Università come agenzie per il lavoro a costo zero: una deriva da scongiurare

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 22 Mar 2012 in Editoriali

Il ministro del Lavoro ha dichiarato di avere intenzione di abolire gli stage post-formazione, consentendo che siano effettuati solo mentre una persona sta compiendo un percorso formativo. stageL'idea è molto interessante, ma attenzione: il «lavoro a costo zero» di cui parla Elsa Fornero non riguarda solamente gli stage post-formazione, bensì anche quelli svolti durante la formazione. Le università stanno infatti diventando già oggi, loro malgrado, concorrenti delle agenzie per il lavoro. Perchè ormai tutte sono dotate di uffici stage e placement, per poter far fare esperienze on the job ai propri studenti e sopratutto piazzare i neolaureati sul mercato. Impegno assolutamente meritorio e indispensabile: il problema è però che studenti (e allo stato attuale anche neolaureati), inquadrabili come stagisti, equivalgono a un esercito di potenziale forza lavoro a costo zero. Il ragionamento che sempre più spesso le aziende fanno è semplice: ho una posizione vacante, magari temporanea per un picco di lavoro o per la momentanea assenza di un dipendente. Potrei rivolgermi a un centro per l'impiego, ma temo che finiscano per propormi sempre gli stessi profili, persone con scarsa istruzione e scarse qualifiche, magari anche un po' in là con l'età. Potrei utilizzare un'agenzia per il lavoro, con la modalità del lavoro somministrato. Ma mi costerebbe uno sproposito: il lavoratore dovrei inquadrarlo e pagarlo al pari di un subordinato, e in più sborsare la commissione all'agenzia. In questo ragionamento irrompe la terza possibilità: una manna dal cielo, assolutamente priva di costi. L'università. Che é piena di giovani affamati di lavoro. Sono inesperti, è vero, ma molto volenterosi. Imparano in fretta. Non avanzano rivendicazioni sindacali, prendono quel che c'è senza protestare. E possono essere inquadrati come stagisti, senza nemmeno la seccatura di un - seppur minimo - contratto di lavoro. Con lo stage non c'è nessun obbligo: niente retribuzione, niente contributi, niente di niente. Le università offrono nella stragrande maggioranza dei casi questo servizio in maniera gratuita, accollandosi pure le uniche due piccole spese correlate allo stage, l'Inail e l'assicurazione. E molte non fanno nemmeno controlli sulla struttura societaria, le finalità di chi richiede stagisti, la qualità del percorso "formativo" offerto.
stageQuesto ragionamento porta un numero sempre più elevato di imprese a utilizzare le università come agenzie per il lavoro a costo zero. Hanno fatto scalpore per esempio, qualche tempo fa, gli annunci finiti nella newsletter di una importante università campana, che ai propri giovani - studenti e neolaureati in lingue orientali - veicolava offerte di stage nelle boutique del centro di Napoli. Come commessi.  Certo è comprensibile che ai proprietari del negozio facesse gola poter disporre, praticamente a costo zero, di persone laureate in cinese, giapponese o russo, in grado di mettere a proprio agio i ricchi acquirenti stranieri parlando nella loro lingua. Ma è altrettanto comprensibile che i giovani di quell'università si siano sentiti offesi da quelle offerte, e abbiano protestato. Allo stesso stesso modo, in misura sempre maggiore arrivano alle università richieste di stagisti da parte di call center, catene di grande distribuzione, punti vendita di commercio al dettaglio. Alcune fanno uno screening e rimandano al mittente le offerte non in linea con la formazione universitaria; ma molte altre abdicano, per mancanza di tempo o di personale o di volontà, e pubblicano tutto.
Ma non si pensi che solo le imprese private facciano le furbe con questo escamotage. In realtà le università attivano anche decine di migliaia di stage in enti pubblici e perfino in organizzazioni non profit. Queste ultime infatti, pur potendo attingere al grande bacino dei volontari, vedono negli studenti e neolaureati profili incredibilmente più interessanti: ben più utile avere un giovane motivato, fresco di studi magari proprio in quelle materie di cui l'associazione si occupa, piuttosto che il pensionato che viene un paio d'ore a settimana più per sentirsi meno solo che per portare profitto all'associazione.
stagePer gli enti pubblici, discorso a parte. Qui il dramma è quello dei buchi di organico, che in molti settori determinano rallentamenti. È il caso, già denunciato dalla Repubblica degli Stagisti, del comparto giudiziario. I tribunali sono drammaticamente sotto organico, e dunque si sono moltiplicate le iniziative volte a reperire forza lavoro direttamente dalle aule di giurisprudenza. Via dunque a protocolli d'intesa per mandare frotte di studenti e neolaureati a "formarsi" - in realtà, a dare una mano con cause, sentenze, archivi.
Questa situazione non è più accettabile. Il ministro dell'istruzione e quello del lavoro devono al più presto sedersi a un tavolo e affrontare il problema: la crisi e il deficit non possono essere risolti condannando centinaia di migliaia di giovani studenti a lavorare gratis. Scuola e università devono instradarli al lavoro, è vero: ma appunto al lavoro, non al volontariato nè tantomeno alla schiavitù. Dunque sì all'abolizione degli stage post-formazione, ma a patto di riformare immediatamente l'intero sistema attraverso una stretta sulla normativa in materia di stage e sul lancio (o ri-lancio) di contratti che, assicurando ai giovani una equa base di diritti e garanzie, siano però al contempo vantaggiosi a livello fiscale e non troppo blindati: solo così si convinceranno le aziende a utilizzarli, e ricominciare ad assumere.

Eleonora Voltolina

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