Jobs Act, cosa c'è scritto davvero nel testo appena approvato dalla Camera

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 27 Nov 2014 in Notizie

La riforma del lavoro di Matteo Renzi procede ben più velocemente del previsto. L'altroieri il disegno di legge "Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro" - cioè il cosiddetto Jobs Act - è stato approvato alla Camera e dunque ora torna in Senato. I senatori dovranno approvare le modifiche apportate dai deputati. La novità più importante è che l'innegabile protagonista del dibattito, l'articolo 18, finalmente appare nel testo, mentre nella versione licenziata dal Senato nemmeno veniva nominato. Neanche in questa, a dir la verità, è citato esplicitamente: però almeno si smette di sottintendere e si trova un riferimento chiaro ai licenziamenti economici e a quelli disciplinari.

Che l'articolo 18 sia stato il protagonista del dibattito su questa riforma è qualcosa, a dire il vero, di poco ragionevole - anzi quasi assurdo. Perché questo famoso articolo - detto "di tutela reale" contro i licenziamenti - che prevede, secondo lo Statuto dei lavoratori del 1970 e dalle sue successive modifiche, la possibilità per i tribunali di reintegrare i lavoratori nello stesso posto di lavoro da cui sono stati licenziati, ovviamente solo in quei casi in cui il giudice ritenga che vi sia stato qualche vizio nel licenziamento, non è che un aspetto infinitesimale della nostra legislazione sul lavoro. Non riguarda che poche centinaia di persone all'anno, tutte assunte a tempo indeterminato, tendenzialmente tutte adulte o addirittura anziane. Assurdo dunque che si siano sprecate le prime pagine dei giornali su questo tema anziché su molti altri che sarebbero potuti essere migliorati nel testo del Jobs Act: ma in Italia va così, l'ideologia "tira" molto più della ragionevolezza, e allora a tutti - destra e sinistra, parti datoriali e sindacati - fa comodo semplificare lo scontro utilizzando una bandiera, un tema sintetico che scalda gli animi e infuoca i talk show.

Che dire? Ormai è andata così, bisogna rassegnarsi a questa ciclica polarizzazione dello scontro sul lavoro e cercare di approfondire per conto proprio, evitando le semplificazioni della maggior parte dei media, per capire cosa davvero potrebbe cambiare con l'entrata in vigore delle norme contenute in questo Jobs Act.

Il testo adesso attende l'ultimo ok, quello del Senato, e Matteo Renzi già pensa di riuscire ad approvarlo nella prima metà di dicembre, per poi partire a spron battuto con la stesura dei decreti attuativi di questa legge delega (che qualcuno mormora siano già pronti in bozze, anche se il ministero del Lavoro giura di no). Perché forse è bene ricordare che il Jobs Act, di per sé, dice quel che si farà in linea generale: si può dire che riassuma i valori e le idee sulle quali l'esecutivo si impegna a muoversI quando andrà a generare - attraverso vari decreti legislativi - questa riforma del lavoro tanto annunciata.

E allora vediamo le principali modifiche apportate dalla Commissione lavoro della Camera al testo che era stato approvato in Senato all'inizio di ottobre, e che ieri sono state vidimate dal voto favorevole dell'aula di Montecitorio.

La prima modifica rilevante si trova al comma 2 lettera b3, in cui si legge in un certo senso la promessa che i cococo e i cocopro verranno progressivamente aboliti: il testo del Senato parlava di «universalizzazione del campo di applicazione dell'ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l'esclusione degli amministratori…» mentre alla Camera lo hanno modificato aggiungendo tre parole: «universalizzazione del campo di applicazione dell'ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, fino al suo superamento, e con l'esclusione degli amministratori…». Dunque le tre parole in più sono «Fino al suo superamento»: il superamento della tipologia di collaborazione coordinata e continuativa, cioè cococo e cocopro. In favore, nelle intenzioni del legislatore, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Una seconda modifica di rilievo riguarda l'interazione tra sistema pubblico e sistema privato sul tema dei servizi per l'impiego: in particolare il Senato prometteva una «valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, al fine di rafforzare le capacità d'incontro tra domanda e offerta di lavoro…» mentre la Camera
rivendendo il comma 4 lettera n ha ampliato il senso di questa frase: «valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati nonché operatori del terzo settore, dell'istruzione secondaria, professionale e universitaria, anche mediante lo scambio di informazioni sul profilo curriculare dei soggetti inoccupati o disoccupati, al fine di rafforzare le capacità d'incontro tra domanda e offerta di lavoro…». Una modifica interessante che va a includere per esempio gli uffici stage e placement universitari, finora abbastanza ignorati dalla politica.

Terza modifica degna di nota, quella che riguarda i futuri rapporti tra l'Agenzia nazionale per l'impiego prossima ventura e l'Inps: qui il testo del Senato prometteva sinteticamente una «previsione di meccanismi di raccordo tra l'Agenzia e l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), sia a livello centrale che a livello territoriale», mentre la Camera
(lettera r) ha voluto specificare meglio: «previsione di meccanismi di raccordo e di coordinamento delle funzioni tra l'Agenzia e l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), sia a livello centrale che a livello territoriale, al fine di tendere a una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno del reddito».

E dopo qualche altra modifica più che altro formale, si arriva alla vera novità del testo. Le due scarnissime righe riguardanti il contratto a tutele crescenti, e sopratutto al contenuto di queste tutele in caso di licenziamento - previste dal Senato, «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio», acquistano dopo il lungo dibattito una forma più definita, che vincola maggiormente il governo ad attenersi alla linea tracciata dal Parlamento. Il testo formulato dalla Commissione Lavoro della Camera,
al comma 7 lettera c, è ora il seguente: «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento».

Infine una modifica interessante è quella apportata al comma 13, nel solco della nuova attenzione all'efficacia dei provvedimenti legislativi: si legge infatti nell'aggiunta della Camera che «il monitoraggio permanente degli effetti degli interventi di attuazione della presente legge, con particolare riferimento agli effetti sull'efficienza del mercato del lavoro, sull'occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e uscita nell'impiego, anche ai fini dell'adozione dei decreti di cui al primo periodo, è assicurato dal sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92, che vi provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Sempre sperando che i dati siano disponibili, che le pubbliche amministrazioni li condividano tra loro in maniera celere, che vengano interpretati in correttamente e senza faziosità: e che si abbia poi il coraggio di correggere in itinere i punti che si rivelino eventualmente meno funzionali del previsto.

Ma il punto fondamentale da tenere bene a mente è che la partita del Jobs Act non è affatto chiusa, e che non lo sarà neanche a metà dicembre quando prevedibilmente arriverà l'ultimo ok del Senato. La partita si giocherà su ciascuno dei singoli decreti legislativi di attuazione, perché sarà in questi testi - scritti dal governo - che staranno veramente le nuove regole sul lavoro che Renzi vorrà mettere in campo.

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