Centro per l'impiego di Terni, nella città d'acciaio che sfida la crisi

Marco Panzarella

Marco Panzarella

Scritto il 07 Mar 2015 in Storie

Dopo Torino, Prato e Siracusa, il viaggio della Repubblica degli Stagisti all'interno dei centri per l'impiego italiani prosegue facendo tappa a Terni.  

Anche Terni, la città d’acciaio che fin dall’800 è legata indissolubilmente alla fabbrica, si è piegata dinanzi alla crisi. Nel settembre 2014, una persona su cinque residente in provincia risultava iscritta al Centro per l’impiego: circa 36 mila individui, duemila in più rispetto all’anno precedente. Numeri che risentono anche dei licenziamenti operati dalla ThyssenKrupp, l’azienda siderurgica tedesca che dà lavoro a centinaia di persone. Così, lo scorso ottobre trentamila cittadini sono scesi in piazza contro i tagli che rischiano di mettere in ginocchio la comunità.

Meno occupati significa più lavoro per i centri per l’impiego. In provincia ne operano due, a Terni e Orvieto, dove lavorano complessivamente 61 persone, che si occupano di politiche del lavoro e formazione professionale.  «L’intermediazione tra domanda e offerta riguarda solo una piccola parte del nostro lavoro» dice alla Repubblica degli Stagisti Maurizio Agrò, dirigente del settore Politiche formative e del lavoro: «Ci occupiamo anche di attività amministrativa, orientamento, formazione, cassa integrazione, collocamento obbligatorio ed altre attività». Come in molti altri cpi d’Italia, è complicato risalire alla percentuale di disoccupati che trovano un lavoro dopo essersi rivolti agli ex collocamenti. «Anche perché gran parte dei 36 mila iscritti non vengono trattati dai servizi per l’impiego» fa notare Agrò: «Magari si rivolgono ai nostri sportelli per ricevere i trattamenti di disoccupazione, come accade agli insegnanti precari, oppure per ottenere l’esenzione dalla mensa scolastica. Se valutiamo solo i disoccupati che hanno ricevuto dal servizio almeno un colloquio o uno strumento di tirocinio e formazione, la percentuale di persone che poi trovavano un lavoro è molto alta, fino al 65%».

Da più di dieci anni il cpi mette insieme politiche del lavoro e formazione e i risultati ottenuti permettono oggi di “galleggiare”, quando altre realtà affondano. «Gli ultimi tre anni non sono stati felici, ma resistiamo» spiega il dirigente «anche grazie al successo di iniziative come le work experience, il fiore all’occhiello del nostro ufficio». Si tratta di percorsi formativi della durata di 6 mesi dedicati a profili medio-alti (diplomati tecnici, ingegneri, architetti...), che prevedono una borsa di studio da 800 euro pagata dalla Provincia ed erogata dal Centro per l’impiego. Le aziende avanzano le loro domande, impegnandosi al termine del percorso ad assumere la persona. «Se non rispettano l’impegno non possono partecipare al bando successivo» dice Agrò. «In questo modo siamo riusciti a costruire un elenco virtuoso e oggi molte delle aziende con sui siamo in contatto rispettano gli impegni». Quest'anno, secondo le previsioni, si attiveranno dai 100 ai 120 percorsi e almeno la metà dovrebbero andare a segno. Per le work experience non esistono limiti di età: vi partecipano soprattutto ragazzi, ma ci sono anche persone di 40-50 anni, quest’ultime in forte aumento. «Ogni anno pensiamo anche a elaborare le comunicazioni aziendali, individuando i profili professionali più richiesti, quelli che creano occupazione nel territorio. Un prodotto costruito in modo artigianale, ma molto efficace».

Il cpi di Terni è un modello funzionante, che però rischia di essere messo in discussione dalla riforma del mercato del lavoro. «L’importante è non scindere il connubio politiche del lavoro-formazione, che devono procedere a pari passo» dice Agrò: «Al momento la riforma è in fase di attuazione, con alcuni decreti delegati approvati e altri in corso di adozione. L’obiettivo dovrebbe essere quello di dirottare le risorse dalla politiche passive a quelle attive: 35 miliardi per le prime sono troppi rispetto al miliardo per quelle attive. Ad ogni modo, mi sembra che la riforma contenga degli elementi positivi, dall’alleggerimento delle politiche passive, al contratto a tutele crescenti fino al ridisegno degli ammortizzatori. È una riforma che potrebbe avere effetti molto positivi sul mercato del lavoro».

Intanto, il programma Garanzia giovani ha prodotto più luci che ombre: «Ha posto l’attenzione sul grande problema della disoccupazione giovanile» riassume Agrò «dopo che il precedente programma operativo 2007/13 si era occupato più di politiche passive e cassa integrazione. Contiene anche i segnali di un nuovo approccio riformista alle politiche attive e al sistema di gestione, introducendo il modello pubblico/privato. Peccato però che non tutti i territori siano pronti a recepire un impatto così innovativo. Inoltre, alcuni meccanismi, come la gestione dei tirocini formativi, sono molto macchinosi e complessi». Al 7 gennaio 2015 per Garanzia Giovani in provincia di Terni sono pervenute 4640 adesioni. Sono stati convocati per un colloquio 1910 ragazzi, 252 hanno scelto di non presentarsi, mentre in 198 casi gli operatori del centro hanno appurato che non si trattava di neet. Per quanto riguarda, invece, i patti per l’erogazione delle misure di Politiche attive del lavoro, al 31 dicembre 2014, sempre in provincia di Terni risultano attivati 1137 percorsi. Di questi, 191 sono “formativi” e destinati a giovani di età compresa tra i 15 e i 18 anni. Completano il quadro 179 servizi civili, 340 tirocini extra curriculari e 417 percorsi di formazione mirati all’inserimento lavorativo.

Sulla nascita dell’Agenzia nazionale del lavoro prevista dal Jobs Act, il responsabile ternano si dice favorevole: «Le politiche del lavoro fino ad oggi non sono state governate a livello centrale; ogni territorio ha operato autonomamente e non è mai stata creata una banca dati nazionale. Credo sia indispensabile recuperare questa capacità di gestione, così da garantire servizi di qualità quanto più possibile uniformi in tutto il Paese».


Community