Lavoro a voucher, tutto quello che bisogna sapere

Scritto il 29 Set 2016 in Notizie

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Cosa sono i voucher, come funzionano, che garanzie danno? Sempre più spesso capita, anche ai giovani, di sentirsi proporre questa modalità di inquadramento-pagamento per lavorare. Ecco il vademecum della Repubblica degli Stagisti.

stage lavoro voucherIl voucher è un contratto di lavoro? Non è un contratto. È una modalità di inquadramento che può essere utilizzata solo in caso di lavoro accessorio, cioè occasionale. Il voucher, in concreto, è un tagliando (simile a uno scontrino) che rappresenta il compenso che una persona (chiamato in gergo tecnico “prestatore/lavoratore”) riceve da parte di un privato o azienda (chiamato “committente/datore di lavoro”) per una specifica prestazione lavorativa. Il valore “standard” è di 10 euro lordi all'ora, di cui al lavoratore ne arrivano 7,5 netti; il resto consiste in una quota di contributi (1,3 euro, pari al 13%) che confluiscono nella gestione separata Inps, una quota di Inail (per l'assicurazione anti-infortuni: 70 centesimi di euro) e infine 50 centesimi (il 5%) come commissione che l'Inps trattiene per sé.

Da quando esiste la modalità di lavoro a voucher?
Il lavoro accessorio è stato introdotto nell’ordinamento italiano nel 2003, con il decreto legislativo n° 276 (la cosiddetta “legge Biagi”). Inizialmente previsto solo per alcune categorie di percettori, utilizzabile solo per determinati settori lavorativi e con un ammontare massimo annuo di compensi piuttosto basso, è stato progressivamente esteso (in particolare nel 2005, nel 2012 e nel 2015).

Cosa c'entra il lavoro a voucher con il Jobs Act? Quasi nulla, dato che la normativa esisteva già da oltre un decennio. Nel Jobs Act, con il decreto legislativo 81/2015, sono state introdotte solo due novità. Da un lato è stato ulteriormente incrementato il limite annuo dei compensi, fissandolo in 7mila euro; resta però il limite dei 2mila per singolo committente. Dall'altro lato è stato introdotto il divieto di usare i voucher nell'ambito dell'esecuzione di appalti di opere o servizi. Nel recente decreto con le “Disposizioni integrative e correttive del Jobs Act” è stata inoltre rafforzata la tracciabilità  dei voucher, prevedendo che i committenti almeno 60  minuti prima dell'inizio della prestazione di lavoro accessorio debbano comunicare alla sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro, mediante sms o email, i dati del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione.

Chi può offrire lavoro tramite voucher? Praticamente tutti possono essere “committenti”: la normativa permette di usare questa modalità alle famiglie, agli enti senza fini di lucro, ai soggetti non imprenditori, alle imprese familiari, agli imprenditori agricoli, agli imprenditori operanti in tutti i settori, ai committenti pubblici (ma non in caso di appalti, v. sopra).

Chi può percepire voucher? Tutti. In particolare, i pensionati, gli studenti tra i 16 e i 25 anni nei periodi di vacanza e poi durante tutto l'anno nei weekend, compatibilmente con gli impegni scolastici (attenzione, i minorenni devono avere un'autorizzazione alla prestazione di lavoro da parte dei genitori). Possono lavorare a voucher i percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito (come per esempio i cassintegrati, o chi percepisce indennità di disoccupazione o si trova in mobilità), i lavoratori con contratto part-time (ovviamente non presso lo stesso datore di lavoro presso cui sono dipendenti!), gli inoccupati, i lavoratori autonomi, i lavoratori dipendenti pubblici e privati. Anche gli stranieri possono naturalmente lavorare a voucher se hanno un permesso di soggiorno che consente lo svolgimento di attività lavorativa, compreso quello per studio, o se sono in possesso di un permesso di soggiorno per “attesa occupazione” (il compenso da lavoro accessorio viene incluso nel conteggio per il permesso di soggiorno). «In base a quanto disposto dalla vigente normativa» si legge sul sito dell'Inps «è possibile utilizzare i buoni lavoro in tutti i settori di attività e per tutte le categorie di prestatori».

Dove si riscuotono i voucher? La particolarità del voucher è che non c'è uno scambio diretto di denaro tra committente e lavoratore. Il committente acquista il voucher, lo attiva tramite una procedura telematica sul sito dell'Inps e lo consegna al lavoratore al termine della prestazione. Il lavoratore può riscuotere il voucher quando vuole, dal secondo giorno successivo alla fine della prestazione, presso tabaccherie, uffici postali, sportelli bancari abilitati. I buoni lavoro restano generalmente validi 2 anni.

Quando non andrebbe proposto/accettato l'inquadramento con voucher? Ogni qual volta la prestazione lavorativa non abbia carattere di occasionalità. Per intenderci: si può essere pagati in voucher se di tanto in tanto si dà una mano in un bar, non se ci si lavora tutte le sere. Non va accettata la modalità dei voucher se il datore di lavoro vuole utilizzarla per mascherare un rapporto in nero, facendo figurare solo una piccola parte delle prestazioni (pagandola appunto coi voucher) e mantenendo il resto in nero. In definitiva, non va mai usata questa modalità quando il buonsenso consiglierebbe di fare un normale contratto di lavoro.

Perché ultimamente si parla di “boom dei voucher”? Perchè il numero di persone coinvolte in questa tipologia di lavoro è cresciuto molto negli ultimi anni: nel 2008 solo poco più di 24mila persone erano state impiegate in questa maniera, nel 2015 sono state quasi 1 milione e 400mila. L'importo lordo medio riscosso annualmente da ciascun lavoratore ha raggiunto il valore massimo nel 2011, con 677 euro; nel 2015 è stato di 633 euro. In generale, i settori nei quali l'uso del voucher risulta più significativo sono il commercio (14,9%), il turismo (14,4%) e i servizi (11,4%); i lavori domestici rappresentano solamente il 4,2% del volume dei voucher, e le manifestazioni sportive/culturali solo il 3,7%. Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono le tre regioni dove i voucher vengono più utilizzati.

Quali sono i rischi del voucher? Il rischio principale è che si sostituiscano i normali contratti di lavoro con i voucher, privando i lavoratori dei diritti e delle tutele legate a un contratto (retribuzione, contributi più alti, tutela in caso di malattia e maternità, ferie pagate, tfr...). In particolare secondo i dati raccolti dal ministero del Lavoro sono due i settori nei quali questo rischio è più concreto: il commercio e il turismo. In particolare è utile guardare quanti lavoratori retribuiti con voucher avevano avuto nei tre/sei mesi precedenti un rapporto di lavoro con lo stesso datore di lavoro: nel caso del turismo oltre il 15% dei lavoratori pagati a voucher erano stati in precedenza dipendenti (nei 6 mesi precedenti) dello stesso datore! In questo caso si verifica l'effetto opposto alla ratio della normativa che ha istituito i voucher: anziché contribuire a far emergere il lavoro nero, i voucher vengono utilizzati per sbarazzarsi del contratto, impiegando gli stessi lavoratori attraverso la modalità molto meno tutelante del voucher.

Il voucher è una tipologia di lavoro giovanile?
Non propriamente, ma coinvolge molti giovani. Su 1 milione e 400mila percettori di voucher nel 2015, quasi un terzo  – cioè poco meno di 432mila – aveva meno di 25 anni.  Si tratta, per stessa ammissione del ministero del Lavoro, di una «sovra-rappresentazione rispetto alla struttura dell’occupazione italiana», in quanto «il 31% dei prestatori si colloca infatti tra gli under 25». Non sono però purtroppo disponibili dati specifici su come, dove e in quali attività venga impiegata questa così rilevante quota di giovani
“lavoratori a voucher”.

Quanto è diffuso il voucher nel mercato del lavoro italiano? Le persone che “lavorano a voucher” rappresentano, secondo i dati del ministero del Lavoro, una percentuale che oscilla tra il 2% e il 4% del totale delle persone che lavorano in Italia. Bisogna però considerare che non tutti coloro che svolgono attività pagate a voucher hanno solo questo reddito. Nel 2014, per esempio, su 1 milione circa di persone che hanno lavorato a voucher vi era un 10% di pensionati, un 28% di persone con un altro lavoro come dipendenti, e un 17% di cassintegrati o percettori di altri sussidi di disoccupazione.

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