Start-up, la task force lavora a criteri più inclusivi e accelera sul decreto attuativo

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 04 Dic 2012 in Approfondimenti

«È meglio che ci entri una pizzeria, che non deve starci, piuttosto che tenere fuori una vera start-up».Stagisti Alessandro Fusacchia, responsabile della task force che ha redatto il rapporto «Restart Italia!» e consulente del ministero per lo Sviluppo economico, ha spiegato così la disponibilità del governo a rivedere quei sette articoli del decreto sull'agenda digitale chiamati a favorire la nascita di nuove start-up in Italia.
Intervenendo mercoledì scorso ad una conferenza stampa indetta dopo la prima assemblea di «Italia Startup», associazione impegnata nello sviluppo di un ecosistema per gli startupper, il braccio destro del ministro Corrado Passera ha fatto il punto sull'iter di approvazione del provvedimento, che dovrà essere convertito in legge entro il 18 dicembre. «Per la parte dedicata alle nuove aziende sono stati presentati 188 emendamenti formali», che dovranno essere discussi e votati prima dell'approvazione finale. In generale, ha spiegato Fusacchia, «il dibattito è rimasto ad un livello abbastanza elevato. Le proposte di modifica interessano soprattutto la definizione di start-up innovativa». Per essere riconosciute come tali, il decreto impone il rispetto di uno di questi criteri: titolarità di un brevetto, presenza tra i soci di persone che abbiano conseguito un dottorato, investimento di almeno il 30% degli utili in ricerca.
Sulla base dell'assunto per cui «non ha senso che approviamo una legge per accorgerci che la maggior parte delle imprese restano fuori», è possibile che quest'ultima voce venga modificata, riducendo la quota da investire in ricerca necessaria per rientrare nel novero delle start-up innovative e quindi beneficiare della normativa in fase di approvazione. Un altro tema sul quale si sta lavorando è quello definito dal comma 6 dell'articolo 25, in base al quale enStagistitro 60 giorni dalla conversione in legge il Mise dovrà emanare un decreto attuativo che individui i criteri per la definizione di un incubatore certificato. «Stiamo cercando di accelerare su questo», ha spiegato Fusacchia: le elezioni si avvicinano e il rischio è che il 18 febbraio, scadenza per la presentazione di questo documento, arrivi a camere sciolte. Per questo il ministero sta cercando di portarsi avanti con il lavoro. «Stiamo cercando di mappare le strutture esistenti per evitare di imporre criteri avulsi dalla realtà, di fare in modo che le strutture che hanno realizzato bene l'incubazione possano essere certificate», ha spiegato il responsabile della task force, invitando i diretti interessati «a farmi avere suggerimenti entro i primi giorni di dicembre», direttamente a lui via email, oppure tramite la segreteria del Mise.
E sono stati proprio i responsabili degli incubatori a porre un problema rispetto a come vengono definite le start-up all'interno del decreto. Il testo del governo impone infatti che la maggioranza delle quote societarie siano detenute da persone fisiche. Ma gli incubatori e i fondi di venture capital che entrano nel capitale sociale per sostenere queste aziende sono persone giuridiche. Il rischio, insomma, è che le imprese finanziate, quelle cioè con possibilità di successo più concrete, vengano escluse dai benefici introdotti dalla legge in discussione al Senato. Fusacchia ha difeso la scelta, spiegando innanzitutto che «è stato posto l'accento sulle persone fisiche perché l'obiettivo è quello di contribuire a creare occupazione in Italia». Inoltre «abbiamo voluto evitare di creare margini troppo ampi, tali da permettere di offrire vantaggi fiscali a società che esternalizzano un ramo d'azienda e lo chiamano start-up».
StagistiFin qui l'iter della norma, «condizione necessaria ma non sufficiente» per lo sviluppo di un ecosistema favorevole alle nuove imprese. «La differenza la farà il modo in cui questa legge riuscirà ad irrorare il Paese. E questo è un lavoro che non può essere svolto dal governo, ma dalle forze vive della società: le imprese, gli incubatori, le associazioni». Come appunto «Italia
Startup», che la scorsa settimana si è riunita a Milano per la sua prima assemblea. Occasione per fare un punto sull'attività svolta dal sodalizio, che ha organizzato le giornate di discussione che hanno portato all'elaborazione di «Restart Italia» nella sede di «H-Farm» a Roncade. E per lanciare i progetti futuri: «vogliamo creare un ponte tra i giovani, tra gli startupper in generale e l'industria tradizionale», ha spiegato il presidente Riccardo Donadon, «e vogliamo partire raccontando le storie di alcuni modelli, di italiani che hanno dato forma al futuro». Vicende che «magari non sono sotto i riflettori e possono renderci orgogliosi di quello che facciamo». In America si parlerebbe di role model. Ma l'obiettivo, in questo caso, è far capire che i modelli stanno anche da questa parte dell'Oceano.

Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it


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