alain Lamassoure. «Il Fondo sociale europeo non è in grado di rimborsare gli stati e la prossima settimana termineranno i fondi per il programma studentesco Erasmus. Alla fine del mese sarà il turno del fondo per la ricerca e l’innovazione». Se è vero che l'Erasmus rischia di scomparire, è quanto meno curioso che la politica e i mezzi di informazione si siano soffermati unicamente sulla fine del programma europeo di studi all'estero, quando  ci sono altri 9,5 miliardi che mancano all'appello: è stato un po' come guardare il dito senza far caso alla luna. Ma l'Erasmus é un tema che tocca e interessa decine di migliaia di giovani in Italia, e dunque vale sicuramente la pena di fare il punto della situazione per capire se davvero c'è il rischio che venga sospeso per mancanza di fondi. Per l'Italia, secondo quanto riporta l'Agenzia LLP, i finanziamenti comunitari previsti per l'Erasmus nel 2012 sono pari a 46 milioni di euro (ai quali si sommano altri 46 milioni stanziati dal ministero dell'Istruzione). A confermare alla Repubblica degli Stagisti il rischio che corre l'Erasmus (insieme a tutti gli altri fondi destinati alla formazione e allo sviluppo dei Paesi europei), è Lorenza Venturi, responsabile Comunicazione dell’ Agenzia Lifelong Learning programme (LLP), che si occupa della gestione del programma Erasmus e di altri programmi di mobilità europea nel nostro Paese. «Ci è arrivata una nota della Commissione europea in cui viene segnalato un problema nel bilancio dell’Unione che potrebbe causare dei ritardi nei pagamenti delle borse Erasmus. Gli studenti che sono già partiti non dovrebbero avere sorprese, ma sono a rischio quelli che partiranno nel secondo semestre» afferma la Venturi.  Dichiarazioni ribadite e confermate alla Repubblica degli Stagisti dal capoufficio stampa della rappresentanza della Commissione europea in Italia, Ewelina Kelenkowska-Lucà, che spiega da dove hanno origine le difficoltà di finanziamento del programma da parte dell’Unione europea e che sottolinea come non sia solo un problema di Erasmus: «Non si tratta di una situazione specifica per i fondi Erasmus né per il Fondo sociale europeo. L’Unione sta arrivando all’ultimo anno di un piano di programmazione economica pluriennale (2007 - 2013), ma le casse sono ormai vuote. Inoltre i pagamenti diretti dei Paesi dell’Unione, che vanno a implementare il budget europeo, sono in funzione diretta del Pil e quindi  sono diminuiti in questo contesto di crisi economica».  Per risolvere questa situazione, il commissario al Bilancio, il polacco Janusz Lewandowski, presenterà il 23 ottobre una richiesta di rettifica del bilancio al Parlamento e al Consiglio europeo, chiedendo agli Stati dell’Unione di versare alcuni miliardi di euro per ripianare il buco del Fondo sociale. Ma non è affatto scontato che Lewandowski riesca a convincere il Consiglio in un contesto di grande crisi economica.  Non sono esenti da problemi anche gli studenti che devono ricevere i soldi tra settembre e dicembre di quest’anno: manca all’appello il 30% dei fondi destinati all’Erasmus in questi ultimi mesi del 2012, notizia che è stata confermata alla stampa da Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione europea.  Giovanni La Via, europarlamentare Pdl e relatore del bilancio dell’Unione europea, scrive alla Repubblica degli Stagisti che «i deputati del Parlamento sosterranno e difenderanno la richiesta del commissario al Bilancio, al fine di ottenere risorse fresche per onorare gli impegni già presi». «Questa situazione si è venuta a creare a causa dei pochi fondi messi a disposizione dal Consiglio per il bilancio 2012» afferma l’eurodeputato, sottolineando l’importanza del programma Erasmus per il  contribuito che ha dato alla crescita e al lavoro. In effetti, come raccontato alcuni mesi fa dalla Repubblica degli Stagisti, oltre i tre quatri dei direttori del personale di 150 grandi imprese italiane, al momento delle assunzioni, dichiara di preferire il candidato che può vantare al proprio attivo la partecipazione a un progetto Erasmus.  Non che le borse Erasmus raggiungano cifre astronomiche (gli italiani che vanno a studiare nelle università straniere ricevono circa 230 euro mensili, nemmeno sufficienti per pagarsi l’affitto), ma dover rinunciare anche a questo contributo renderebbe il più famoso programma europeo di studio all’estero sempre più alla portata di pochi. Il contributo per l’ Erasmus placement, che riguarda lo svolgimento di stage e tirocini, si aggira invece intorno ai 500 euro mensili, ma anche questo è a rischio. E pensare che solo alcuni mesi fa l’Erasmus aveva spento le sue prime 25 candeline,mentre la Commissione europea annunciava l’intenzione di aumentare i fondi destinati alla mobilità internazionale (programma “Erasmus for all”) e ai progetti di ricerca e innovazione per il periodo 2014-2020.  La proposta della Commissione, che ancora non è stata approvata dal Consiglio e dal Parlamento, punta  ad aumentare del 70% i fondi per l’Erasmus rispetto ai sette anni che si stanno per chiudere e a coinvolgere altri 5 milioni di studenti, raddoppiando il loro numero rispetto agli ultimi 25 anni (finora circa 2,5 milioni). Attualmente il 10% degli studenti europei studia o fa pratica all’estero (il 4,5% con l’Erasmus). L’Unione europea vuole raggiungere il 20% nel 2020. Insomma, da un lato c’è da risolvere il nodo delle borse di studio per questo anno accademico, legate alle decisioni del Consiglio e del Parlamento europeo, dall’altro si attendono novità sulla programmazione per i prossimi 7 anni. La prima e più urgente decisione è rinviata al 23 ottobre ma il mondo dell’università è già in fermento: fioccano gli gli appelli su Internet  per salvare l’Erasmus, mentre la presidente dell’Unione degli studenti europei, Karina Ufert, ha invitato la Commissione europea a utilizzare i fondi Ue sottoutilizzati. «La ricerca e la formazione sono sempre stati considerati fattori di crescita». È il momento di dimostrarlo.  Antonio Siragusa  Per saperne di più su questo argomento leggi anche: - 25 anni di Erasmus: una scelta vincente, anche per l'occupabilità - Studiare all'estero, 8mila posti Erasmus in cerca di candidati: ecco tutti i bandi aperti - Gabriele Conti: la mia esperienza di Erasmus Placement in uno studio legale di Londra, un'occasione sprecata