False partite Iva, con la riforma 350mila sono a rischio assunzione... o estinzione

Ilaria Costantini

Ilaria Costantini

Scritto il 18 Apr 2012 in Approfondimenti

Sono professionisti ma anche commesse e muratori; svolgono mansioni da dipendenti, ma non hanno nessuna autonomia di orario e di sede. Sulle loro prestazioni il datore di lavoro, spesso unico, ha potuto finora risparmiare parecchio. Le false partite Iva sono l'emblema di quella cattiva flessibilità che la riforma Fornero si propone di combattere, e stavolta con norme davvero severe. Tanto da aver messo in allarme non solo imprese e studi professionali, ma anche i diretti interessati. Spaventati dalla possibilità di vedere interrotti quei rapporti che, nel bene e nel male, negli ultimi anni hanno consentito a molti di loro di restare sul mercato. Secondo l'Ires in Italia sono attive circa sei milioni e mezzo di partite Iva, suddivise tra un milione di società di capitale, oltre un milione di artigiani e commercianti, tre milioni e mezzo di professionisti non regolamentati e più di un un milione di iscritti ad albi professionali. È tra queste attività individuali che secondo le stime dell'Isfol si anniderebbero circa 400mila falsi autonomi.
«Le nuove norme potrebbero in effetti rappresentare un deterrente per il datore di lavoro», ammette Laura Calderoni, 37 anni [nella foto], una delle fondatrici di ivaseipartita, noto blog animato da architetti e ingegneri atipici. «Ma è necessario ripartire da un principio di legalità e la riforma è un primo segnale di contrasto al fenomeno». Per individuare i falsi autonomi, il disegno di legge arrivato in commissione Lavoro al Senato prevede che si debba tenere conto della compresenza di due di tre indici presuntivi: ovvero una collaborazione di durata superiore a sei mesi nell'arco dell'anno, che comporti una postazione di lavoro presso una delle sedi del committente e da cui il collaboratore tragga almeno il 75% dei corrispettivi annuali (anche nel caso in cui le fatture siano emesse a soggetti diversi ma riconducibili alla stessa attività imprenditoriale). Quando almeno due di queste condizioni siano verificate, l'art. 9 del ddl stabilisce che il prestatore d'opera sia da considerarsi un collaboratore parasubordinato, e come tale inquadrato dall'impresa che, in caso di rivalsa da parte del lavoratore, sarà anche costretta al versamento dei 2/3 dei contributi pensionistici ad essa spettanti per questo tipo di contratto. In mancanza di uno specifico progetto, necessario d'ora in poi per attivare il cocopro, l'impresa potrebbe essere addirittura costretta ad inquadrare il falso autonomo come dipendente a tempo indeterminato. Di qui il timore di molte associazioni di professionisti come Acta, che riunisce i consulenti del terziario avanzato, operanti per lo più al di fuori degli ordini professionali: «Prima di affidare una commessa, d'ora in poi il committente dovrebbe accertarsi che il consulente non rientri nelle fattispecie indicate. Nel dubbio preferirà probabilmente rivolgersi ad una società», spiega Anna Soru, 53 anni, presidente di Acta.
«La sanzione non è automatica» chiarisce tuttavia Laura Calderoni: «sarà necessario che il lavoratore  denunci la propria condizione di falso autonomo: a quel punto dovrà essere il datore di lavoro a dimostrare il contrario».
Se riuscirà a passare indenne dall'iter parlamentare - cosa che appare ormai improbabile - la norma agirà da subito nei confronti dei rapporti aperti dopo la sua entrata in vigore, mentre per quelli preesistenti le imprese avranno un anno di tempo per regolarizzarsi.
Discorso a parte meritano tutte quelle partite Iva costituite da professionisti iscritti agli albi professionali, per i quali il testo prevede una parziale esclusione dal nuovo regime qualora svolgano attività «per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali». Il dispositivo non brilla per chiarezza, ma precisa che l'iscrizione ad un albo  non è «di per sé circostanza idonea a determinare l'esclusione dal campo di applicazione» della legge. Il che lascia presupporre che gli iscritti alle professioni regolamentate potranno di fatto continuare a lavorare come false partite Iva, ma solo nel caso in cui svolgano mansioni per le quali sia indispensabile l'appartenenza ad un ordine: in caso contrario saranno invece soggette alla nuova normativa. «In questo modo si creano grosse ambiguità», osserva la Calderoni, «moltissime mansioni svolte dagli architetti all'interno degli studi non sono previste dall'ordine». Come dovranno regolarsi in questi casi i professionisti resta per il momento uno dei punti più oscuri della riforma.
Ma il destino degli iscritti e dei non iscritti alle professioni regolamentate si divide anche in materia di contributi pensionistici: l'articolo 36 del ddl prevede infatti che soltanto per gli iscritti alla gestione separata dell'Inps - e dunque per i professionisti non appartenti agli ordini - l'aliquota salga progressivamente dall'attuale 27% fino al 33% nel 2018, «mentre i professionisti iscritti agli albi   continueranno a versare alle rispettive casse professionali intorno al 14%. Una differenza abissale» protesta la presidente di Acta.
La ratio che ha portato ad una distinzione così netta tra le due categorie non trova peraltro riscontro nella realtà in cui si muovono oggi gran parte dei professionisti italiani. «Per entrambi le condizioni di lavoro sono notevolmente peggiorate», spiega infatti Daniele Di Nunzio, 34 anni, uno dei ricercatori Ires che lo scorso anno ha seguito per l'istituto di ricerca della Cgil una delle indagini più complete mai realizzate sull'argomento. I quasi 4mila professionisti che hanno risposto al questionario online «mostrano un forte grado di subordinazione rispetto al datore di lavoro, con il quale hanno difficoltà a contrattare lo stipendio ma anche l'orario», racconta ancora Di Nunzio. Oltre che poco autonomi, molti professionisti appaiono poi letteralmente poveri: più del 20% degli iscritti e il 25% dei non iscritti dichiara di aver guadagnato meno di 10mila euro netti nel 2009.
«Sul problema si deve intervenire» ammette Anna Soru, «con questi criteri si rischia però di creare un serio danno anche a chi vuole continuare a svolgere la propria attività da autonomo».
Ma quanti liberi professionisti rischierebbero di scomparire con la riforma Fornero? «Le stime esistenti indicano una percentuale di false partite Iva compresa tra il 5 e il 15%, su un totale di 4 milioni e mezzo di posizioni individuali». Escludendo il milione di professionisti parzialmente esentati in quanto appartenenti ad ordini professionali, si parla quindi di circa 350mila posizioni a rischio estinzione, per i pessimisti; o assunzione, per gli ottimisti.

Ilaria Costantini

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