Il decreto per le start-up è legge. E comincia già a far discutere

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 18 Dic 2012 in Approfondimenti

Scende da 5 anni a 24 mesi il periodo per il quale bisogna garantire che la maggioranza delle quote sia detenuta da persone fisiche, una misura che rende più semplice l'ingresso dei fondi di venture capital.Stagisti Si riduce dal 30 al 20% la quota di utili da investire in ricerca per essere riconosciute come start-up innovative, spese nelle quali rientrano anche quelle legate all'incubazione. Viene concesso il credito di imposta al personale altamente qualificato assunto a tempo indeterminato. Sono queste le principali modifiche che il dibattito parlamentare ha apportato al decreto Sviluppo bis, convertito in legge dalla Camera dei Deputati lo scorso 13 dicembre.
Un voto non scontato, messo a rischio dall'imminente crisi di governo che ha fatto scivolare su un binario morto altri provvedimenti in discussione, come quello sul riordino delle province. La fiducia posta dall'esecutivo e un forte movimento di pressione che ha animato Twitter con l'hashtag #firmateildecreto, scelto anche se il decreto era già stato firmato dal Presidente della Repubblica e necessitava invece di essere votato, hanno portato all'approvazione della prima legge italiana che si occupa di start-up.
«Sarebbe stato uno spreco buttare tutta l'attività di rinnovamento svolta in questi mesi», commenta Alberto Onetti, professore di Management all'Università dell'Insubria di Varese e presidente della Fondazione «Mind the bridge». Nessuno spazio a facili ottimismi, però: «un Paese non diventa una fucina di start-up per decreto. Certamente il fatto di avere una legge che si pone il problema è un evento quasi storico, ma non lo trovo di per sé risolutivo». Soprattutto perché «interviene su un mondo che per sua natura è in fortissima evoluzione e mal si presta ad essere normato». La vera sfida, a questo punto, è quella di «modificare la cultura imprenditoriale» per renderla più simile a quella di ecosistemi più evoluti come quello della Silicon Valley.Stagisti Ma questo è un «lavoro che si muove su tempi necessariamente lunghi».
Intanto il documento licenziato dal Parlamento suscita pareri contrastanti. Ovviamente favorevole quello di Riccardo Donadon, patron di H-Farm, membro della task force che ha elaborato il rapporto «Restart Italia!» alla base del decreto, nonché presidente di ItaliaStartup. E proprio sul sito di questa associazione Donadon si dice «felicissimo» per il voto della Camera. «Il provvedimento è un ottimo inizio e sono convinto che sia il primo mattone su cui costruire tanti progetti. I giovani e tutti coloro che ci vogliono provare (la norma non pone infatti alcun limite di età per costituire start-up innovative, ndr) hanno oggi molte più opportunità per prendere in mano il loro destino e far nascere delle nuove aziende».
Ottimista anche Gianluca Dettori, presidente di dPixel, uno dei principali fondi di venture capital italiani. «Questo testo è un ottimo punto di partenza, offre un'impostazione chiara. Adesso inizia la fase due, quella più interessante», commenta. Il riferimento, in particolare, alla definizione degli aspetti legati al crowdfunding. «Avremo la fortuna di osservare come sarà implementato quello legato al Jobs Act americano e di prendere in considerazione gli accorgimenti introdotti in proposito dalla Sec».
Certamente non mancano i commenti più scettici, come quello di Marco Zamperini [foto sotto], responsabile dell'innovazione per NTT Data Italia. «Come si dice, piuttosto che niente meglio piuttosto», afferma, «ci sono alcuni punti che non sono del tutto soddisfacenti, a cominciare dal fatto che non si comprende come saranno definiti gli incubatori». L'auspicio, alla luce dell'ampio consenso parlamentare, è che «le forze politiche si facciano parte dirigente nel portare avanti una serie di emendamenti che non sono stati discussi alla luce del voto di fiducia chiesto dal governo, ma che comunque avevano un certo consenso».Stagisti Tra gli elementi positivi, anche Zamperini indica il crowdfunding e il fatto che si sia cominciato a «manifestare sensibilità verso l'agenda digitale».
Decisamente critica, invece, la voce di Gianmarco Carnovale. «Imporre che le start-up per essere tali debbano realizzare un prodotto tecnologico e innovativo taglia fuori chi produce cose non tecnologiche ma con processi innovativi e chi offre servizi. Google che farebbe in Italia?», lamenta il presidente di Roma Startup. Convinto che la quota da destinare in ricerca, pur scesa dal 30 al 20 per cento degli utili, sia «ancora elevatissima: una realtà che ha definito il proprio prodotto o servizio i costi maggiori li ha nel marketing e nello sviluppo di mercato». Ancora, «il limite di fatturato di 5 milioni di euro è assurdo, a questa somma ci si trova appena all'inizio di un'attività internazionale». In altre parole, «appena l'azienda inizia a crescere, le tagliano le gambe».
Carnovale non si limita alla critica, ma ha anzi collaborato alla stesura di alcuni emendamenti, poi congelati dal voto di fiducia. In particolare, «avevo posto due paletti. Il primo è quello di una crescita minima, perché se una start-up smette di crescere non ha senso garantirle condizioni speciali. In altre parole, lo Stato la favorisce finché è in espansione, ma nel momento in cui si è consolidata viene considerata come un'impresa tradizionale». L'altro meccanismo riguarda invece la definizione stessa di realtà innovativa, tale «se riceve finanziamenti dagli investitori professionali. Se una persona che lo fa di mestiere giudica un'azienda interessante e innovativa è perché vede che ha una possibilità di creare valore». E appunto «spostare su un soggetto privato l'identificazione dei progetti interessanti significa massimizzare le probabilità di successo».
Dibattito serrato, dunque, attorno al decreto Sviluppo bis. Che per diventare completamente operativo ora attende solo due ulteriori elementi. Il primo è un decreto attuativo che il ministero dello Sviluppo economico dovrà emanare entro 60 giorni dal voto della Camera per definire i criteri per l'iscrizione degli incubatori nella sezione speciale del registro delle imprese. La seconda è la definizione da parte della Consob, entro 90 giorni, delle modalità di gestione delle attività di crowdfunding. Dopodiché l'ecosistema italiano, così come pensato dal governo, potrà iniziare a prendere forma.

Riccardo Saporiti

startupper@repubblicadeglistagisti.it

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