Tirocinanti negli uffici giudiziari, il ministero non sa quanti sono e quando (e se) saranno pagati

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 18 Nov 2014 in Approfondimenti

Due mesi. Tanto ha atteso la Repubblica degli Stagisti le risposte del ministero della Giustizia sulle disposizioni relative agli stage all'interno degli uffici giudiziari italiani destinati ai laureati in Giurisprudenza e introdotti dal Decreto Fare. E alla fine le risposte che sono arrivate sono poche, imprecise, insufficienti. In pratica un'ammissione di impotenza: il ministero non sa - o dice di non sapere - quanti giovani stanno facendo un tirocinio presso i suoi uffici giudiziari, e in particolare non sa quanti lo stanno facendo all'interno di un progetto speciale di tirocini introdotto l'anno scorso dal Decreto Fare.

L'antefatto. A giugno 2013 in Gazzetta Ufficiale viene pubblicato il cosiddetto Decreto Fare, che identifica il decreto legislativo 69/2013. Quel documento contiene un articolo – il numero 73 – che stabilisce i requisiti per uno speciale programma di tirocini formativi presso gli uffici giudiziari, destinati a laureati in giurisprudenza in possesso di una serie di requisiti elencati nel testo dell’articolo: tra questi l'età inferiore ai 30 anni, il voto di laurea di almeno 105/110 e la votazione di almeno 27/30 in alcuni specifici esami. Fin qui nulla di strano, se non fosse che scorrendo il testo dell’articolo balzano all’occhio una serie di caratteristiche degne di approfondimento.
 
Innanzitutto gli stage consistono in una «formazione teorico-pratica della durata di  diciotto mesi presso gli uffici giudiziari» per assistere e coadiuvare magistrati degli organi di giustizia riportati nell’articolo.  È evidente che, trattandosi di stage successivi al percorso formativo, si stia parlando di tirocini extracurriculari, alle cui regole anche i tirocini per laureati in giurisprudenza oggetto dell’articolo 73 dovrebbero attenersi. E che dunque la durata massima dovrebbe essere di dodici mesi: i diciotto - ben un anno e mezzo - del Decreto Fare si configurano dunque immediatamente come una clamorosa eccezione.

La Repubblica degli Stagisti ha analizzato l’articolo con Umberto Buratti, ricercatore di Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi specializzata su temi del lavoro: «Non è facile comprendere quale sia la vera natura dei tirocini indicati dal provvedimento. Il Capo II del d.l. 21 giugno 2013 n. 69 parla di tirocini presso gli uffici giudiziari, l'articolo 73, invece, di formazione presso gli uffici giudiziari, mentre nel testo si usa parola stage. C’è quindi un’imprecisione terminologica evidente, mentre le linee guida in materia di tirocini differenziano in maniera precisa le diverse tipologie».

È utile ricordare che i giovani laureati in giurisprudenza che vogliono diventare avvocati hanno già previsto nel proprio iter dei «periodi di pratica professionale», vale a dire i tirocini previsti «per l’accesso alle professioni ordinistiche»: il praticantato, in poche parole. Che è normato in maniera differente rispetto ai “normali” tirocini. Questi tirocini per laureati in giurisprudenza di cui parla il Decreto Fare non sono però praticantati - tuttavia sono valutati come un anno di tirocinio forense e notarile o di frequenza a una scuola di specializzazione per le professioni legali.

Insomma «non sembra quindi esserci dubbio sul fatto che la legge, pur non richiamando in modo esplicito gli stage  tirocini formativi e di orientamento, avrebbe comunque dovuto riferirsi» continua Buratti «alle disposizioni presenti nelle linee guida del mese di gennaio 2014», quelle concordate in sede di Conferenza Stato-Regioni. Questo perché «le linee guida esplicitano che i principi in esse contenuti sono applicabili anche nei casi in cui il soggetto ospitante sia una Pubblica Amministrazione e chiariscono che gli standard minimi di riferimento indicati valgono anche per quanto riguarda gli interventi e le misure aventi medesimi obiettivi e struttura dei tirocini, anche se diversamente denominate».

Cosa dicono nello specifico queste linee guida? Stabilite per i tirocini extracurriculari all'inizio del 2013, esse prevedono una durata massima per questi periodi formativi di sei mesi per neodiplomati e neolaureati, cioè persone che abbiano concluso l'ultimo ciclo di studi da meno di un anno, e di 12 mesi per gli altri. L’articolo del Decreto Fare
riferendosi a persone già laureate parla invece, come detto, di una durata dello stage di addirittura 18 mesi. Inoltre nello stesso articolo non c’è alcun tipo riferimento al periodo massimo di 12 mesi dal conseguimento del titolo di studio per attivare il tirocinio. Questo particolare potrebbe sembrare ininfluente, invece è molto importante: perché la normativa attuale prevede che solo i tirocini attivati entro i 12 mesi dal conseguimento dell'ultimo titolo di studio possano essere definiti come “di formazione e orientamento”. È poi possibile attivare stage anche da chi abbia terminato gli studi da più tempo: ma in quel caso l'inquadramento muta leggermente, e si passa ai “tirocini di inserimento / reinserimento lavorativo”. Una sottigliezza lessicale da non sottovalutare.

Oltre alla prima incongruenza sulla durata e alla seconda sulla terminologia, c’è anche un passaggio significativo sulle caratteristiche del tirocinio: l’articolo stabilisce infatti che lo stagista assista il magistrato nello svolgimento delle proprie attività ordinarie. Un’affermazione che pare mettere in discussione la natura stessa del tirocinio, che dovrebbe essere finalizzato all’apprendimento e non allo svolgimento di una vera e propria attività lavorativa, come sembra in questo caso. «La lettura integrale dell'articolo 73 del d.l. 69/2013 mette in luce la volontà del legislatore, a meno a parole, di proporre un'esperienza primariamente formativa: tale considerazione nasce dalle ripetute indicazioni in merito al ruolo del magistrato che funge da tutor e dalla possibilità di frequentare appositi momenti di formazione» dice però Buratti: «Il richiamo all'assistenza e all'aiuto nel compimento delle ordinarie attività di lavoro di per sé da solo non è sufficiente a mascherare un rapporto di lavoro. Qualsiasi esperienza di tirocinio aziendale, infatti, prevede l'affiancamento nelle operazioni quotidiane e una formazione di tipo on the job».

Uno degli aspetti più spinosi è poi la questione dell'indennità: l’articolo prima precisa che «lo svolgimento dello stage di formazione teorico-pratica non dà diritto ad alcun compenso o trattamento previdenziale o assicurativo». Anche in questo caso una disposizione palesemente in contrasto con le linee guida, in cui è stabilità una «congrua indennità» pari a un minimo di 300 euro. Anzi l'indennità minima può essere anche maggiore: la cifra è a discrezione delle Regioni, che nel corso del 2013 hanno recepito le linee guida elaborando ciascuna un proprio provvedimento in materia di tirocini. In uno dei commi successivi del Decreto Fare si legge poi che «agli ammessi allo stage è attribuita una borsa di studio in misura non superiore ad euro 400 mensili», per le cui modalità di assegnazione si dovrà tener conto dell'indicatore di situazione economica equivalente (Isee). Un vero e proprio rovesciamento: la cifra che molte regioni pongono come minima per il rimborso spese degli stagisti diventa in questo decreto quella massima. Forse, come ipotizza Buratti, «più che veri tirocini, sembra essere di fronte a borse di studio, ma non c’è dubbio che le linee guida restino la normativa di riferimento». 

L’articolo dunque contiene più di un elemento in netto contrasto rispetto a quanto previsto per i tirocini extracurriculari. Al contrario sembra però voler introdurre degli elementi «compensativi» per il tirocinante: accanto alla validità pari a un anno di tirocinio forense o notarile, il tirocinio costituisce titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario e vice procuratore onorario, per i concorsi indetti dalla pubblica amministrazione e dall’Avvocatura di Stato. Non è facile al momento capire perché sia entrata in vigore una legge che sembra in contraddizione rispetto alle linee guida su questo tipo di tirocini. Né quanti stage di questo tipo siano finora partiti.

In ogni caso, 400 euro al mese per 18 mesi significano 7.200 euro a tirocinante: supponendo che anche solo 100 giovani laureati in Giurisprudenza si cimentino in questo tipo di tirocinio, si dovrebbe trovare un fondo di 720mila euro per erogare queste indennità. Ma da dove dovrebbero arrivare questi fondi? Il ministero della Giustizia afferma che essi fanno parte del FUG (Fondo unico giustizia), ma le risorse per pagare gli stagisti non sono state ancora sbloccate dal ministero dell’Economia.

La Repubblica degli Stagisti ha provato ad avere chiarimenti, prima di tutto chiedendo un semplice dato numerico: quanti sono, ad oggi, i giovani impegnati in questo tipo di stage negli uffici giudiziari italiani. Una domanda semplice e secca. Eppure clamorosamente il ministero ha ammesso di non avere idea di quale sia questo numero: dopo lunghe rincorse, l'ufficio stampa ha risposto che al momento non c’è una stima del numero di stage attivati secondo i dettami del Decreto Fare dal settembre 2013 a oggi, ma che probabilmente arriverà a fine anno. Evidentemente 14 mesi non sono bastati per mettere in funzione un database... Senza contare che, dato che i fondi per le indennità sembrano essere ancora bloccati, è verosimile che tutti questi laureati in Giurisprudenza stiano facendo da mesi il loro stage senza percepire il compenso previsto. E chissà quando lo riceveranno. Anche su questo il ministero non fornisce una risposta chiaro. Al momento dunque l’unica certezza è la mancanza di una risposta esaustiva da parte del ministero della Giustizia a tutte le domande ancora sul tavolo. Che rischiano di rimanere inevase, alla faccia della trasparenza e della valorizzazione dei nostri giovani laureati.

Chiara Del Priore

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