«In bici senza sella», un film manifesto della vita da precari

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 16 Mag 2015 in Interviste

«Abbiamo preso tante sberle in questi anni, ma credo ci abbiano rafforzato. Siamo tanti, non ci arrendiamo e nonostante tutto abbiamo ancora voglia di ridere e di far ridere». Alessandro Giuggioli è romano, ha 33 anni ed è produttore e attore «precarissimo», come sottolinea, di «In bici senza sella». Non si tratta di una web serie, ma di un vero e proprio film per episodi, ideato due anni fa e destinato al cinema. Il curioso titolo nasce dalle parole di un ciclista durante le ultime Olimpiadi: arrivato al traguardo senza la sella della bicicletta, affermò in un’intervista che correre senza sella è «un po’ come stare in Italia». Strano scherzo del destino perché proprio Alessandro il giorno prima aveva paragonato la condizione dei precari alla corsa di un ciclista su una bici senza sella. Profetico. 

Tanta, forse troppa fatica, ma non solo: la corsa sfinisce perché «quando sei in bici senza sella devi stare sui pedali e spingere fintanto che c’è la salita e non puoi sederti neanche per un attimo sapendo di non avere un appoggio, come ben sanno i giovani italiani che probabilmente non vedranno la pensione», spiega alla Repubblica degli Stagisti Luca Di Martino, quarantenne palermitano, tra gli sceneggiatori del film.  Allo stesso tempo il cammino non scoraggia, ma lascia sempre la voglia di andare avanti, di crederci malgrado le difficoltà. Ed è per questo che il film non è un’autocommiserazione dei precari, ma una rappresentazione della realtà dove sorriso e ironia trovano però sempre spazio. Un filone per la verità già inaugurato da altri film di registi emergenti, su tutti il celebre «Smetto quando voglio», uscito lo scorso anno con un grande successo di pubblico.

Rappresentazione che è prima di tutto il ritratto della vita «reale» dei protagonisti di questo progetto: un gruppo di circa 25 persone, di cui 9 registi e 12 autori con precedenti esperienze nel cinema e nel teatro e di età compresa tra i 30 e i 40 anni, «quelli cresciuti tra gli anni ’80 e ’90, quando la crisi ancora non si vedeva all’orizzonte, pieni di fiducia nel futuro», ricorda Giuggioli. Protagonisti del film non sono naturalmente solo i precari del cinema, ma anche quelli di tanti altri settori lavorativi. Requisito fondamentale per la partecipazione «è che tutti fossero guidati dalla stessa voglia e rabbia che provavo io. E soprattutto che fossero disposti a fare di tutto. Io ho fatto anche i panini e il runner per questo film, i registi a volte si sono occupati persino di riconsegnare un furgone e questo è solo un esempio. Ne potrei fare a decine».

Il progetto a oggi ha visto la realizzazione di tre episodi di durata variabile tra i 10 e i 15 minuti, su un totale di otto, per finanziare i quali è stata aperta una raccolta di crowdfunding sul sito Indiegogo. In poco  più di un mese sono stati accumulati oltre 11mila euro, versati da circa 110 contributors, a fronte di un obiettivo minimo di 90mila euro. «Il progetto è stato accolto benissimo, solo il trailer ha ottenuto più di 8mila visualizzazioni in tre settimane. Non abbiamo un ufficio stampa perché non possiamo permettercelo e i giornali ci stanno chiamando, più di così cosa si può desiderare?», commenta il produttore.

La scelta di puntare sul crowdfunding «è un escamotage molto onesto perché non c’è una commissione statale che decide cosa e chi finanziare. In questo modo il pubblico, letta l’idea e il prospetto, può decidere in prima persona se aderire o no. C’è molta curiosità nei confronti del film e del finanziamento, vedremo come finirà. Comunque è già un successo poter interloquire direttamente con la gente su un tuo progetto», aggiunge Di Martino.

Gli ostacoli legati a questo tipo di scelta però non mancano: «Il crowdfunding in Italia non è molto conosciuto e devo ammettere che anche la difficoltà di effettuare la donazione attraverso PayPal non ci facilita», aggiunge Giuggioli. Obiettivo è puntare sulla quantità dei donatori attraverso piccole donazioni, «anche solo due euro, il prezzo di un caffè e di un cornetto», conclude.

Fondamentale, sia per il produttore che per lo sceneggiatore, è riuscire a far gruppo. Creando un bacino d’utenza sempre più ampio e vicino al progetto e provando a dare vita a un vero e proprio «film manifesto», come lo definisce Giuggioli, identificativo di una massa consistente di cittadini - e potenziali spettatori: «Per noi è importantissimo ascoltare chiunque. È il momento di mettersi insieme, in una società che sta diventando sempre più individualista e chiusa in se dobbiamo tornare a guardarci in faccia, a riconoscerci».

Solo facendo squadra si può provare insomma a farsi sentire: «Se potessi consigliare una ricetta credo che In bici senza sella sarebbe emblematico: ognuno ha messo qualcosa della sua opera, affidandosi ad altri affinché qualcosa di tangibile prendesse vita» chiude Di Martino: «I protagonismi, il tirare a fregarsi tipico della mentalità italiana sono davvero uno scoglio insormontabile per il nostro paese».


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